Nicola Utili (1888 – 1962)

nicola_chitarraLiutaio (Nicola da Castelbolognese). Ancora ragazzo costruì la prima chitarra rompendo e servendosi di un armadio di casa. Da solo, seguendo inizialmente le classiche tecniche della liuteria, intraprese la sua professione dedicandosi con febbrile passione a costruire ogni apparecchio, attrezzo, ed a esperimentare tipi di vernici per ottenere strumenti che avessero i requisiti da lui voluti e le caratteristiche da lui pensate. Non volle mai produrre violini di tipo commerciale ma seguì sempre il tuo talento senza cedere ad allettanti e convenienti proposte.

Nelle mostre di liuteria di Stoccolma (1921), Torino (1923) e Barcellona (1929), Nicola da Castel Bolognese ebbe lusinghiere affermazioni confermate poi anche da concertisti, direttori d’orchestra e compositori di fama, quali Riccardo Zandonai e Francesco Balilla Pratella.

Vari sono i tipi di violino creati da Nicola. Oltre al tipo classico, ne costruì senza le tradizionali punte e, qualche esemplare, a forma di pera, la cui sonorità non era seconda al tipo tradizionale.

Chitarre, mandolini, contrabassi, violoncelli, viole e violini sono sparsi ovunque, in Europa e in America, e il tempo dirà se le creazioni del liutaio castellano potranno competere con gli istrumenti dei più celebri liutai.

Era un superbo intagliatore e la sua valentia la applicava in ogni circostanza. Costruì una artistica e magnifica scacchiera, un violino finemente intarsiato che donò a Mussolini (1), e un violino con figure allegoriche sulla prima guerra mondiale.

Applicò pure, alla distrutta torre campanaria del paese, un geniale sistema di sollevamento della scala d’accesso. I figli Maria e Poliuto hanno donato al Comune tutti gli ingegnosi attrezzi ed apparecchi che il padre aveva costruito.

(1) Il violino fu in realtà ordinato dalla Società Operaia di Forlì. Era un violino a ondatura fine; fu regolarmente pagato ad Utili e dalla Società stessa gli fu chiesto di consegnarlo personalmente al Duce. Attualmente lo strumento sembra faccia parte della raccolta della Fondazione “G. Iviglia” di Zurigo.

Biografia tratta da: “Il territorio di Castelbolognese: raccolta di notizie e cronaca” a cura di Oddo Diversi. – Imola : Grafiche Galeati, 1972

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Violino costruito da Nicola Utili nel 1928 (proprietà di Darol Anger)


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L’altana di casa Utili e il violino segnavento

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Nicola al lavoro accanto al figlio Poliuto

Note biografiche di Mastro Nicola da Castelbolognese, mio padre

A cura di Poliuto Utili

Trattandosi di mio padre, solo mi accingo ad enumerare tutta una serie di dati intercalati a tanti aneddoti, per riordinare ed esporre l’opera di un artista che, seguendo se stesso, volle riprendere il cammino dei grandi liutai del passato.

Da lui imparai la liuteria senza saperlo e mentre gli amici giocavano al doposcuola, innalzavano gli aquiloni e gareggiavano al tamburello, la mia prima infanzia la passai fra sgorbie, scalpelli, compassi, istrumenti rari e tanti e tanti violini vecchi e nuovi, a pezzi o completi.

Durante l’estate dovevo rimontare ogni ora tre ripide scale per raggiungere una terrazza in cima alla casa dove, su lunghe sbarre, erano allineati 8, 10 o 15 fra violini, viole e violoncelli che facevano la cura del sole, scottavano terribilmente e dovevo voltarli dall’altra parte per uniformare il grado di ossidazione delle vernici che mio padre gli applicava ogni giorno dalle 6 alle 8 del mattino. E così tutti i giorni quando c’era sole, ogni due o tre anni. Il babbo costruiva 5 o 6 istrumenti per anno.

Fra una scalata e l’altra dovevo poi intagliare tanti legni in base ai disegni che il babbo mi tracciava, figure astratte, nature morte, il mio autoritratto, la torre di Castello e tante tavole di violino, poi il riccio, il taglio della filettatura, il traforo ed il ritaglio delle ff e, a settembre, al ricominciare le scuole, mettevo mano ai feltri assieme a mia sorella Maria per la levigatura delle vernici.

