Il Senio, piccolo ma storico “Fiume”

Il Senio “Sinnius” per i romani, “Sinno” per i pellegrini medievali, bagna Castel Bolognese arrivando quasi a lambire le ultime case dell’abitato in località Boccaccio, dalle quali dista poche centinaia di metri. Nasce in comune di Palazzuolo sul Senio, in terra di Toscana, dal Monte Carzolano, proprio sotto il Passo Sambuca e le due maggiori sorgenti sono quelle delle Fontane Benedette e quella del Soldato. La prima parte della vallata, almeno fino a Casola Valsenio si configura stretta, con fianchi ripidi che lasciano poco spazio alle coltivazioni ma lo consegnano a boschi e castagneti; il paesaggio è bello, spesso ancora selvaggio, con scorci pittoreschi. Passata Casola, il Senio scorre incassato nel suo letto fino alla chiusa della Vena del Gesso presso Borgo Rivola, sicuramente il punto più spettacolare dell’intera valle, dove il fiume ha eroso il monte fino a scoprirne le rocce vive che strapiombano dall’alto nelle sue acque. Peccato che la cava del gesso abbia pesantemente deturpato questo angolo di Romagna. Dopo Borgo Rivola la valle si pare e le colline degradano dolcemente; crescono invece gli argini, che, sempre più possenti, accompagneranno le acque del fiume attraverso la pianura fino al Reno, di cui il Senio è tributario, nei pressi di Madonna del Bosco in agro di Alfonsine. Il suo corso è lungo 90 chilometri ed il suo bacino montano è di 285kmq.

Un fiume “ballerino”

Il Senio che vediamo oggi non è quello che videro i nostri antenati, e, probabilmente, non fu quello che attraversarono i dinosauri (o loro parenti prossimi). E’ infatti provato che, secondo gli antichi, esso era uno dei trenta fiumi che riversavano le loro acque, le sabbie e le erosioni nella grande palude della valle padana o Padusa, formando ampie aree lagunari, paludi, acquitrini, finché, a causa del ritiro delle acque marine, dell’evaporazione delle paludi salmastre e dei cataclismi emersero le terre della Romagna. Prima del VI secolo il Senio sfociava nella laguna ravennate, probabilmente in confine con la via Masiera, nel luogo detto “delli tre confini: di Bagnacavallo, Fusignano e Ravenna” formando alla foce un porto chiamato Predosa. Secondo Giovan Battista Onofri fino all’anno mille le acque del fiume scorrevano libere nell’alveo delle proprie arene, ma nel 1537 fu immesso nel Po di Primaro (ora Fiume Reno). Nel 1687 si aprì un nuovo letto e, più tardi, fu sistemato ed arginato nel tratto estremo fino al fiume Reno.

Un particolare fenomeno geologico ha probabilmente interessato il nostro fiume all’altezza dell’abitato di Riolo: l’alto e medio corso del Senio sarebbero stati “catturati” da un affluente di sinistra del Sintria il quale, da un punto di vista morfologico, sarebbe quindi il collettore e non l’affluente. Secondo questa ipotesi, in epoca anteriore a qualsiasi civiltà, sarebbero esistiti due distinti corsi d’acqua: il Senio che, dopo Riolo, avrebbe raggiunto la pianura attraverso l’attuale corso del Rio Sanguinario, ed il Sintria che, sotto Villa Vezzano, avrebbe proseguito per l’attuale letto del Senio. Prova di ciò sarebbero: 1- l’anomala deviazione della valle con inclinazione S-O verso N-E da Riolo fin sotto Villa Vezzano; 2 – la depressione dello spartiacque Senio/Sanguinario proprio sopra Riolo che giunge ad appena 54 metri sopra la superficie principale del fondovalle; 3 – la ampiezza a le profondità della Valle del Rio Sanguinario, di certo sproporzionata alla portata dell’attuale rio.

Cartina geologica

Cartina geologica che mostra la cattura fluviale del Senio (tratta da Studi Romagnoli, vol. II, Faenza 1951)

Fiume o torrente?

Per duemila anni il nostro Senio è stato chiamato fiume, e tale, penso, lo consideri la maggor parte degli abitanti della sua valle. Tuttavia, lo scarno ed arido linguaggio burocratico gli attribuì nel 1910 ad opera di tale E. Perrone, incaricato di compilare la mappa idrogeologica d’Italia, l’appellativo di “torrente”, subito assimilato, acriticamente, dall’Istituto Geografico Militare, dal Touring Club Italiano e dai cartografi. Ciò perché le sue “misure” confrontate con gli squallidi parametri della burocrazia rientrerebbero nella categoria “torrente” anziché in quella di “fiume”. A questo punto, voglio ricordare l’accorata difesa al nostro “fiume” fatta dal riolese Leonida Costa su una “Pié” di tanti anni fa: chiamare torrente il Senio, con la storia che questo corso d’acqua ha condiviso, con la tradizione che da sempre ha rappresentato, significa svilirlo di una eredità che il tempo gli ha assegnato. Perché, dice il Costa, allora, non chiamiamo colle Mario il Monte Mario di Roma, visto che la sua altezza è di soli 150 metri, poiché per i cartografi un monte deve essere alto almeno 600 metri?

