La Preservazione dalla Peste e il culto della B.V. della Concezione

Ex voto per la preservazione di Castelbolognese dalla peste (61041 byte)

Ex voto per la preservazione di Castelbolognese dalla peste. E’ rappresentata la Madonna benedicente l’antico Castello; ai lati il popolo orante nei costumi dell’epoca (Anonimo pittore locale 1630-31)

Nel corso del XVII secolo il territorio di Castelbolognese era ancora annesso alla Legazione di Bologna, il cui Reggimento eleggeva il Pretore e ne esercitava il governo laicale e civile, mentre l’ecclesiastico era amministrato dal Vescovo di Imola. Castelbolognese era noto soprattutto per aver dato i natali all’eminentissimo Cardinale Domenico Ginnasi, Decano del Sacro Collegio, morto a Roma all’età di 89 anni nel 1639. Un biografo del Ginnasi, l’abate castellano Cesare Mezamici, sottolineava la floridezza del sito e la civile convivenza, di cui Castello poteva godere nel ‘600: “…vi sono Monisteri di Religiosi, di Monache professe, e claustrali, molte Chiese, varie Confraternite, e per ricovero degl’Infermi, e de’ Pellegrini, l’Hospitale, e per sussidio de’ bisognosi, e de’ poveri il Monte della Pietà; oltre l’esser in sito ameno, fecondo, popolato e di aere salubre, vi habitano famiglie Civili, dovitiose, e nobili…”

Non si può tuttavia ignorare il generale livello di sottosviluppo della società italiana nel XVII secolo. Le misere condizioni in cui viveva gran parte degli abitanti delle città e della campagna, unite alla precaria situazione igienica e ai frequenti eventi bellici, perturbatori dell’equilibrio politico-sociale, rendevano le popolazioni meno resistenti alle malattie epidemiche. Tra queste sono da ricordare il tifo petecchiale e la peste, gravissimi flagelli che infierirono anche sugli abitanti della nostra regione, decimandoli, specialmente nel corso del XVI e del XVII secolo.

Negli anni 1629-1630, mentre tutta l’Europa era sconvolta dalla guerra dei Trent’Anni, la Romagna fu di nuovo esposta ad un’epidemia di peste bubbonica, rimasta celebre, perché fa da sfondo storico alle vicende dei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni. Nell’autunno del 1629 la peste era comparsa nel Ducato di Milano, dove già si erano verificate una carestia e un’epidemia di tifo petecchiale. A disseminarla furono i Lanzichenecchi, mercenari tedeschi diretti all’assedio di Mantova: discesero dai Grigioni e seguirono la via del Lago di Como, fin dall’inizio della Valsassina; continuarono poi dalle terre di Lecco, lungo l’Adda e lasciarono ovunque profonde tracce dell’orribile male. L’epidemia segui perciò una delle strade di maggior traffico dell’epoca: colpì, oltre Milano, Bergamo, Mantova, Verona, Venezia; penetrò in Emilia da Parma a Bologna fino alle porte della Romagna e si placò poco oltre la linea del Santerno, senza risparmiare le città di Imola e di Lugo.

Nonostante le consuete “cautele e preservazioni” imposte dai Tribunali della Sanità, il flagello si diffuse e imperversò per quasi due anni senza remissione. A Milano, secondo i dati del Tadino, i morti sarebbero stati 183.000. Nei lazzaretti di Bologna, ove si segnalò l’opera assistenziale dei Padri Cappuccini, trovò la morte oltre un quarto della popolazione. L’approssimarsi del terribile morbo aveva gettato nel panico gli abitanti di Castelbolognese. Poiché nelle vicine località, colpite dall’epidemia, le misure prese dalle autorità non avevano sortito alcun effetto, la popolazione castellana, memore delle grazie ricevute in passato, confidò nell’aiuto divino. Per mezzo del magistrato ricorse al Vescovo di Imola, pregandolo di consentire una solenne processione coll’Immagine della B.V. della Concezione, che da antica data si venerava nella chiesa di San Francesco. Ciò avvenne il 15 giugno 1630. Da quella data, per trenta giorni consecutivi durante i quali incombeva più che mai il pericolo del contagio, l’Immagine della Madonna rimase scoperta, con l’esposizione del SS. Sacramento, ai fedeli di ogni età e condizione che impetravano con la preghiera, oltre alla remissione dei peccati, la grazia di essere preservati dal flagello della peste. Si tramanda oralmente (e se ne trova riscontro nell’ex voto tuttora conservato) che la Vergine Immacolata, per alleviare il popolo dal timore della morte, apparisse sulle mura del Castello, benedicendo il paese. Castelbolognese fu in realtà preservato dalla peste: anche se dalle campagne vicine giungevano notizie allarmanti ancora dopo il 1630, il centro abitato circondato dalle mura rimase sempre immune dal contagio. Ne abbiamo conferma, oltre che dall’ex-voto, dal libro dei morti, conservato nell’archivio parrocchiale di San Petronio, dove il numero dei decessi registrati nel 1630 è contenuto nei limiti della norma e nessuno di essi viene attribuito alla pestilenza (nel 1629 vi furono 28 decessi, nel 1630 ve ne furono 25 e nel 1631 solamente 12).