Ogni giorno lo stesso, la domenica non esisteva e verso sera, mentre gli amici giocavano al fresco, io frequentavo la scuola di musica prima col Maestro Milzani poi Sgrizzi e studiavo la chitarra ed il violino su cui dovevo applicarmi almeno tre ore al giorno. Salvo poi, nelle restanti ore libere, studiare scultura assieme all’amico Raccagna nel laboratorio dello scultore Biancini.

Così, fin da bambino, costruivo da solo mandolini e piccole chitarre che il babbo regalava agli amici e clienti per dimostrare loro con orgoglio che ero figlio suo. E ricevevo un premio, generalmente una lira, che non riuscivo a spendere non trovando il tempo libero per uscire di casa.

Però mi sentivo importante quando i clienti del babbo mi felicitavano e mi prendevano gli esami di musica, quando potevo toccare ed aiutare a riparare tanti istrumenti famosi, quando mettevo l’arco su un violoncello Guadagnini, su violini Stradivari e Maggini o ritoccavo la vernice ad un Amati sia pure nella pulitura e soprattutto al leggere tanta corrispondenza proveniente da tutte le parti del mondo con tanti elogi ed incoraggiamenti che, in fondo in fondo, toccavano anche me sia per il nome che per il cognome. E collezionavo i francobolli.

L’unica cosa che non mi andava giù, ed avevo già 12 anni, era quando mio padre si rinchiudeva a chiave nella terrazza con la mamma per comporre la sua vernice speciale. Metteva mano ad una specie di fucina con un alto camino e tanti alambicchi e per tre, quattro giorni non c’era per nessuno.

Alla sera tentava di giustificare questa esclusione col dire che si trattava di cose pericolose e che ai 18 anni si incendiò e bruciò la vecchia bottega dovendo saltare dalla finestra per salvarsi, ed era vero. E così insistette fino a quando riuscii a sostituire mia madre in questa missione e mi confessò che non voleva rivelare a nessuno i suoi sistemi e temeva in una mia indiscrezione infantile. Comunque, 10 anni dopo, soffrimmo una esplosione ove il babbo, per salvare me dalle fiamme, soffrì grave bruciature di terzo grado che lo mantennero inattivo per più di 4 mesi.

Già aveva fiducia in me e mentre lavoravo saltuariamente con lui dopo le ore di studio, mi andava trasmettendo ogni sua inquietudine d’arte. Da molti anni aveva scelto una impronta personale ed originale per la sua creazione liutaria e mai volle staccarsi minimamente da questa personificazione. E mi andava ripetendo: “L’artista è un creatore e per questo deve scegliere la sua strada ed andare fino in fondo se non vuol essere un falegname di liuti”. E lo diceva in romagnolo per dare maggior forza alla sua decisione.

Centinaia di clienti gli richiedevano istrumenti di forma tradizionale e lui immancabilmente rispondeva che non poteva soddisfare tale richiesta trattandosi di liuteria del passato. Come fosse fuori moda ed antiquata e così la intendeva. E perdeva fior di quattrini, dicevo io sottovoce alla mamma.

Dall’America un commerciante di fama gli offrì una fortuna per ogni violino modello Stradivari che volesse costruire per quel mercato e mio padre, come sempre, declinò l’offerta con indignazione. E mi spiegava che a Stradivari gli avevano offerto inutilmente grosse somme per la costruzione del modello Amati in auge a quell’epoca.

E all’insistenza dei sui ammiratori Bernardo e Raccagni per costruire anche un modello Stradivari con la sua vernice a Tempra, mi incaricò di riottenere dal mercato regionale gli strumenti della sua prima maniera che aveva costruito in gioventù esattamente sui modelli Stradivari, Guarneri, Amati e Maggini per rimetterli in commercio oltreoceano e così dimostrare che il nuovo violino rappresenta un passo avanti come prodotto della maturità artistica raggiunta. I fatti e la critica dimostrarono che ancora una volta aveva ragione.