Condivido in pieno le ragioni di Costa, e auspico che i comuni a cavallo del Senio, Palazzuolo, Casola, Riolo, Castel Bolognese, Solarolo, Cotignola, Lugo, Fusignano ed Alfonsine, si facciano promotori di una iniziativa perché il “Torrente Senio” si torni a chiamare Fiume Senio. D’altra parte quanti torrenti come l’Uso, il Pisciatello o il Rubicone (per citare i più vicini a noi) sono appellati “fiumi” e non lo sono, visto che il loro piccolo letto, in estate è per lo più secco, cosa che non accade al Senio? Abbiamo però un alleato nella nostra battaglia: la Provincia di Ravenna che (perché convinta o per distrazione?) ha piazzato su tutti i ponti delle sue strade il cartello “Fiume Senio”.

Che fiume passò Giulio Cesare?

La storia ci racconta che Giulio Cesare, appostato sulla riva di un fiume che segnava il confine tra le Gallie a lui assegnate, e l’Italia data a Pompeo, pronunciasse la famosa frase “alea iacta est” prima di varcarlo e provocare la guerra civile. Questo corso d’acqua non è mai stato identificato con certezza, benché gli storici ci tramandassero il suo nome “Rubico”. La controversia dura ormai da parecchi secoli ed oggi prevale l’opinione che, identificando il fiume nel tratto superiore del Pisciatello, suppone che il suo corso nel piano deviasse verso Savignano e, raccogliendo le acque di vari torrenti, confluisse sotto il ponte consolare della Via Emilia posto all’ingresso di quella città. Tuttavia mi è capitato di leggere in proposito una interessante ipotesi; il fiume varcato da Giulio Cesare nel 49 a. C. era il Senio. La tesi si regge sul fatto che i confini del territorio dei Galli Senoni che, grossomodo occupavano le attuali province di Pesaro e Rimini, parte di quelle di Forlì ed Ancona sarebbero stati, a sud i fiumi Sentino ed Esino, i quali, dopo aver bagnato l’antica Sentinum (oggi Sassoferrato) e formato le grotte di Frasassi, giunge in pianura a Jesi sfociando in Adriatico nei pressi di Falconara Marittima. A nord il confine fra i Galli Senoni e i Galli Boi sarebbe stato il Senio. La derivazione da “Senones” dei nomi di quei fiumi giustificherebbe l’ipotesi. Benché Galli Senoni e Galli Boi fossero già stati da tempo schiacciati dai Romani, questo fiume rappresentava ancora il confine naturale tra Italia e Gallia Cisalpina, e tale non poteva essere l’attuale Rubicone che, oltre ad essere un breve rigagnolo, facilmente valicabile, non fu mai confine naturale anche perché le sue sorgenti non sono sullo spartiacque Adriatico – Tirreno. C’è un altro particolare che chi scriveva forse non conosceva o non ha considerato, ma che oggi mi sovviene chiaro a suffragare questa tesi. Circa a metà strada fra Castel bolognese e Solarolo, in parrocchia di Casanola c’è sul Senio “e pass ‘d lungaia” che ospitava fino a qualche anno fa una passerella sul fiume. Il luogo e la strada che ivi conduce sono indicati in “Donegaglia” o “Donnigaglia”. Ma “Donnigaglia” non è forse l’involgarimento del latino “Dominus Galliae”? E’ incontrovertibile che Giulio Cesare fosse all’epoca il Signore delle Gallie. Forse non sarà vero, tuttavia il Senio ha sempre rappresentato un confine importante in varie occasioni della storia.

Le battaglie del Senio

Secondo l’Emiliani i combattimenti di una certa importanza avvenuti sul Ponte di San Procolo (cioè al Ponte del Castello) sono otto e precisamente: nel 1169 e nel 1170 fra Bolognesi e Faentini, nel 1275 fra Ghibellini e Guelfi, nel 1276 fra Bolognesi e Faentini, nel 1350 fra Pontifici e Faentini, il 2 febbraio 1797 fra Napoleonici e Papalini. A queste occorre aggiungere la battaglia e la sosta delle truppe alleate fra il dicembre 1944 e l’aprile 1945.

