Terenzio Monti (1909-1987)

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Artisti castellani. Un primitivo: Terenzio Monti

Basta guardarlo, sempre in tono dimesso, senza preoccupazione di far bella figura, questo romagnolaccio dal facile eloquio, quasi sempre in dialetto, sempre in contraddizione con se stesso (ama la donna che ritrae in tutte le pose e non sposa, Si commuove per la sofferenza degli animali, si sofferma per ascoltare il canto di un usignuolo o di una allodola e degli episodi francescani preferisce la predica agli uccelli, ed è un veterano della caccia, ha una sua fede sentita e non la professa) per riconoscere in Terenzio Monti, sempre in moto con l’occhio vivace e la barbetta a punta, il temperamento di un artista primitivo e di un uomo che non vuole dande o cavezze, ma segue, a dispetto di tutti, la sua inclinazione e la sua ispirazione.
Non per niente il suo santo protettore al quale ha dedicato una parte della sua arte è il figlio di Ser Bernardone, ribelle per amore alla famiglia ed alla società del benessere del suo tempo, il suo filosofo è Alfredo Oriani (che ha plasmato a modo suo con l’occhio accigliato, la bocca serrata, la barba fluente come un savio greco o un senatore romano) sdegnato solitario che con “La lotta politica” ha colpito e scolpito i tempi della nostra storia in piena libertà di interpretazione pur dei santoni dell’epoca e con “La rivolta ideale” ha fissato lo sguardo nel futuro, ad una utopistica società, che non era certo quella del Regime, che l’aveva scelto, per opportunità a precursore, il suo poeta è 0lindo Guerrini, non per le sue rime più che boccaccesche, ma per la spregiudicatezza dello stile lontano da ogni artificio ed ogni adulterazione zuccherata, così comune nella letteratura dell’inizio del nostro secolo.
Il carattere innato di cavallo brado lo portò in Africa dove rimase molti anni a contatto della natura e dove scoppiò la sua arte di plasmatore. Senza aver frequentato scuole di arte fece della creta il mezzo di trasmissione del suo pensiero e della sua fantasia e delle sue mani agili e delicate, quando palpeggia il muso di un cane o il volto di una donna già abbozzati e già vivi, gli strumenti vivi delle sue creazioni.
Sia per il carattere, sia per assenza degli altrui pregiudizi estetici, sia per l’ambiente delle prime sue manifestazioni, il Monti non poteva essere che un primitivo e quindi la sua arte non poteva non rispecchiare la verità del suo sentire.
Fra le opere che ha collezionato i volti delle donne africane sono i suoi prediletti: ognuno ha una sua particolarità e rispecchia uno stato d’animo ingenuo e sincero: sono questi che fissano l’inizio di una attività che non ha un ordine fisso, che non è programmata, ma che ha punte di “furore” con notti insonni e lunghe stasi che portano l’artista all’aperto a parlar con i suoi cani o le sue gazze indiane o con la doppietta e la cartucciera a cacciare in collina.
Come primitivo è legato alla realtà, come sentimentale imprime a questa il sigillo del suo stato d’animo proiettando la realtà nel regno del mito: nascono cosi “Vento del deserto” viso tormentato dal vento del ghibli che ne disperde i capelli, forgiandoli ad ali, “Tristezze” un volto, stagliato come un giglio, soffuso da una tormentosa ansia interiore, “Filosofia e Poesia”, sguardi soffusi di mistero o sperduti nel sogno di una realtà trasfigurata, e sopratutto “Miserere”, un resto umano, un paria abbandonato a se stesso, un grido di vendetta contro un società egoistica e distrutta, e “Bellezza” volto di popolana assunta a simbolo d’un’ arte spontanea e sincera.
Abbiamo detto che il Monti ama gli animali “perchè anche se selvaggi non tradiscono mai” e, sopratutto, i cani “amici fedeli dell’uomo”: per questo non deve stupire se nella sua produzione i cani abbiano gran parte: teste di lupi o di pastori di varie razze, atteggiamenti momentanei di un boxer scrutante l’invisibile padrone, di un levriero ansioso in posta, di un pointer, il suo, pronto allo scatto, decine di altri visti e riprodotti con occhio d’amore. Non manca allo studio del Monti l’arte sacra: il Cristo soffuso, nel tormento da rassegnata dolcezza perchè “ha accettato il sacrificio per la salvezza dell’umanità”; Francesco in due atteggiamenti poetici, nel cantico del sole e nella predica agli uccelli, in pannelli che attendono il seguito per una sintesi della vita dell’assisiate: e non mancano volti di bimbi sereni e tranquilli che hanno un nome: Sandro, Nicola, Gianni… Ma dominanti nella stanza, fucina confusionaria di lavoro, e sempre in mezza oscurità, vi sono i busti del Guerrini e dell’Oriani, due aspetti dell’anima di questo romagnolo che si è trovato all’improvviso un artista.

Angelo Donati

Testo tratto da La Piè, n. 1, 1973; immagini tratte da un pieghevole stampato in occasione di una mostra di Terenzio Monti tenuta a Imola nel 1979

Nota: Terenzio Monti nacque a Castel Bolognese il 14 febbraio 1909 da Terzo Monti e Diomira Biancini. Scultore autodidatta, morì a Castel Bolognese il 17 gennaio 1987. Personaggio caratteristico del paese, è stato uno degli ultimi castellani (se non l’ultimo) a girare per il paese con la capparella, il tipico mantello romagnolo (nota a cura di Andrea Soglia)

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