Non volle mai che mi dedicassi, come doposcuola, alla riparazione esteriore di strumenti dozzinali e solo mi incoraggiava alla riabilitazione acustica col noto sistema di “Rinforzo Armonico”. Solo in questo dopoguerra, quando scarseggiavano i clienti e gli stessi legni per costruire istrumenti nuovi e mentre attendevo la ripresa della mia attività personale, accetò a malincuore che mi occupassi della riabilitazione di certi istrumenti vecchi, anche se di fabbrica, per conto di clienti, amici e commercianti regionali. Come unica condizione non dovevo usare la sua vernice all’olio di lino e tempra al sole.

Mi dedicai infatti a rimpiazzare le vernici originali con altre a spirito su istrumenti a cui applicavo il noto Rinforzo Armonico e che ritoccavo nella parte estetico lineare, rivalorizzando tanti esemplari ormai inservibili. Così fu che negli anni 1946 e 1947 riuscii a rimettere in sesto oltre 80 violini, due viole e un violoncello di legni ottimi.

L’esito di questa mia attività sorprese profondamente mio padre per cui volle andare a fondo nella questione ed arrivò ad una conclusione evidente: Mi ero improvvisato in un liutaio del commercio sulla stregua di tanti suoi contemporanei che lui additava come falegnami della liuteria e peggio.

Infatti, a dire il vero, compravo, riparavo e rivendevo gli istrumenti della prima maniera di mio padre costruiti su modelli tradizionali. Compravo, riparavo e rivendevo certi capolavori di mio padre modello antico ed anche moderno. Correggevo, modificavo e riverniciavo tanti strumenti di origine ignota per certi commercianti non sempre scrupolosi e cosa si ottenne?

In America o altrove non si ritrovò un solo istrumento Utili costruito sui modelli tradizionali mentre erano entrati in commercio quelli anonimi riverniciati da me nei quali il commercio truffaldino aveva introdotto la falsa etichetta Nicola Utili per via della vernice che, anche se a spirito, riproduce i colori caratteristici della nostra famiglia.

Mi chiamò e disse: “Per quello che vedi, io preferisco che tu continui la tua attività e lasci morire in pace il mio cognome come un artista isolato che lottò tutta una vita contro il losco commercio della liuteria. Non vorrei mai che il mondo attuale ti inducesse a seguire la strada di tutti i miei colleghi che guadagnano milioni col solo vivere fuori dell’arte liutaria e molte volte fuori della legge”.

E più tardi trasmise la sua principale preoccupazione al Maestro Pratella: “Poliuto è nato liutaio e sia pure come passatempo ha accumulato tanta maestria e cultura professionale che se volesse e con la mia vernice potrebbe facilmente costruire lo Stradivari che lo stesso Antonio non riuscirebbe a contraddistinguere. Guarda cosa si sta scoprendo in Svizzera! “.

Non aveva ragione, comunque finì di colpo; il nome ed il cognome mi condannavano ad essere artista puro e mio padre mi sentenziò come fabbricante di liuti che per lui, lo so bene, voleva dire falegname di liuteria e peggio. Era fatto all’antica, non comprendevo ed oggi l’ammiro. Ci distanziammo per essere più uniti che mai su quel giravento a forma di violino moderno che ancora sventola in cima alla terrazza che domina il vecchio Castello dove visse un artista isolato che volle restare tale seguendo se stesso.

Mio padre, al dedicare a me questo libro e all’affidare a me e mia sorella Maria la sua pubblicazione, certamente volle che lo ricordassimo così com’era, senza romanticismi e con pochi complimenti. Riprendo dunque i suoi diari e suddivido la sua attività in tre maniere d’arte ben definite più una fase di transizione in cui, imparato il mestiere, ricercò la sua personificazione.

PRIMA MANIERA 1900- 1913

Autodidatta e a solo 12 anni, volle convincersi che poteva costruire da solo qualsiasi tipo d’istrumento a corda e si dette a produrre chitarre, mandolini, un liuto, violini, viole e violoncelli imitando fedelmente i modelli, le misure ed il colore che poteva intravedere negli istrumenti del mercato originale.

Le sue doti istintive, l’entusiasmo e la perizia accumulata, fecero sì che il “bambino prodigio” riuscisse ben presto a possedere una vastissima clientela regionale che si rivolgeva a lui per riparare tanti istrumenti e per la compra di quelli nuovi che produceva in un tempo brevissimo con sempre migliori risultati acustici e lineari.

