I Castelbolognesi, famiglia o famiglie ebraiche d’origine o vissute nella nostra città

a cura di Paolo Grandi

È noto che poco dopo la sua fondazione, nel Castello si insediò anche una piccola comunità ebraica nella zona dell’attuale Via Antolini – Piazza Fanti lato Banca di Credito Cooperativo, spalla a spalla con l’altra più nota comunità castellana: i contrabbandieri. La Comunità pare avesse anche una piccola sinagoga, identificata forse in un ambiente inglobato nell’edificio della Banca. Dal 1564 il Concilio di Trento sancì l’obbligatorietà dei cognomi. Gli ebrei non l’avevano ma si distinguevano solo per patronimico di discendenza e per tribù d’appartenenza (le famose dodici tribù di Israele citate dalla Bibbia). Per l’altra popolazione era diverso: la nobiltà e/o le famiglie più in vista aveva già adottato cognomi fin dal decimo-undicesimo secolo; le famiglie del forese si distinguevano (e tale usanza dura tutt’oggi) o dal podere di provenienza o dai soprannomi appioppati ad un qualche “capostipite”.
All’interno del mondo ebraico già vigeva, almeno per alcuni gruppi famigliari, l’uso di cognomi distintivi espressi in lingua ebraica. Quando, negli ultimi secoli del Medioevo, cominciò a diffondersi, almeno in alcune aree, l’uso del cognome, si assistette in ambito ebraico ad una pluralità di esiti che attendono ancora di essere meglio approfonditi. In linea di massima, il sistema cognominale di espressione ebraica si generalizza e si estende ad una buona parte dei membri delle comunità. Sempre in linea di massima, il sistema cognominale di espressione italiana, che è quello che qui interessa, si sviluppa a partire da forme patronimiche che, data la ristrettezza del bacino onomastico tradizionale, si combinano presto con forme per lo più toponimiche. Data la forte mobilità della popolazione ebraica italiana, le forme toponimiche tendono a decadere rapidamente, l’una dopo l’altra, a seconda degli spostamenti delle famiglie. Per citare un caso, un Abramo di Isacco nato nella seconda metà del Trecento poteva avere un gran numero di contemporanei omonimi. Di qui la necessità di aggiungere al suo nome quello del luogo di nascita, Forlì. Trasferitosi in Toscana e insediatosi a Piombino il nostro Abramo poteva sostituire Forlì con Piombino. Passato a Lucca vi generava un figlio che assumeva il nuovo “cognome” “da Lucca”. Ed era solo un successivo stanziamento a Camaiore a generare il cognome Camaioli o Camaiori, che finì per stabilizzarsi, a partire dal primo Cinquecento, per discendenti insediati in Emilia, Lombardia e Piemonte. La diffusione dei cognomi di formazione toponimica (ed anche macrotoponimica, nei casi di provenienza da grandi regioni o nazioni, o microtoponimica, nei casi di insediamento in grandi città) è naturalmente accompagnata da quella dei cognomi, più o meno coevi (tardo Medioevo e prima età moderna), di formazione patronimica e da quella dei cognomi collegati all’aspetto fisico o all’attività professionale.
Fatto salvo il segmento dei cognomi strettamente ebraici (Levi, Coen, etc.), l’impressione è che la formazione dei cognomi ebraici espressi in lingua italiana abbia a che fare più con il trend generale della formazione dei cognomi italiani che con una specificità ebraica. Si potrà poi ipotizzare che il numero dei cognomi di formazione toponimica sia percentualmente più alto nel gruppo ebraico che in quello cristiano, che il numero dei cognomi di formazione patronimica sia, sempre percentualmente, equivalente nei due gruppi, che il numero dei cognomi derivanti da un’attività professionale sia, percentualmente, più basso nel gruppo ebraico che in quello cristiano, etc. Ma, nella sostanza, ebrei e cristiani d’Italia hanno seguito un percorso analogo nella costruzione dei loro sistemi cognominali di espressione italiana (1).
Nella seconda metà del XV secolo la comunità ebraica di Castel Bolognese fu dispersa ed in parte si rifugiò a Lugo, in parte a Ferrara, altre famiglie in altri luoghi. Si conservò tuttavia traccia del passaggio o residenza di costoro da Castel Bolognese nei cognomi: nacque infatti il cognome toponimico “Castelbolognesi” che tuttora è presente in varie regioni italiane. Per le ragioni sopra esposte, non è sicuro che tutti i “Castelbolognesi” siano parenti tra di loro e/o appartengano ad un unico ceppo famigliare.
Di seguito una rassegna di personaggi che sono stati protagonisti della storia, delle scienze, dell’economia, della Religione ebraica.

