L’eccidio di Villa Rossi (17 dicembre 1944)

Rappresentazione dell'eccidio di Villa Rossi in un disegno di Fausto Ferlini

Rappresentazione dell’eccidio di Villa Rossi
in un disegno di Fausto Ferlini.

C’è un angolo suggestivo di Biancanigo a ridosso del piccolo Senio, contrassegnato da un pittoresco cipresso e dall’ottocentesco Oratorio Rossi, in stile neoclassico, che si lascia ammirare per la grazia architettonica che l’Antolini gli impresse. Si stenta ad immaginare che proprio in questa pacifica e ridente contrada abbia sostato una guerra tra le più terribili che la storia ricordi e che anche qui essa abbia lasciato i segni indelebili della sua disumana crudeltà.
La distruzione della Villa Rossi e delle case coloniche adiacenti, Crociaro di Sopra e Crociaro di Sotto, la strage di uomini, donne, fanciulli travolti nel sonno da un cumulo di spaventose rovine, sono diventati fatti emblematici di tutta la tragedia che la popolazione di Castelbolognese ha vissuto nello stato di guerra 1944-1945.

Siamo alle soglie dell’inverno del 1944. Da alcuni mesi a Biancanigo e dintorni si sono annidati i paracadutisti della 4a divisione germanica, estenuati dalle battaglie della Linea Gotica, che hanno già fatto crollare il mito dell’invincibile Wehrmacht. Ma i soldati tedeschi hanno a disposizione pochi mezzi per sostenere dalle sponde del Senio l’urto degli Alleati appostati sulle vicine colline di Casale. I loro contrattacchi sono in fondo soltanto un rabbioso e disperato tentativo di sopravvivenza, che non manca tuttavia di farsi forte con il sangue di vittime innocenti.
Alle prime luci del mattino del 6 ottobre 1944, nel corso di un’azione di rappresaglia, la chiesa di Biancanigo viene circondata da brigate nere e da tedeschi, mentre si celebra la S. Messa del Primo Venerdì del mese. In seguito ad un rastrellamento circa 300 civili, fatti confluire soprattutto dalla zona di Campiano, vengono rinchiusi per tutta la giornata nella chiesa e nei locali della canonica. Sono rimessi in libertà solo a tarda sera, ma un gruppo di 40 uomini viene trasferito alla Villa di San Prospero presso Faenza, dove se ne dovrà decidere la deportazione in Germania.
I tedeschi chiedono un regolamento dei conti a quelle persone che sono sospettate di avere ospitato i partigiani. Nella stessa circostanza a Tebano le brigate nere finiscono di massacrare il faentino Bruno Bandini. A San Prospero sarà trascinato anche il vecchio parroco di Montecchio sopra la Pideura, don Antonio Lanzoni, che finirà davanti al plotone di esecuzione a Bologna.
La giornata del 6 ottobre si conclude con la fucilazione di quattro capifamiglia sulla strada di Pergola, mentre sulle vicine colline si intravedono i bagliori degli incendi appiccati per rappresaglla a diversi casolari: Barbavera di Sopra, la Bruciata, la Colombaraccia, Scaranon di Pergola, Carampan e Infernotto di Tebano.
L’avvenimento è un lugubre presagio dell’imminente assestamento del fronte sul Senio. Il 15 dicembre arrivano al “Camerone” di Biancanigo le prime truppe tedesche di linea, sporche, insanguinate e infangate, in ritirata dal Faentino dopo la battaglia perduta del Lamone. Castelbolognese è già travolto nel vortice della guerra vera e propria.