Ancora nell’anno 1907 la sua inquietudine investigativa lo portò a sperimentare sistematicamente ogni legno per liuteria, le arcature, le vernici e tanti sistemi costruttivi pur rispettando le forme tradizionali degli istrumenti Stradivari, Guarneri, Amati e Maggini e, subito dopo, a ricavare una tavola della tensione e pressione d’accordatura per ogni tipo di istrumento per poter equilibrare la costruzione allo sforzo che deve sopportare.

La sua perizia si venne così accumulando stabilendo tante e tante combinazioni d’assieme e più ancora quando si dedicò alla riparazione acustica di strumenti vecchi ed antichi per ridare loro quella voce che il tempo, l’uso, le riparazioni sconvenienti e le condizioni di manutenzione o di costruzione avevano pregiudicato.

Fin dall’anno 1906 eccelse in questo tipo di riparazione acustica che lui stesso volle battezzare “Rinforzo Armonico” ed attrasse a Castelbolognese tutta una clientela di primissimo ordine da tutte le parti d’Italia. Giornali, riviste e libri di liuteria si dedicarono ad attribuirgli doti maestre ed una prima fama di carattere nazionale.

Con tutto, in questo periodo riuscì a costruire 82 violini, 2 viole, un violoncello, un contrabbasso, due quartetti, 22 chitarre, 12 mandolini e un liuto per cui, in base all’esito economico, sposò Olga Liverani e dette i primi passi per la compra di quella casa laboratorio dove visse per tutta la vita.

Nell’anno 1904 alle Esposizioni di Ravenna, appena sedicenne, ottenne il diploma di “Menzione Onorevole” mentre si affermava decisamente con la chitarra da concerto un poco in tutti gli ambienti.

PERIODO DI TRANSIZIONE 1914 – 1915

Dopo un primo ciclo di apprendistato nel quale volle dimostrare a se stesso che poteva comodamente uguagliare e superare la liuteria contemporanea dedicata esclusivamente alla riproduzione quantitativa, avviò la sua professione all’arte pura sui binari della innovazione cosciente e stabilì due nuovi modelli di strumento ad arco, uno ancora con le cuspidi appuntite a spalle cadenti e l’altro con le cuspidi arrotondate che erroneamente si volle chiamare “senza tappi”. Non mancarono alcuni esemplari sullo stile Liberty.

Sul primo modello costruì i suoi capolavori “Le mie nozze” – “L’Ornato” – “L’Orientale” – “Il Guglielmone” – “Il senza colla”, altri 11 violini, 2 viole, un violoncello ed un quartetto, mentre con le cuspidi arrotondate costruì il quartetto “L’Impero d’Oro”, un secondo quartetto e 12 violini adottando già i tappi a vena sbieca, lo scasso sotto alla chiocciola per riprendere la corda con le dita, le arcature dirette alla fascia ed una prima vernice all’olio di colore rosso violaceo, poi 10 chitarre e mandolini.

Periodo di indecisione sperimentale che perdurò poco più di due anni e venne interrotto bruscamente dal servizio militare per la Grande Guerra. Parecchi di questi istrumenti vennero terminati posteriormente.

Nell’anno 1914 organizzò una esposizione personale a Bologna per presentare il suo nuovo modello a cuspidi arrotondate.

SECONDA MANIERA 1919 – 1926

Ritornò dalla guerra con una chitarra e uno scampolo di 80 cm di un trave di abete mulo che aveva rintracciato a Castenedolo nell’anno 1916 e, adottando definitivamente il suo modello a cuspidi arrotondate in base ai risultati acustici ottenuti, si avviò alla seconda maniera imboccando decisamente la sua strada maestra che mai abbandonò fino alla fine, incoraggiato dalla sempre maggiore e più qualificata clientela.

In questo periodo e con questo abete previlegiato, sviluppò tutta una fase sperimentale di comparazione e si dedicò ad ideare e costruire una serie di apparecchiature sempre più perfette per la esatta lettura di ogni caratteristica dei legni e le forme più convenienti per ottenere quelle voci da concerto e quartetto che sempre hanno rappresentato il suo grande ed unico obiettivo.