ANGELO CASTELBOLOGNESI – ESPLORATORE

Nacque il 10 giugno 1836 a Ferrara da Aronne e Fortunata Rossi, una coppia di commercianti ebrei (fornai (2) ). Non ancora ventenne, partì per l’Africa, impiegandosi a Khartum presso il commerciante inglese Petherick. Per raggiungere costui, che si era inoltrato nell’interno del paese in cerca di avorio, il Castelbolognesi partì il 27 novembre 1856 per un difficile viaggio che lo portò da Khartum, per via fluviale, fino alla confluenza fra il Nilo Bianco e il Fiume delle Gazzelle. Da qui, poiché la fitta vegetazione e le isole galleggianti sul fiume impedivano la navigazione, il Castelbolognesi e la sua scorta composta di una ventina di uomini avanzarono per via terra nella regione di Bahr el-Ghazal, attraversando il paese dei Denka (esplorato in quegli stessi anni da Giovanni Beltrame). Giunto nel gennaio 1857 nel bacino del fiume Jur (affluente del Fiume delle Gazzelle) dove si trovava l’accampamento di Petherick, il Castelbolognesi vi si trattenne per un mese, assumendo il comando della stazione mentre l’inglese batteva la regione per fare incetta d’avorio. Al ritomo del Petherick, il Castelbolognesi – probabilmente portando con sé il carico di avorio – guidò la spedizione di ritorno che, dopo oltre un mese di viaggio parte per terra e parte per via fluviale, arrivò a Khartum nell’aprile 1857. Alla fine di questo stesso anno, il Castelbolognesi compì un’altra spedizione, di cui mancano notizie precise, insieme con il lucchese Adolfo Antognoli e il concittadino Flaminio Finzi Magrini, visitando la regione del Sennar (nel bacino del Nilo Azzurro) e spingendosi fino ai piedi dell’altopiano etiopico. Questo viaggio, come anche il precedente, non era stato intrapreso con intenti esplorativi; lo scopo del Castelbolognesi e dei suoi compagni, essi pure commercianti, era quello di procurarsi cera, caffè, pelli e avorio. Nel 1860 il Castelbolognesi ritornò in quelle regioni accompagnando il marchese Orazio Antinori. Nulla si sa dell’ultima parte della vita del Castelbolognesi che morì suicida ad Alessandria d’Egitto il 10 luglio 1874.
A testimonianza della sua attività lasciò una sola relazione: Voyage au Fleuve des Gazelles, che fu pubblicata a Parigi sulla rivista di viaggi Tour du Monde (giugno 1860, pp. 385-397), preceduta da una lettera introduttiva dell’esploratore francese Guillaume Lejean, amico del Castelbolognesi che lo aveva incoraggiato a redigerla. Una collezione di oggetti di interesse etnografico donata dal Castelbolognesi si trova presso il Museo di storia naturale di Ferrara.