Il 17 dicembre, all’indomani della liberazione di Faenza, i tedeschi prendono la decisione di far saltare in aria la Villa Rossi di Biancanigo con le case coloniche adiacenti per ragioni strategiche. La zone compresa tra i “Casetti” di Biancanigo e il Senio è già considerata terra di nessuno che deve essere spianata, per acquistare maggiore possibilità di tiro e di riferimento.
I tedeschi non possono ignorare che nella cantina della grande villa si rifugiano le famiglie Cristoferi e Montanari e alcuni parenti di questi ultimi, i Lama, sfollati dalla vicina Faenza nella speranza di un più sicuro rifugio in campagna. Nessuno tuttavia si preoccupa di avvertire i civili della decisione presa.
Anche la mattina del 17 dicembre, tra le cinque e le sei, tra i primi ad alzarsi e ad uscire dal rifugio è Michele Montanari, che sempre di buon’ora, com’è nelle sane consuetudini della gente di campagna, si accinge alla quotidiana fatica del lavoro nella stalla. Michele, appena entrato nella sua casa del fondo Crociaro di Sotto, a ridosso della villa, si accorge di qualcosa di insolito, rassomigliante a due casse di legna collegate a dei fili di dubbia provenienza. Giovanni, il fratello maggiore che lo ha appena raggiunto, in base alle conoscenze acquisite sul fronte della prima guerra mondiale, non esita ad individuare l’esplosivo e intuisce l’imminenza del pericolo per tutti gli edifici circostanti. Michele e il nipote Mario tagliano immediatamente i fili, mentre Giovanni si precipita al rifugio cercando di trarre in salvo dalla cantina della villa le altre persone ancora immerse nel sonno. Ma la villa, improvvisamente, con una spaventosa deflagrazione, salta in aria. Giovanni viene sorpreso dallo scoppio sulla soglia. Sarà rinvenuto alcuni mesi dopo sulla porta semiaperta, in piedi: il pietrisco aveva sostenuto il cadavere in quella posizione. Si salvano Michele, che ha evitato in tempo il brillamento della sua casa (fatta saltare in aria due giorni dopo), la vecchia madre ottantacinquenne che ogni mattina seguiva istintivamente il figlio appena lo sentiva alzarsi, i nipoti Mario e Lina Montanari usciti anzitempo dal rifugio.
La villa serra in un cumulo di rovine il carico umano di diciotto innocenti: nove membri della famiglia Montanari e nove della famiglia Cristoferi. Tra le macerie della casa Crociaro di Sopra perdono la vita altri tre famigliari dei Cristoferi: solo Celso riesce a salvarsi. Tra i morti ci sono sette fanciulli: il più grande è Nicola Montanari di 14 anni, il più piccolo Giovanni Cristoferi di 2 anni.
Nella stessa mattinata i parenti delle vittime s portano al comando tedesco di zona, per chiedere spiegazioni. I tedeschi rispondono di non sapere che nella villa erano rifugiati dei civili e di essere all’oscuro del tragico epilogo. Eppure poche ore prima dell’esplosione avevano fatto allontanare le trenta cieche sfollate da Bologna, che la contessa Rossi aveva ospitato per qualche tempo nella sua villa di Biancanigo. I tedeschi inoltre conoscevano i Cristoferi e i Montanari e sapevano che abitavano nelle case coloniche destinate alla distruzione insieme con la villa. Michele Montanari assicura che con gli invasori non c’erano mai stati contrasti tali da giustificare un’eventuale rappresaglia. A chi allora attribuire la responsabilità? Si trattò proprio di una fatale disattenzione? A questi interrogativi non è mai stato possibile dare risposta.
Nella notte del 17 dicembre, per interessamento di un maresciallo tedesco che si dichiarava cattolico e che faceva parte del comando insediato alla “Capanna”, il parroco don Tambini e Gino Gaddoni furono autorizzati e oltrepassare la linea tedesca con una bandiera bianca e a prendere eventuali contatti con gli stessi Alleati, per rendersi conto di persona se ci fosse stata la possibilità di portare qualche soccorso. La perlustrazione risultò vana e rischiosa. I due soccorritori trovarono il giovane Mario Montanari in preda alla disperazione, che gridava rivolto alle macerie: “Ventuno! Ventuno!”. Tra quei ventuno c’erano i suoi morti. A tanto strazio non restò altro conforto che la parola del parroco.
Si sa che alcuni invasori si mostrarono indifferenti al cordoglio dei sopravvissuti e che il recupero delle vittime venne impedito, essendo in corso la guerra. Soltanto in maggio si poterono esumare i corpi ormai irriconoscibili, straziati dall ‘esplosione e soffocati dal vino, che dalle botti squarciate aveva invaso la cantina.

Con l’eccidio di Villa Rossi la guerra, appena arrivata sul Senio, si annuncia in tutta la sua asprezza. Il 23 dicembre viene fatto saltare il ponte sul Senìo all’altezza della Via Emilia. Castelbolognese, tagliato fuori dal capoluogo di provincia e abbandonato all’arbitrio dell’invasore, precipita nella catastrofe e paga col prezzo di circa duecento vittime di rappresaglie e di bombardamenti la liberazione del 12 aprile 1945.

Il racconto dell'eccidio nelle Cronache Parrocchiali dell'epoca dei fatti (Archivio San Pietro di Biancanigo)

Il racconto dell’eccidio nelle Cronache Parrocchiali dell’epoca dei fatti
(Archivio San Pietro di Biancanigo)

L’elenco delle vittime dell’eccidio di Villa Rossi

Famiglia CRISTOFERI   Famiglia MONTANARI
GIUSEPPE CRISTOFERI
FILOMENA VILLA in CRISTOFERI
SEBASTIANO CRISTOFERI
RAFFAELE CRISTOFERI
CELSA GEMINIANI in CRISTOFERI
RITA TRERE’ in CRISTOFERI
PIA VALLI in CRISTOFERI
LUCIA CRISTOFERI
PRIMO CRISTOFERI
CESARE CRISTOFERI
GIOVANNI CRISTOFERI
anni 84
anni 72
anni 39
anni 33
anni 24
anni 39
anni 33
anni  4
anni 10
anni 10
anni  2
GIOVANNI MONTANARI
TERESA MINGAZZINI
LEDA GOTTARELLI
NICOLA MONTANARI
SERAFINO MONTANARI
LIDIO MONTANARI
GIOVANNA MONTANARI LAMA
GIUSEPPE LAMA
NELLO LAMA
SANTINA LAMA
anni 52
anni 49
anni 43
anni 14
anni 12
anni  7
anni 54
anni 64
anni 29
anni 20
 
L'oratorio della Villa Rossi e il monumento eretto in memoria dei caduti nel 50° anniversario dell'eccidio

L’oratorio della Villa Rossi e il monumento eretto in memoria dei caduti nel 50° anniversario dell’eccidio

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Anni ’40. La famiglia Montanari ritratta nell’aia del podere Crociaro di Sotto

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La famiglia Montanari ritratta durante una vendemmia

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Cartolina commemorativa stampata nel 2014 in occasione del settantesimo anniversario

Testo tratto da: L’eccidio di Villa Rossi a Biancanigo, 17 dicembre 1944: memoria letta il 17 dicembre 1984 nella chiesa di San Pietro apostolo in Biancanigo in occasione del 40° anniversario / Stefano Borghesi. – Faenza: Arti Grafiche, 1984

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