Allo stesso tempo ideò e costruì tanti altri apparecchi e dispositivi per misurare i risultati ottenuti in ogni caso, lo stesso comportamento di tutto l’assieme costruttivo ed una serie vastissima di attrezzature per facilitare e perfezionare l’esecuzione di questo nuovo modello di strumento.

Lo studio, la investigazione e la sperimentazione di ogni tipo di vernice ed il loro apporto acustico in ogni caso, formarono il campo principale delle sue ricerche e solo nell’anno 1923 adottò definitivamente la sua personale vernice penetrante all’olio di lino temprata al sole, di colore rosso vermiglione che già esperimentava con altre da oltre 5 anni.

In questo periodo di superproduzione costruì 58 violini, 6 viole, tre violoncelli, e tre quartetti completi.

Dall’anno 1925 adottò un solo filetto nero come contorno delle tavole, armonica e di fondo.

Risultate vane le ricerche di un legno abete o picea uguale o superiore a quello rintracciato a Castenedolo, decise ed ottenne di comprare il trave da cui aveva prelevato lo scampolo accennato, anche se dovette smontarlo dal primo piano di una enorme costruzione e sostituirlo con un altro di quercia. Le peripezie di tale fatto vennero pubblicate e figurano nel Corriere Padano del 24 gennaio 1936.

Nell’anno 1921 alle Esposizioni Regionali di Forlì, ottenne la Medaglia di Argento e vendette tutti gli strumenti esposti.

Nell ‘anno 1921 organizzò una Mostra personale a Stoccolma.

Nell’anno 1924 in base all’esito e alle richieste sempre crescenti da tutte le parti del mondo, accettò l’incarico del Municipio di fondare una Scuola di Liuteria a Castelbolognese che non ebbe seguito per le obiezioni delle alte autorità liutocratiche dell’epoca che, al voler difendere lo “Stile Accademico” lo additarono come irrispettoso al culto di Stradivari per le innovazioni apportate alle linee tradizionali.

TERZA MANIERA 1927 – 1962

Sperimentate e definite le sue principali teorie acustiche, raggiunto il modello di maggiore rendimento per quartetto e concerto, con la sua vernice a tempra all’olio di lino ed in possesso dell’intero trave di abete mulo che già aveva sperimentato, Mastro Nicola si avviò alla terza maniera che comprende evidentemente le opere più raggiunte in ogni aspetto tecnofisiscacustico e lineare.

In questo periodo ha costruito 196 violini, 2 viole, 2 violoncelli e 5 quartetti fra i quali distaccano i suoi capolavori il “Quartetto Libertà” e “L’Ultimo quartetto”. Così volle chiamare in quanto mise in opera gli ultimi pezzi del trave d’abete che utilizzò in tutti gli strumenti di questa terza maniera.

Istrumenti tutti costruiti nel suo personale modello a cuspidi arrotondate, con lo stesso abete, la stessa vernice penetrante, aceri importati dalla Boemia e dalla Yugoslavia e solo per musiche di quartetto e concerto.

Con tutto, anche se era sempre sicuro di aver raggiunto l’istrumento perfetto, cercò costantemente di migliorare e superare il risultato acustico raggiunto per cui non esiste nella sua produzione un solo istrumento uguale all’altro.

Al vivere intensamente la sua arte, mio padre si rivolse sovente alla penna per dimostrare le sue teorie fondamentali su tanti e tanti giornali e riviste, non disdegnando la polemica più mordace specialmente quando volle mantenere alta la bandiera dell’arte liutaria contro la falegnameria copistica ed i falsificatori ed imitatori dell’epopea stradivariana. Restano famosi i suoi scritti contro i falsi stradivariani dell’anno 1929 che dettero motivo ad una inchiesta, poi a un processo ed una sentenza esemplare, così come le sue “Perizie” che contraddicevano, in decine e decine di casi, i cosiddetti “Certificati d’autenticità” rilasciati dalle più alte sfere liutarie e liutocratiche internazionali dell’epoca.