voce curata da M.CARAZZI

La città di Ferrara gli ha intitolato una strada nella zona industriale di Porotto, nei pressi dell’uscita autostradale di Ferrara nord. Curiosa nemesi, via Castelbolognesi è trasversale di via Diamantina che dalla città Estense porta alla grande tenuta agricola, con villa ,che fu un tempo del castellano Silvestro Camerini ed incrocia Via Sutter, famiglia genovese di origine ebraica che conserva un curioso legame con Riolo Terme, dal quale deriva una vasta gamma di prodotti un tempo famosi: la catena “Marga”

nota a cura di PAOLO GRANDI

BIBLIOGRAFIA:
AMAT DI SAN FILIPPO P., Biografia dei viaggiatori italiani, in: Studi bibliografici e biografici sulla storia della geografia in Italia, Roma 1875, p. 246;
BALBONI L. A., Gl’Italiani nella civiltà egiziana del sec. XIX, Alessandria d’Egitto 1906, II, pag. 37;
ALMAGIÀ R., Gli Italiani nel bacino medio e superiore del Nilo (1840-1890), in: L’opera degli Italiani per la conoscenza dell’Egitto, a cura del Comitato geografico nazionale italiano, Roma 1926, p. 162;
CESARI C., I nostri precursori coloniali, Roma 1928, p. 25;
DAINELLI G., Gli esploratori italiani in Africa, Torino 1960, I, pp. 227-229;
DE LEONE E., Le prime ricerche di una colonia e la esplorazione geografica ed economica, Roma 1955, p. 206;
ZAGHI C., Un ferrarese nel cuore dell’Africa, in: Rivista di Ferrara, III (1935), pp. 365-369;
ZAVATTI S., Dizionario degli esploratori, Milano 1967, p. 63.


GUSTAVO BONAVENTURA CASTELBOLOGNESI (Modena, 8 settembre 1884 – Milano, 25 luglio 1947) è stato un rabbino italiano.

Figlio dell’avvocato Leonello e di Eugenia Greco, nacque a Modena l’8 settembre 1884. Conseguì il titolo di Maskil (saggio) al Collegio Rabbinico di Firenze nel 1904. Nel 1908 si laureò in Lettere. Fu quindi rabbino maggiore a Cuneo dal 1909 al 1914. Sposò Aurelia Colombo, di Mondovì, e con lei ebbe quattro figli: Leonello, Carlo, Tullio e Lidia. Allievo carissimo di rav Margulies, a Firenze il 22 dicembre 1913 conseguì la Semikhah (ordinazione rabbinica) con il titolo di Chakham ha-Shalem (formazione superiore).
A Ferrara fu vice-rabbino dal 1916, e rabbino capo fino al 1924. Nel 1926 venne insignito del titolo di Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia. Dall’autunno 1924 fino al 1935 fu rabbino capo a Padova, e lì fu testimone dell’assalto degli squadristi fascisti al Tempio. Il rabbino Castelbolognesi, per tramandare il ricordo dello scampato pericolo e della salvezza dei sefarim, istituì uno speciale Purim detto di Shabbat Toledoth. La parasha Al ha-nissim viene da allora recitata nella settimana della parasha di Shabbat Toledoth.
Il mandato padovano di rav Castelbolognesi subì due interruzioni. In seguito a un accordo tra Governo, Unione delle Comunità Israelitiche e Governatorato di Tripoli, si decideva di inviare a Tripoli un rabbino di sperimentate capacità. Venne designato Castelbolognesi. Dall’ottobre 1933 al marzo 1934 svolse un periodo di prova a Tripoli, e dal novembre 1934 assunse l’incarico di rabbino capo e presidente della Consulta rabbinica. Ma nell’aprile 1935 venne espulso dalla Libia per evidenti divergenze istituzionali con il potere fascista lì rappresentato dal governatore Italo Balbo. Divenne allora rabbino capo di Milano nell’ottobre 1935, dove rimase in carica fino alla fine del 1943. Durante le persecuzioni razziali insegnò al liceo della scuola ebraica di Via Eupili a Milano, che, insieme a Astorre Mayer, Yoseph Colombo e il vice rabbino Berti Eckert, aveva realizzato nel 1938 a seguito della espulsione di studenti e insegnanti ebrei dalle scuole italiane.
Nel 1939 Castelbolognesi si recò insieme alla famiglia in Eretz Israel compiendo l’aliyah. Si stabilirono nel kibbutz Givat Brenner. Fu quella una scelta dettata dalle convinzioni sionistiche e dalla difficoltà di vivere in un’Italia antisemita. Ma dovette fare subito ritorno a Milano dove urgeva prestare assistenza ai profughi ebrei in fuga dall’Europa occupata. In quegli anni interveniva anche agli incontri clandestini che si svolgevano nel mondo ebraico di Milano. Su pressione di molti amici che lo sapevano candidato certo alla persecuzione nazi-fascista, fuggì da Milano il 12 novembre HYPERLINK “https://it.wikipedia.org/wiki/1943” 1943, dopo la retata nella Sinagoga di via Guastalla, e si rifugiò a Lugano, dove rimase fino a giugno del 1944 proseguendo nell’attività rabbinica. Nel 1945 poté finalmente riabbracciare la famiglia a Ghivat Brenner, dove avrebbe fatto più volte ritorno nelle pause del suo ministero. Il 22 giugno 1947 Gustavo e Aurelia Castelbolognesi fecero ritorno a Milano. Gustavo morì un mese dopo, il 25 luglio del 1947 (9 di Av del 5707, giorno di Tisha be-Av) a Milano, dove era tornato per dare il suo contributo alla ricostruzione dell’ebraismo italiano. Aurelia Colombo morì nel 1974 nel kibbutz Netzer Sereni, dove la famiglia si era trasferita nel 1951. I quattro figli hanno tutti intrapreso la strada del sionismo socialista e della laicità.