Nel 1796 Napoleone iniziò la Campagna d’Italia. Battuti gli austriaci a Lodi (10 maggio 1796), costrinse molti principi italiani a fare atto di sottomissione. Secondo le condizioni armistiziali del 23 giugno 1796 il Senio segnava i confini fra il territorio francese, poi divenuto Repubblica Cisalpina (e qui ritorna Giulio Cesare…) e quello conservato dallo Stato Pontificio. Il primo febbraio 1797 Napoleone lanciò un proclama da Bologna annunciando l’entrata in Romagna. Il 2 febbraio 1797 le truppe napoleoniche e quelle papaline si scontrarono sul Ponte di San Procolo, sul fiume Senio. L’armata francese era composta da cinque legioni di fanteria, due di cavalleria, tre battaglioni di volontari lombardi e tre di volontari cisalpini al comando del generale Victor. Le truppe del Papa erano armate male; un migliaio di volontari guidati da sacerdoti ed alcuni cittadini (la cosiddetta guardia civica) armati di lance, alabarde, armi da taglio ed archibugi si affiancarono a tremila soldati di fanteria, a centocinquanta di cavalleria e ad alcuni artiglieri che avevano dieci cannoni. Si attestarono al Ponte di San Procolo al comando del colonnello Carlo Ancajni di Spoleto. Il primo febbraio le truppe francesi erano concentrate a Castel Bolognese. Prima che cominciasse l’attacco, fu inviato un ufficiale francese a chiedere all’Alcajni di lasciare il passo alle truppe in nome della Repubblica Francese, ma l’invito non fu accolto. Il generale Victor allora mandò avanti i Lombardi ed i cisalpini con il compito di assalire i Pontifici al ponte del Senio. Fu il battesimo del fuoco di questi volontari che da solo tre mesi vestivano l’uniforme militare. Quando iniziò la battaglia i pontifici non seppero resistere all’attacco e, poco dopo, si ritirarono dentro le mura di Faenza lasciando in mano al nemico i cannoni e molti prigionieri. Iniziava con questa vittoria la conquista dello stato pontificio da parte di Napoleone, siglata con la pace di Tolentino del 19 febbraio 1797 con la quale il Papa dovette cedere al futuro Imperatore dei Francesi i territori delle Quattro Legazioni (Bologna, Ferrara, Ravenna, Forlì) oltre che numerose opere d’arte e una forte indennità di guerra.

Riproduzioni di stampe di Felice Giani raffiguranti i papalini prima e dopo la battaglia di Faenza (o battaglia del Senio). (Faenza, Museo del Risorgimento; le immagini sono tratte da “Studi Romagnoli”, n. XIV, 1963).

Riproduzioni di stampe di Felice Giani raffiguranti i papalini prima e dopo la battaglia di Faenza (o battaglia del Senio). (Faenza, Museo del Risorgimento; le immagini sono tratte da “Studi Romagnoli”, n. XIV, 1963).

L’ultima battaglia del Senio è ancora nella memoria di tanti che vissero e soffrirono in quei mesi dell’inverno 1944-45. Su queste acque si consumò l’ultima disperata e feroce difesa delle truppe germaniche dall’offensiva anglo-americana. Ancora una volta il nostro fiume rappresentava un confine: la linea gotica, che i tedeschi cercavano di difendere per impedire agli avversari la conquista della Valle padana e il successivo accerchiamento della Germania. Dopo il crollo della “Linea Gustav” che attraversava l’Italia presso Montecassino, e la conquista da parte degli Anglo-americani di Roma e dell’Italia Centrale, qui v’era riposta l’ultima speranza dell’esercito tedesco. La battaglia infuriò dal dicembre 1944 all’aprile 1945 lasciando nei nostri paesi segni indelebili del suo passaggio. Casola Valsenio, Cotignola, Alfonsine furono quasi completamente rasi al suolo; Castel Bolognese subì danni ingentissimi così come pure Riolo Terme e Solarolo. Ingenti le perdite di vite umane fra i civili.

Oggi, le tranquille acque del Senio non parlano più di odio fra i popoli e di assurdi confini che ancora qualcuno vorrebbe erigere nella nostra bella Italia, ma di amore fraterno e di lavoro. Ai nostri tempi, come secoli fa, sono infatti sfruttate dagli agricoltori, anche per mezzo dei vari canali che si dipanano dal fiume, per irrigare quella ubertosa campagna che si stende lungo le rive del Senio e che fa di questo angolo di Romagna un irripetibile giardino d’Italia.

Paolo Grandi

BIBLIOGRAFIA:

AA.VV., Guida d’Italia – Emilia Romagna, Touring Club Italiano, 1971;
COSTA L., Sinnius flumen in La Piè 1977 n. 4, pag. 152, Forlì 1977;
DIVERSI O., La valle del Senio in La Piè 1969 n. 4 pag. 154, Forlì 1969;
GRANDI T., Castel bolognese tra cronaca e storia, Castel Bolognese 1984;
R.G,. Francesi e Papalini al ponte di San Procolo in Il Resto del Carlino del 12 ottobre 1930.
RUGGIERI G., Probabile cattura dell’alto e medio corso del Senio da parte del Sintria in: Studi Romagnoli, vol. II, Faenza 1951;

Il Nuovo Diario n. 44 del 26/11/1994
Il Nuovo Diario n. 3 del 21/01/1995
Il Nuovo Diario n. 6 del 11/02/1995

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