I concittadini di Castelbolognese poterono così assistere all’affluenza costante delle più note personalità del mondo artistico musicale alla modesta bottega di Mastro Nicola e raggrupparsi sotto alle finestre della sua casa ad ascoltare i grandi concerti dei migliori artisti che provavano per ore e ore gli strumenti nati dalle sue mani e tanti violini famosi che la gente di Romagna non avrebbe mai sognato di poter ascoltare.

I nomi ed i volti dei Maestri Yacobsen, Ferrari, Bonucci, Sarti, Vecsey, Poltronieri, Petroni, Bignami, Olbach, Bolognini, Resta, Bitelli, Laghi, Turricchia, Alessandri, Gironi, Babini, Galletti, Carletti, Matteucci, Toni, Pratella, Zandonai, Mascagni, Caffarelli ed altri di chiara fama internazionale, cominciavano ad essere conosciuti anche a Castello assieme ad altri sconosciuti di cognome indecifrabile provenienti dalle Americhe, dalla Germania, dalla Svizzera e dall’Inghilterra.

Fu così che il nuovo e moderno istrumento, la riparazione acustica e la perizia disinteressata, trasformarono la “bottega” di Mastro Nicola in un centro di attrazione e di riunione prima per i musici della regione, poi della nazione poi per tanti artisti famosi di tutte le parti del mondo e così fino alla fine.

Nel dopoguerra si aggiunsero alla lista dei visitanti i liutologi Pasqualini, Iviglia, Raccagni e Trasatti, che come chimico voleva scoprire il segreto della sua vernice a tempra, i maestri Corti, Guido Ferrari e Poggi, i liutai Lassi e Lucci, a cui vendeva legni di abete antico, gli antichi allievi Vistoli e Borghi e ritornarono i suonatori di sempre, i maestri e amici Luigi Bacchilega e Franceso Banaresi che provavano e riprovavano ogni nuovo istrumento sulle musiche della vecchia Romagna. E Mastro Nicola li accompagnava con la sua chitarra a 17 corde.

Nel 1928 venne premiato con il “Gran Premio” alle Esposizioni di Torino.
Nel 1929 venne premiato col “Diploma d’Onore” alle Esposizioni Internazionali di Barcellona.
Nel 1929 organizzò una esposizione personale a Firenze.
Nel 1930 organizzò una esposizione personale a Roma.
Nel 1931 organizzò una esposizione personale a Parigi.
Nel 1932 organizzò una esposizione personale a Stoccolma.
Nel 1932 organizzò una esposizione personale a New York.
Dal 1932 fino alla fine della seconda guerra mondiale non volle partecipare a nessuna esposizione organizzata dalla liutologia imperante in aperta reazione al conformismo accademico protetto e inneggiato dalle più alte autorità dell’epoca.

Nel 1949 come Membro della Giuria della Mostra Internazionale di Liuteria in Cremona per la celebrazione di Stradivari nel tricentenario della nascita, ottenne il “Diploma d’Onore” senza partecipare alla mostra stessa.

Nel 1956 venne invitato a far parte della Giuria per la Mostra Internazionale di Roma organizzata dall’Accademia S. Cecilia e non si sentì di partecipare nonostante gli inviti dei Maestri Giocchino Pasqualini e Mario Corti.

Gli strumenti di questa terza maniera e la fama acquisita in tutto il mondo, attirarono l’attenzione dei primi collezionisti che ne fecero incetta principalmente durante l’ultima guerra.

Nel Registro del Violino nel Museo Civico di Cremona, risultano iscritti fin dall’anno 1949 i seguenti suoi
Strumenti:
– col n° 205 – Violino dell’anno 1913 n° 102 “Ornato”
– col n° 206 – Violino dell’anno 1930 n° 238 modello moderno.
– col n° 207 – Violino dell’anno 1933 n° 262 modello moderno.
– col n° 223 – Violino dell’anno 1914 n° 125 copia del Guarneri del Gesù.
– col n° 224 – Violino dell’anno 1914 n° 149 modello proprio con cuspidi.
– col n° 240 – Viola dell’anno 1913 copia Stradivari.
– col n° 273 – Violino dell’anno 1933 modello moderno.
– col n° 274 – Violino dell’anno 1928 modello moderno.
– col n° 275 – Violino dell’anno 1933 modello moderno.