L’espulsione dalla Libia

Il suo operato in Libia risultò sgradito al regime. Due furono le ragioni principali dell’espulsione dalla Libia di rav Gustavo Castelbolognesi: una fu nella sua opposizione al decreto del governatore Italo Balbo che ingiungeva che si tenessero aperte anche di sabato le attività commerciali e i negozi, anche quelli degli ebrei cui veniva così impedito il rispetto del riposo sabbatico; l’altra, la più frequentemente individuata, discende dalla contestazione di un matrimonio tra due ebrei tripolini, Gino Hassan, di 35 anni, e Linda Nemni, di 15 anni, celebrato dallo stesso Castelbolognesi nel rispetto delle regole e in presenza dei quattro testimoni necessari. L’influente padre della ragazza non gradì quel matrimonio e fece appello al governatore Balbo perché esso venisse annullato. Accompagnò la richiesta con una considerevole donazione di denaro a favore del governo fascista. Rav Castelbolognesi sostenne di fronte a Italo Balbo la regolarità del rito e rifiutò di annullarlo. In quello stesso giorno, insieme alla sua famiglia, il rabbino, accusato di “ultraortodossia” e giudicato dal governatore colpevole di aver applicato una legge “antiquata e primitiva”, accompagnato dai Carabinieri fu espulso dalla Libia. Del decreto di espulsione fu data comunicazione sull’Avvenire di Tripoli il 1° giugno 1935, a fatto compiuto: “per aver voluto [Castelbolognesi] ripristinare antichissimi usi israelitici matrimoniali contrari alla morale e alla politica del regime”.

