Ricordo di Gianni Piancastelli

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Gianni Piancastelli, a sinistra, premiato alla Sagra dell’Agricoltura di Mordano nel 2003 (dal sito del Nuovo Diario Messaggero)

Il 30 agosto 2014 la città di Mordano ha dato l’estremo saluto al maestro Gianni Piancastelli, memoria storica del paese ed apprezzato insegnante e poeta.
Gianni, che portava il nome di uno zio paterno morto nel 1917 per una malattia contratta al fronte, era nato a Mordano nel 1925 dal medico condotto Angelo Piancastelli, originario di Castel Bolognese, che dopo la Grande Guerra aveva vinto la condotta nel vicino comune di Mordano e si era quindi là trasferito.
La breve distanza aveva consentito al dottor Piancastelli di mantenere stretto il legame con il paese natio, dove erano rimasti i familiari, e con gli amici più intimi, fra i quali Francesco Serantini, Mario Santandrea e Aurelio Villa.
Questo forte legame con Castel Bolognese era stato trasmesso a Gianni, che, pur non avendo mai vissuto nel nostro paese, vi era molto affezionato ed era sempre pronto a collaborare alle iniziative culturali castellane, accogliendo calorosamente, pur non avendolo mai visto prima, chiunque si presentasse a casa sua dichiarandosi proveniente da Castel Bolognese.
La casa di Gianni Piancastelli era una meta obbligata per chiunque cercasse immagini storiche di Castello. Il padre Angelo era appassionato di fotografia e già dall’inizio degli anni ’10 aveva immortalato angoli castellani oggi scomparsi, e aveva anche portato con sé la macchina fotografica durante il servizio militare nel periodo della Prima guerra mondiale. E così la collaborazione di Gianni, che aveva custodito tutte le memorie paterne, aveva consentito di impreziosire di numerose fotografie due pubblicazioni quali “Castelbolognese nelle immagini del passato” (uscito nel 1983) e “Castellani oltre il Piave” (stampato nel 2006).

Da sinistra: Angelo Piancastelli, Mario Santandrea e Francesco Serantini

Da sinistra: Angelo Piancastelli, Mario Santandrea e Francesco Serantini nel 1912

Proprio mentre curavo la redazione di quest’ultimo volume, ebbi modo anche io di conoscere Gianni Piancastelli e di sentire da lui tanti aneddoti su Castello e sugli amici del padre. Uno dei più divertenti era il racconto di uno scherzaccio macabro che il padre Angelo aveva fatto al giovane Francesco Serantini, forse intenzionato pure lui a iscriversi alla facoltà di Medicina, che era andato a fargli visita all’Università durante il periodo degli studi: il risultato fu che Serantini scappò a gambe levate e si iscrisse a Legge, divenendo un ottimo avvocato. Molto toccante era vedere il quadro che Angelo Piancastelli aveva regalato nel 1919 a Mario Santandrea in occasione delle sue nozze, e che Mario Santandrea, tantissimi decenni dopo, aveva donato a Gianni in ricordo del padre e dell’amicizia che li legava.
Il tema del ricordo era caro a Gianni Piancastelli, che in un’occasione mi disse malinconicamente che, alla sua morte, sarebbero morti una seconda volta anche tutti questi personaggi che aveva conosciuto ed apprezzato.
Questa vena malinconica si coglieva anche nelle poesie, soprattutto dialettali, che Gianni scriveva grazie a un’ispirazione artistica che, in varie forme, era scritta nel DNA dei Piancastelli: infatti Gianni era pronipote del grande pittore castellano Giovanni Piancastelli (e alle pubblicazioni a lui dedicate Gianni aveva collaborato puntualmente) e anche il padre Angelo, oltre a dilettarsi nella fotografia, si dedicava con buoni risultati anche alla pittura.
Nel 1988 Gianni Piancastelli aveva vinto il concorso di poesia dialettale “La Pignataza”, che si tiene ogni 3 anni a Castel Bolognese. Per lui fu un’enorme soddisfazione e gli amici castellani l’avevano festeggiato con calore, specie Ubaldo Galli, uno degli ideatori del concorso e membro della commissione giudicatrice, che gli volle comunicare personalmente la notizia telefonandogli entusiasta.
E proprio con la poesia che vinse il concorso castellano, di atmosfera serantiniana, chiudiamo il ricordo di Gianni Piancastelli.

Andrea Soglia

La val

Ócc longh chi sfólga
sôra tëra afughêda.
Un ciàp d’usel in zil
che tô mén insém
stra noval basi e tróvdi
in sguêrd amigh
cun l’aqua parsunira.
Vós dla câna ch’la ziga
è fred lament dla bura
a caval sôra al crèsp
dl’aqua stagnêda e scura.
Cruchél bartén ingruti
chi aspeta è temp che pasa,
insunli ‘s agli agócc
i sfida è vent in faza.
Stra un aramàs ‘d pradlót
d’una ca sfata
e viv ardópa la malincuneia
che pr’ è scur la da fura
avstida ‘d négar
sôra una bèrca straca.

La valle

Occhi in lontananza che scivolano / sopra terra affogata. / Uno stormo di uccelli nel cielo / che volteggia in sincronia / tra nuvole basse e cupe / in occhiata amica / con l’acqua prigioniera. / Voce della canna che grida / il freddo lamento della bora / a cavallo sulle increspature / dell’acqua stagnante e scura. / Gabbiani cenerini arruffati / attendono che il tempo passi / sonnecchianti sui pali / sfidano il vento in faccia. / In mezzo a ruderi / di una casa crollata / vive nascosta la malinconia / che verso sera esce / vestita di nero / sopra una barca stanca.

Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Andrea Soglia, Ricordo di Gianni Piancastelli, in https://www.castelbolognese.org

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