La sua attività per la costruzione di nuovi istrumenti soffrì una interruzione per mancanza del legno acero durante la guerra, per cui si dedicò all’applicazione del suo “Rinforzo Armonico” su centinaia di strumenti antichi e nuovi ed a scrivere la parte tecnica del suo Libro Liuteria Tecnofisicacustica da aggiungere alla prima parte che aveva preparato fin dall’anno 1937. Libri entrambi che al rivelare la sua personalissima tecnologia costruttiva, volle riservare fino alla sua vecchiaia.

Purtroppo il decadere della sua salute verso l’anno 1955, per cui declinò l’invito a far parte della Giuria Alla Mostra di Roma, gli impedì di pubblicare queste sue opere che ho voluto incorporare ed ordinare in un solo volume.

Descritti i metodi con cui volle educarmi per la liuteria moderna d’arte a cui collaborai sporadicamente fino all’anno 1951, e quindi i tratti principali del suo carattere d’artista romagnolo, sicuro di sè, testardo, entusiasta, metodico, studioso e circospetto, schematizzata la biografia della sua attività liutaria, solo mi resterebbe esprimere un giudizio spassionato sui risultati ottenuti e riportare certi aneddoti significativi della sua vita per circoscrivere l’esistenza di questo caposcuola innovatore della liuteria che lui stesso volle battezzare “del ‘900”.

D’altronde mi avvedo che qualsiasi pregio che provenga da me potrebbe facilmente essere frainteso come amor filiale ed anche come propaganda della mia stessa attività passata per cui preferisco rimandare al contenuto di tanti brani epistolari estratti dai suoi archivi ed alla esistenza di una rassegna della stampa che volle riportare la sua attività in ogni momento, con la intenzione di illustrare brevemente il lettore sulla vera incidenza di questo primo movimento artistico innovatore della liuteria italiana del secolo XX.

A Castelbolognese, al celebrare il quinquennale della scomparsa di mio padre a iniziativa di quel Municipio e dell’Associazione Amici dell’Arte, oltre alla Mostra di tanti suoi istrumenti, la esposizione di tutti i suoi arnesi, modelli ed apparecchiature tecniche ideate e costruite da lui e l’esibizione in quartetto e concerto a grande orchestra dei suoi istrumenti, la stampa nazionale volle occuparsi nuovamente di lui.

Testo tratto da: “Liuteria tecnofisicacustica : guida liutaria del suonatore e del costruttore” Nicola Utili. – Bologna : Aspasia, ©2003.


IL “VIOLINO DI NICOLA” E TORNATO SUI SUOI TETTI

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Da qualche giorno il profilo di Castel Bolognese è tornato ad arricchirsi di uno tra i suoi più originali simboli: il violino segnavento della casa che fu di Nicola Utili. Il famoso liutaio castellano, infatti, verso i primi anni del secolo scorso, aveva abbellito l’altana della sua casa di Via Garavini con un violino segnavento che, diventato presto un simbolo del vecchio Castello, era sopravvissuto anche alla guerra. Negli anni ottanta, su interessamento della Pro Loco, il vecchio segnavento, offeso dalle intemperie, venne rimosso perchè pericolante mentre la stessa Associazione incaricò Antonio Castellari di Biancanigo di riprodurlo in copia in metallo inossidabile. Purtroppo, i muri dell’altana di casa Utili non avrebbero potuto reggere l’eccessiva pesantezza del nuovo segnavento, cosicchè vecchio e nuovo violino rimasero per anni in attesa di una nuova destinazione. Si è così giunti alla fine dello scorso anno quando il nuovo proprietario, dott. Domenico Mongardi, ha iniziato i lavori di ristrutturazione della casa e vi ha rinvenuto i violini. Sempre su interessamento della Pro Loco, l’originale è stato depositato al museo civico, mentre la riproduzione, a cura e spese del nuovo proprietario dell’immobile è stata rimessa sul suo tetto. Purtroppo, la modifica apportata al coperto della casa Utili, aggiunta alla maggiore altezza delle limitrofe costruzioni, rendono un po’ nascosto l’oggetto, che, tuttavia, i castellani sapranno andare a cercare scrutando i tetti che s’affacciano su Piazza Camerini.

Paolo Grandi (giugno 2001)

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