L’opera

Nei primi anni del suo rabbinato, l'”assimilazione” e la “permissività” di molti rabbini erano realtà diffuse in Italia. Erano anche tempi in cui il mondo ebraico, per timore di incorrere nell’antisemitismo crescente che avrebbe portato alle leggi razziste del 1938 e alle persecuzioni, preferiva non esporsi. Di tutt’altro avviso fu Gustavo Castelbolognesi. Schivo e riservato, per nulla amante dell’apparire, intellettuale di vaglio, di vasta cultura letteraria e filosofica internazionale, si dedicò costantemente al servizio spirituale e alla ricerca di contatti con i giovani. “Mitezza e tolleranza, tratti caratteristici di rav Castelbolognesi, […] permisero sia agli ortodossi sia ai più assimilati di sentirlo vicino, non impedirono a lui di essere nella propria vita osservante intransigente e di saper mantenere la propria dignità e la propria linea di condotta […]. Il noto caso di Tripoli ne è chiara dimostrazione: egli si lasciò privare della sua cattedra piuttosto che cedere alle imposizioni”. Elementi fondanti della sua attività rabbinica possono essere considerati, prima che i suoi scritti, l’esempio e la dirittura morale. Considerò l’insegnamento della Torah e la lotta contro l'”assimilazione” (per esempio i matrimoni misti tra ebrei e non ebrei) come i compiti fondamentali di un rabbino del suo tempo. Scrisse sulla rivista “Israel” che “l’Ebraismo italiano è migliore del suo rabbinato” al quale mancava il progetto di un “concorde lavoro collettivo”. E il 20 novembre del 1934, da Tripoli, Castelbolognesi scriveva a Paolo Nissim, allora ventenne, che lo sostituì a Padova: “Le raccomando soprattutto di coltivarsi coi buoni modi e con la sincera nobiltà dei sentimenti la stima di tutti e di curare, avvicinando giovani e giovanette, di attrarli alla Torah ed all’Ebraismo.” Così Castelbolognesi riassumeva i compiti del Rabbino ideale. Di questi temi tornò a occuparsi anche nella Consulta rabbinica, della quale era stato per molti anni membro. Nel discorso tenuto nell’ottobre del 1935, per il suo insediamento come rabbino capo di Milano, Castelbolognesi delineava la figura del rabbino come investita delle missioni di “costruzione dell’ebraicità, costruzione di fede e di opera secondo il volere di Dio”. Definì, in quell’occasione, “asperrima e delicata” la carriera rabbinica che doveva essere orientata, a suo avviso, “nella scia della tradizione sicura”, messa a quel tempo in dubbio da “l’illuminismo e il razionalismo che avevano affrancato gli ebrei dai ghetti e dalla ricerca della verità”. Il rabbino, secondo la sua visione, non avrebbe dovuto essere, quindi, il sacerdote del culto, ma colui il quale indicasse la via da seguire, l’insegnante. Guidare al ritorno alla Torah fu, quindi, il suo impegno. E, seguendo l’insegnamento ricevuto dal maestro Samuel David Luzzatto, affermava: “La religione non mi è cara per la sua verità, ma solo per il vantaggio che reca alla dirittura morale.”

Il sionismo

Rav Castelbolognesi fu sionista militante. Lo attestano i suoi scritti giovanili pubblicati nell'”Idea sionista” e la partecipazione, spesso insieme alla famiglia, a molti campeggi ebraici estivi e invernali nel corso dei quali veniva presentato lo spirito del sionismo e si invitavano i giovani a recarsi in Palestina. Castelbolognesi intendeva il sionismo “non soltanto come anelito dell’anima del popolo verso la ricostituzione di una sede ebraica in Palestina, ma anche come elemento della coscienza ebraica in ogni luogo, come tendenza a superare il tipo dell’Ebreo umilmente curvo sotto il peso o sotto il ricordo delle diuturne oppressioni e pronto a rinnegare se stesso.”
Il riconoscimento del valore
Di Castelbolognesi scrisse Ada Levi Nissim: “Sono stata molto impressionata da questo rabbino così mite e nello stesso tempo così fermo nei suoi principi, così dignitoso e così modesto, così semplice e disinteressato, così vicino ai giovani, pronto a insegnare l’alef-bet a un bambino, come a spiegare la parashà ad un ragazzo o a discutere di Nachmal Krochmal con un universitario e poi pronto ad aprire la porta della sua casa a tutti; sicché l’esempio della sua famiglia fu un altro fattore che contribuì al successo della sua missione di padre e di maestro. Il ricordo di rav Castelbolognesi e la sua vasta opera di costruzione non sono affidati tanto a scritti e a opere erudite, quanto all’esempio che diede, al modo come visse e alla maniera in cui intese ed esercitò il rabbinato”. Alla sua morte il Bollettino della Comunità Ebraica di Milano pubblicò il seguente necrologio, a firma P.N.: “Scompare con lui una delle figure più illustri della generazione di Rabbini allievi di rav Margulies. Tempra di studioso, guida spirituale impareggiabile, seguace intemerato della Torah e fervente sionista, in tutte le Comunità ove aveva svolto il Suo compito, Egli aveva provocato un potente risveglio di vita ebraica. A Milano, comunità composita e quanto mai difficile a reggersi, Egli aveva saputo rinnovare completamente l’ambiente ebraico, e, se gli eventi del 1943 non fossero sopraggiunti ad interromperla, ancora maggiore sarebbe apparsa l’opera Sua nei suoi lontani effetti. Da Erez Israel, dove aveva desiderato raggiungere i figli, era tornato a Milano per offrire le sue restanti energie all’ebraismo italiano, così privo di guide, con uno spirito di sacrificio che solo chi è stato in Erez può comprendere.” La firma del necrologio è quasi sicuramente quella del rabbino Paolo Nissim, che di Castelbolognesi era stato allievo e successore a Padova.

