Matrimoni “difficili” ai tempi della peste del 1631

a cura di Andrea Soglia

Di certo i problemi che si sono posti nel 2020 per i matrimoni e i festeggiamenti ad essi collegati non sono una novità. Anche durante le precedenti pandemie le prescrizioni sanitarie delle autorità rendevano difficili soprattutto i banchetti di nozze, ma a differenza di oggi ciò riguardava solo una piccola fetta della popolazione, quella della nobiltà: per i ceti più poveri il matrimonio avveniva in modo assai sobrio.
Nel 2020 ci sono giunte notizie di modi più o meno originali (ma deprecabili) di aggirare i divieti. In Romagna c’è stato chi ha diviso gli invitati in tre distinte feste, in modo da non superare il numero massimo consentito. E anche durante la famosa peste del 1630-31 si idearono degli escamotage che consentivano di festeggiare e nel contempo non disattendere le norme anti-contagio, allora assai più rigorose e fatte rispettare con la massima severità. A Faenza, come ci racconta il sito Buonsenso Faenza era stata ordinata “la messa in opera di “forche” lungo tutte le strade della città per giustiziare chiunque avesse trasgredito le norme predisposte”. Il cronachista faentino Niccolò Tosetti ci racconta, inoltre, che “tutte furono sposate”, cioè usate e che un tale fu impiccato per aver passato del pane a dei suoi figli, che erano al di là del Senio.
E nel 1631, proprio sul Senio, al Ponte del Castello, si svolse una festa di matrimonio davvero particolare. Ce ne è giunta notizia grazie ad una memoria storica rinvenuta all’interno di un volume del fondo modiglianese nella biblioteca Cicognani del Seminario di Faenza, e pubblicata da Marco Mazzotti su Manfrediana n. 25 nel 1991.
Eccone il testo:

“Adì 26 e 27 d’agosto 1631 si fece solenne banchetto al Ponte di Castelbolognese, a requis(izio)ne del signor Paris M(ari)a Grassi e signora Daria Spadi, sposi, stando una tavola di quà et un’altra di là, senza potersi accostare, rispetto al contagio che all’ora si facea sentire in Imola et a Bologna era cessato”.

Lo sposo era originario di Bologna, la giovanissima sposa originaria di Brisighella, e al Ponte del Castello c’era anche il confine fra due Legazioni diverse, quella di Bologna (di cui faceva parte Castel Bolognese) e quella di Romagna (che comprendeva non solo Faenza e Brisighella, ma anche Imola). Con i dovuti permessi, banchettarono con le rispettive famiglie, con il fiume a dividerli, e con il divieto assoluto di avvicinarsi gli uni agli altri. Una festa forse anche più sfrenata di altre, dato che l’incubo della pestilenza stava finalmente per finire. Non è dato sapere se anche il matrimonio fosse stato celebrato sul posto, con gli sposi sulle rive opposte, o magari nell’attigua Pieve di San Procolo al Ponte, con lo sposo autorizzato a varcare brevemente il confine.
L’unione iniziata in un così originale modo, però, non fu troppo felice. La giovanissima Daria, della nobile famiglia Spada di Faenza/Brisighella, morì appena 17enne l’anno successivo. Il conte Paris Maria Grassi, successivamente risposatosi, morirà a Bologna nel 1653, ucciso da un sicario mandato dal senatore Antonio Maria Legnani.

Il Banchetto nuziale, dipinto a olio su tavola, di Pieter Bruegel il Vecchio, databile al 1568 circa e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Andrea Soglia (a cura di), Matrimoni “difficili” ai tempi della peste del 1631, in https://www.castelbolognese.org

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