Echi del volontariato in tempo di guerra

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Nel rigido inverno del 1945 il fronte di guerra, assestatosi sul Senio, travolse con estenuanti bombardamenti Castel Bolognese. La popolazione, rifugiatasi nelle cantine, subì un calvario che, oltre ogni previsione, si sarebbe protratto fino alla liberazione d’aprile.
Si creò una situazione d’emergenza che i castellani affrontarono con senso civico e, talvolta, con il sacrificio della propria vita.
Dopo più di cinquant’anni il ricordo di uomini tra i più coraggiosi e generosi, combattenti per la liberazione o impegnati in opere di pronto soccorso e di sminamento, è affidato all’erezione di monumenti, all’intitolazione di vie cittadine, alle rievocazioni storiche affidate alla stampa soprattutto in occasione di commemorazioni o anniversari.
Tuttavia sono sempre rimasti in ombra alcuni dettagli dell’azione svolta da altri volontari per provvedere all’approvvigionamento di una popolazione abbandonata a se stessa nello sfascio del governo e nell’assenza di una pubblica difesa, tra i soprusi della soldataglia occupante e lo stillicidio delle granate.
Dopo la pubblicazione dell’opuscolo intitolato: “Memorie di guerra e voti di pace nel 50° della Liberazione”, distribuito in queste settimane dalla parrocchia di S. Petronio, Luigi Bosi (residente in via Mazzini) ha esibito un documento originale per colmare una lacuna dell’informazione su un importante servizio reso alla popolazione civile durante la sosta del fronte.
Nel gennaio 1945 si formò una Consulta Comunale. Ne facevano parte l’arciprete Sermasi, Antonio Bosi, Gustavo Gardini, Arnaldo Cavallazzi, Tommaso Morini, Giuseppe Dari, Giovanni Dal Prato (Gianèto d’Scudlòn). Impegno della Consulta fu quello di provvedere ai bisogni, soprattutto alimentari dei cittadini con l’organizzazione di un servizio disbrigato da giovani volontari: Luigi Bosi, Primo Errani, Anacleto e Francesco Mingazzini (d’Madgena), Alberto e Luigi Silvestrini.
Questi concittadini, a turno e a intervalli di pochi giorni, si recavano a Imola per ritirare provviste nei negozi del centro o per portare ai mulini del luogo il grano da macinare. Il trasporto veniva effettuato con un carro accompagnato ogni volta da almeno due persone e trainato dalle mucche o dal cavallo appartenenti alla stalla di Scardovi (Bagiòla) situata all’angolo tra via Rondanini e l’attuale piazza Borghi. Le provviste venivano poi concentrate nelle camere messe a disposizione da Filippo Dalprato (Filipòn) nel suo palazzo prospiciente il Corso (ora proprietà del sig. Gaetano Marzocchi). Filipòn gestiva l’ufficio postale ubicato nella sua abitazione e svolgeva anche funzioni analoghe a quelle di economo comunale. Altri volontari provvedevano a distribuire i viveri tra la gente che andava a rifornirsi non senza rischi a causa dei frequenti bombardamenti.
“II viaggio fino a Imola – dichiara Luigi Bosi – ci esponeva a continui pericoli soprattutto nel tratto più esposto alla pioggia di granate tra l’abitato di Castello e il Rio Sanguinario. Cercavamo di muoverci approfittando degli intervalli tra i bombardamenti e della sosta, pur sempre insidiosa, degli scoppi che facevano impazzire il cavallo di Bagiòla. I tedeschi talvolta ci fermavano ed esaminavano con malcelata diffidenza il permesso rilasciatoci dal loro comando. Nonostante ci avessero autorizzato a compiere un servizio civile, non tralasciarono neppure di mandarci a scavare buche per le loro postazioni nei campi vicini al Ponte del Castello verso Faenza, vale a dire sulla linea infuocata del fronte dove il pericolo era massimo. Ci capitò di incrociare all’altezza dei “Böti” (presso le “Cupole” di oggi) carri colmi di soldati tedeschi morti e trainati dai commilitoni che facevano ritorno dal Ponte. Noi tuttavia riuscimmo a sottrarci a quelle prestazioni in modo fortunoso”.
Luigi Bosi conserva un ricordo affettuoso ed ammirativo di Primo Errani, suo coetaneo compagno nella rischiosa avventura del servizio civile. Questi abitava a “l’Bartozz” in parrocchia di Biancanigo.
Un giorno Primo Errani entrò con Anacleto Mingazzini nel palazzo del marchese Zacchia, esteso tra il Corso e via Pallantieri, per prelevare un sacco ripieno di roba.
Toltosi il berretto, che lasciò in mano ad Anacleto, si caricò il sacco sulle spalle. Quando i due compagni raggiunsero l’uscita, una pioggia di granate li indusse a fermarsi per prudenza. Attesero la tregua delle deflagrazioni, poi si affrettarono ad allontanarsi, ma un inaspettato scoppio di granata li colse sotto il portico del palazzo.
Primo Errani, colpito dalle schegge, stramazzò a terra con la testa recisa.
Era il 28 marzo 1945.

Stefano Borghesi

testo e immagine del certificato tratti da Il Nuovo Diario Messaggero del 4 gennaio 1997

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Primo Errani
(si ringrazia Giovanna Errani
per la fotografia)

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Memoria funebre distribuita nel maggio 1945

 

 

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