Verso la fine dell’estate, in seguito a un violento temporale, l’epidemia cessò quasi all’improvviso in tutte le regioni che ne erano state colpite, anche se il pericolo del contagio si protrasse ancora a lungo nel tempo. I Castellani vollero manifestare la loro gratitudine alla Patrona, decretando di allestire ogni anno, nel triduo della Pentecoste, solenni festeggiamenti religiosi e popolari: un impegno votivo, che dal 1631 ad oggi si è sempre rinnovato nella fedeltà alla devozione religiosa dei nostri avi espressa nell’epigrafe, che ancor oggi ricorda la Preservazione, presso l’altare dedicato alla Patrona nella chiesa di San Francesco.

L'epigrafe che ricorda la preservazione dalla peste (50791 byte)

L’epigrafe che ricorda la preservazione dalla peste. Il testo tradotto è: “A Dio Ottimo Massimo. L’anno trenta del secolo XVII (1630), mentre in tutta l’Italia e nelle regioni confinanti infieriva una terribile peste, questa immagine della Beata Vergine Madre di Dio Concepita senza peccato apparve, sospesa in aria, al popolo di Castel Bolognese, sconvolto dal terrore di una crudele morte e, benedicendolo, serbò questa terra incolume dalla generale disgrazia. I Padri di questo Convento collocarono una testimonianza di così grande favore che durasse per sempre.

Dopo il voto pronunciato per la Preservazione dalla Peste, l’Immacolata Concezione divenne il centro della pietà religiosa castellana. Tuttavia, essendo la statua risalente al XV secolo, è più verosimile ritenere che sia stata conosciuta e venerata fin da quell’epoca.

D. Alessandro Pompignoli

La statua della B.V. della Concezione (72738 byte)

Il simulacro originale della Madonna Immacolata (figura a sinistra) è rappresentato da una terracotta policroma del sec. XV, opera di un anonimo di scuola quercesca emiliano-ferrarese, forse Domenico Paris. La statua non è visibile ai fedeli nel suo aspetto “reale”, in quando la tradizione popolare castellana suole rivestirla con abiti e manti serici. E’ fissata su di un piedistallo ligneo a dato, per mezzo del quale viene collegata ad un basamento di legno settecentesco dipinto a finti marmi. La statua si presenta in piedi col busto leggermente chino in avanti; sui capelli della Vergine si posa un velo a crestina. Il manto ricade a grembiule in avanti e in pieghe a zig zag sui fianchi; entrambe le mani sono raccolte sotto il busto e con la sinistra è sorretto il Bambino Gesù che guarda in alto. L’effigie, come accennato prima, si presenta al popolo con abiti e mantello; sono visibili le braccia posticce con le mani inanellate, una della quali, la destra, sostiene un piccolo castello. In precedenza la Madonna reggeva una antica palma fiorita. Il petto della B.V. durante le processioni viene ornato da una “pettorina” composta di gioielli mentre sul capo è posta una corona. In basso copre la base primitiva una composizione di nubi con la mezza luna ed il serpente in cartapesta policroma, raffigurazioni tipiche dell’iconografia mariana dell’Immacolata (figura a destra). La veste serica che si vede nella foto è probabilmente l’abito che i contrabbandieri, secondo la leggenda, donarono alla madonna. Trattasi di un antico broccato di seta e oro (samice) che conferisce al tutto un caratteristico colore giuggiola. Il motivo del broccato è orientaleggiante e di probabile fattura cinese. La manifattura risale sicuramente alla fine del XVIII secolo. Al centro dell’abito è cucito un ampio gallone in filigrana d’argento. La muta di corone, sempre nella foto, è databile essa pure alla fine del ‘700. In argento cesellato, le corone furono dorate alla fine degli anni ’60, impreziosendole con pietro dure. Il castello retto dalla mano destra dell’immagine è pure di argento dorato e contiene numerosi libretti in cui furono trascritti i nomi di tutti coloro che, dopo l’atto sacrilego del taglio della testa, contribuirono alle opere di restauro dell’immagine ed alle celebrazioni riparatorie che seguirono.

Testo tratto da: Il voto della Pentecoste e la tradizione religiosa castellana: studi e testimonianze. – Imola : Grafiche Galeati, 1981. (In testa al frontespizio: 350° anniversario della preservazione dalla peste, Castelbolognese 1631-1981.)

Alcune fotografie e didascalie sono tratte da: La Madonna di Castel Bolognese: storia, devozione, cronaca / a cura di Pier Paolo Sangiorgi. – Castel Bolognese: Itaca, 1993. – 95 p. : ill. ; 25 cm. (In testa al front.: Comunità parrocchiale di San Petronio.)

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