Le Antiche Porte di Castel Bolognese

Fino alla seconda metà del secolo scorso l’antico Castello aveva conservato pressochè intatte le sue caratteristiche originali: la cerchia muraria con quattro bastioni, circondata dalle fossa, dalla quale svettavano i frontali delle vecchie chiese, i campanili a cuspide e a vela, la trecentesca torre e le due porte che consentivano l’accesso al Castello, lungo la via Emilia: la porta del Molino verso Faenza e la porta del Borgo verso Imola. Un insieme architettonico ben conservato che conferiva al paese, grande come una mano, tutta la bellezza di «una miniatura da messale italiano»: così lo definì Charles Yriarte, un turista francese che, più di cent’anni fa, fece una breve visita a Castel Bolognese, giuntovi in treno da Ravenna. Monsieur Yriarte provò tale ammirazione per il nostro paese da menzionarlo con un particolare apprezzamento nel resoconto del suo viaggio pubblicato su un periodico illustrato francese.

Fu una vera fortuna per Monsieur Yriarte non aver rimandato il viaggio di qualche anno. Nel 1876 l’Amministrazione Comunale di Castel Bolognese decretò l’abbattimento delle antiche porte, attuando una proposta che già nel 1847 era stata avanzata, ma respinta dalla maggioranza dei voti. Si riteneva stoltamente che le porte, ancora saldissime, non avessero alcun pregio artistico e che costituissero un ostacolo inopportuno per i grossi carichi e le carrozze private.

L’atterramento delle porte fu seguito da comprensibili polemiche. Esso fu deplorato, tra gli altri, dall’arciprete Tomaso Gamberini, dallo storico e mazziniano Giovanni Emiliani, dal Conte Domenico Zauli Naldi e, più tardi, da Giovanni Bagnaresi (1) e dall’insigne storico Padre Serafino Gaddoni (2). In appendice all’«Orazione Panegirica», letta nell’arcipretale di S. Petronio il 4 ottobre 1877, il Padre Raffaellangelo da Faenza scrisse la seguente nota: «Fu nel 1389 che il gruppo di case, chiamato Bastia o passo della catena si diè al Senato Bolognese, che ne formò un Castello a cavaliere della Via Emilia, fabbricando a sue spese la casa e la Chiesa arcipretale da dedicarsi a S. Petronio protettore eletto; le mura in quadro contornate da fosso; la torre che sorge nel mezzo del recinto con la campana del Comune e l’orologio; e le altre due con porte di ingresso nel Castello lungo l’Emilia che dè nostri giorni si demolirono benchè saldissime, in tanto che per ogni dove si lavora e si spende per conservare e ristaurare i monumenti antichi in servigio della storia e per rispetto dell’antichità. Però saremmo curiosi di sapere se la Regia Deputazione di Storia Patria per le Romagne, Preside il Conte Gozzadini, fu consenziente o ignora del fatto» (3).

Traendo lo spunto dallo scritto di Monsieur Yriarte, anche il pittore castellano Giovanni Piancastelli (1845-1926) prese posizione contro l’avvenuto atterramento delle porte e diede sfogo al suo sdegno in una lettera personale (4), ad un amico castellano. Il Piancastelli, che aveva appreso l’arte dal Padre Bandiera nel Convento Cappuccino del natio paese, aveva già raggiunto l’apice della carriera. Dal 1871 si era trasferito a Roma, chiamatovi dal Principe Borghese per il riordino della raccolta d’arte di quella famiglia: non a caso, dunque, la lettera che pubblichiamo fu inviata da Frascati in data 24 luglio 1878, quando le polemiche per la demolizione delle porte non si erano ancora spente. Lo sdegno del pittore castellano si traduce in una critica addolorata e pungente, «a cuore aperto», in difesa del Castello nativo, che gli agi romani non gli avevano mai fatto dimenticare. Si noti, in particolare, l’attacco contro il Silvestrini, che ha tutto il sapore di una critica alla parte politica di coloro (la maggioranza) che, insieme con lui, votarono in Consiglio Comunale l’abbattimento delle porte. L’orientamento del Piancastelli viene a cozzare contro quella maggioranza del Consiglio Comunale che, negli anni in cui la guida del governo era stata assunta da Agostino Depretis, ostentava anche a Castel Bolognese programmi di rinnovamento e di interesse popolare, ma si manifestava poco coerente nei fatti, se l’atteggiamento innovatore si traduceva nella distruzione del patrimonio storico-artistico della comunità.

Se l’indignazione del Piancastelli fu così forte da arrossire per essere nato in tale paese, che cosa avrebbe mai detto il nostro pittore, se avesse vissuto tanto a lungo da vedere le ben più gravi deturpazioni subite da Castello in questo nostro secolo? Le «opere di regime» del fascismo e la guerra distrussero molto di più e nel dopoguerra, quasi non si fosse distrutto abbastanza, si mandò in malora l’archivio storico comunale, vendendo le pergamene e i documenti di storia patria come carta da macero (5). Se al Piancastelli toccò allora di arrossire di vergogna, a noi non resta altro che apprendere la lezione di educazione civica, che questa lettera ci impartisce con accenti nobili e appassionati, Delle antiche porte resta, oltre il rimpianto, qualche rara immagine (6). Il Piancastelli stesso aveva provveduto a disegnare la porta del Borgo. Della porta del Molino ci resta il ricordo nella rarissima stampa che rappresenta la B.V. della Concezione, Patrona di Castel Bolognese, prima dell’oltraggio del ’93. Essa fa parte delle immagini sacre, i cosiddetti «santini» di uso popolare, stampati nel secolo scorso nella famosa bottega dei fratelli Angelo ed Enrico Marabini di Faenza

(1) La protesta di Giovanni Bagnaresi (Bacocco) si trova nei suoi manoscritti conservati presso la Biblioteca Comunale di Castel Bolognese.
(2) P. Serafino Gaddoni, Un’antica porta di Castelbolognese in un lavoro del pittore Giovanni Piancastelli, in Il Diario, Imola, 4 ottobre 1924.
(3) P. Raffaellangelo da Faenza, Orazione Panegirica di San Petronio Vescovo Protettore principale di Castelbolognese e NOTE STORICHE intorno al medesimo Castello, Bologna, 1877, p. 39.
(4) La lettera è proprietà di S. Borghesi.
(5) Vedi: G. Plessi- O. Diversi, Gli Archivi del Comune di Castelbolognese, in «Studi Romagnoli», XIV (1963), Faenza, 1965.
(6) Ricordiamo l’antica cerimonia della benedizione delle porte del paese, che avveniva ogni anno il 25 aprile, festa di San Marco, con processione. In quell’occasione si appendeva alle porte una croce composta dl candele di cera e circondata da fiori.

Testo tratto da: Il voto della Pentecoste e la tradizione religiosa castellana: studi e testimonianze. – Imola : Grafiche Galeati, 1981. (In testa al frontespizio: 350° anniversario della preservazione dalla peste, Castelbolognese 1631-1981.)

Pasquale Pasotti

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La Porta del Borgo verso Imola (costruita nel 1429), in un disegno di Giovanni Piancastelli

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La Porta del Molino verso Faenza (costruita nel 1429), in una stampa dell’ottocento

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La Porta del Molino nel 1850 (da un disegno del faentino Romolo Liverani – 1809/1872)

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