da Wikipedia


EVA CASTELBOLOGNESI PADOA (NATA CASTELBOLOGNESI)

Nacque nel 1883 da Raffaele Graziadio Aron Castelbolognesi e Amalia Monselice (nata Monselise). Il padre Raffaele nacque a Modena nel 1837, mentra la madre Amalia nacque a Mantova nel 1839
Eva ebbe otto fratelli: Marianna Osima, Vittorio Castelbolognesi, Federico Castelbolognesi e altri cinque fratelli.
Eva sposò Vittorio Padoa, avvocato, nato a Modena il 23 febbraio 1882.
Ebbero un figlio maschio: Leone Padoa.

Fonte: https://www.myheritage.it/names/eva_padoa


FEDERICO CASTELBOLOGNESI

Figlio di Raffaele Castelbolognesi e Amalia Monsellice nacque a Modena il 27 agosto 1877.
Arrestato a Roma, fu deportato nel campo di sterminio di Auschwitz.
Il treno partì da Roma il 18 ottobre 1943
Non è sopravvissuto alla Shoah ed appare morto il 23 ottobre 1943 giorno stesso dell’arrivo al campo di Auschwitz.

Fonte: PICCIOTTO L.: Il libro della memoria : gli ebrei deportati dall’Italia, 1943-1945; ricerca della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea. – Ed. 2002: altri nomi ritrovati. – Milano : Mursia, 2002, pp. 77-80.


GIACOMO CASTELBOLOGNESI, BANCHIERE E UOMO DI FINANZA

Fratello di Angelo, nacque a Ferrara nel 1844. Svolse la sua attività tra l’Egitto e la Francia, prima di trasferirsi a Milano e poi a Roma: fondò L’Alleanza Assicurazioni, fu presidente del Credito Italiano e della Società Nazionale Ferrovie e Tramvie con sede a Roma. Mantenne sempre con Ferrara un fortissimo legame attraverso opere filantropiche e donazioni di minerali al Museo Civico di storia naturale di Ferrara. Morì a Roma nel 1918.

Fonte: https://www.storianaturale.comune.fe.it

NOTE:

(1) Per un maggiore approfondimento sulla formazione dei cognomi ebraici, vedi: LUZZATTI M.: Per la storia dei cognomi ebraici di formazione italiana in: ADDOBBATI A., BIZZOCCHI R., SALINERO G.: L’Italia dei cognomi, Pisa, 2012. Da questo saggio è tratto anche il presente scritto introduttivo sui cognomi.

(2) Così CAMURRI R., Max Ascoli, antifascista, intellettuale, giornalista, Milano, 2012 pag. 27.

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