«deCostruire un Luogo dell’incontro e della memoria»

Castel Bolognese (RA)                                                       22 aprile 2024

CELEBRAZIONI PER IL 40° ANNIVERSARIO DEL MONUMENTO NAZIONALE AI CADUTI B.C.M.
https://it.wikipedia.org/wiki/Monumento_nazionale_ai_caduti_per_la_bonifica_dei_campi_minati

Relatore: Prof. Arch. ERMINIO FERRUCCI
https://ferrucci-marziliano.it/erminio-ferrucci/
https://ferrucci-marziliano.it/

In premessa desidero ringraziare tutti i presenti, i promotori e gli organizzatori di queste celebrazioni che si svolgono per il quarantennale del Monumento ai Caduti B.C.M. che ho iniziato a progettare sul finire degli anni Settanta del secolo scorso. Un ringraziamento e un affettuoso ricordo desidero rivolgere a tutti i Membri del Comitato Promotore e agli amici carissimi: Franco Gaglio (che, in quell’epoca, era sindaco di Castel Bolognese), Bruno Violani (ex sminatore) e Angelo-Anzulè Biancini, con i quali abbiamo condiviso un dibattito culturale che è perdurato addirittura per cinque anni, allo scopo di precisare e perseguire tutti gli obiettivi che il Comitato Promotore del monumento si era prefissato.

Un ulteriore ringraziamento e un affettuoso ricordo devo poi ad Alberto Andreatti e a Giovanni Guardi, presidenti dell’ANGET Associazione Nazionale Genieri e Trasmettitori d’Italia – Sezione di Bologna; e, inoltre, anche alla Presidenza Nazionale ANGET di Roma che, per questa mia opera che è stata definita «una architettura d’avanguardia», ha voluto onorarmi conferendomi la medaglia d’oro-vermeil. E infine, ultimo ma non ultimo, il mio ringraziamento è rivolto al Presidente della Repubblica Sandro Pertini per il monito solenne e le parole ispirate che ha voluto dedicarci nel telegramma inviato in occasione dell’inaugurazione ufficiale del nostro monumento.

Purtroppo molte tra queste persone da me appena citate non sono più tra noi, poiché sono già trascorsi ben 45 anni dall’inizio di quel nostro questionare finalizzato alla costruzione del monumento. 45 anni. In effetti tutto ebbe inizio alla fine degli anni ’70 del secolo scorso: erano anni attraversati dalla contestazione giovanile, in un presente che allora sembrava voler superare e dimenticare le sofferenze patite nel periodo bellico che, in tal modo, perdevano progressivamente interesse in un processo di accantonamento ed estraniamento dalla memoria collettiva.

Soprattutto per tale ragione ad alcune personalità illuminate parve urgente la necessità di procedere senza indugio alla realizzazione di un monumento specificamente inteso a recuperare il ricordo degli sminatori che, non soltanto nel periodo bellico, si erano immolati per la sicurezza della popolazione bonificando i territori minati. Un monumento che, celebrando il sacrificio degli sminatori, potesse essere di ammonimento perenne per far rammentare le loro valorose gesta tramandando il ricordo di quei martiri che, anche a guerra finita, con il loro oscuro sacrificio hanno reso possibile la ricostruzione del nostro Paese.

Fin da subito Franco Gaglio e Angelo Biancini mi coinvolsero (per meglio dire: mi costrinsero) e mi affidarono gli onori e gli oneri della progettazione del monumento, e pertanto con loro e con tutti i Membri del Comitato fin da subito iniziammo a dibattere su quali fossero le finalità da perseguire nel progetto di un complesso celebrativo che avrebbe dovuto caratterizzarsi con l’allegoria della distruzione, della ricostruzione, e quindi del rinnovato fluire della vita ricomposta nei suoi atti di pacata quotidianità.

Già nei nostri primi incontri informali, tenutisi a Firenze nel 1979, in seno al Comitato Promotore vennero stabilite le caratteristiche del monumento che non avrebbe dovuto rappresentarsi con una semplice definizione antropomorfa ma, piuttosto, avrebbe dovuto segnalarsi in virtù di una forte valenza simbolica rappresentata come rimando citazionale al Bunker (ossia a un complesso di costruzioni erette con finalità militari e difensive). Dunque il monumento che la committenza voleva erigere allo scopo di onorare i Caduti per la bonifica dei campi minati avrebbe dovuto essere configurato con esiti evocativi di espressività “modernissima”, ossia aggiornata culturalmente e rivolta alle menti – e ai cuori – delle nuove generazioni.

Promosse informalmente dal Comitato Promotore del monumento (costituito da appartenenti alla Regione Militare Tosco-Emiliana, da ex sminatori, da amministratori di Castel Bolognese e della Comunità Montana dell’Appennino Faentino), le nostre riunioni proseguirono regolarmente per circa due anni, sino alla costituzione ufficiale del Comitato Promotore avvenuta in data 27 giugno 1981. In quella occasione ne venne stabilita anche la sede: a Castel Bolognese, ossia nel luogo ubicato al centro di una vasta area fatta ripetutamente oggetto delle bonifiche di sminatura all’interno della Regione Militare Tosco-Emiliana.

Era nostra opinione che l’evocazione delle devastazioni belliche, e la successiva volontà di rigenerazione, dovesse necessariamente escludere ogni statuaria con sembianze umane. Inoltre si volle porre in evidenza la solidità della materia in maniera rigorosa, a significare la solidità di una Nazione che rinasce, e per questa ragione si scelse di adottare il cemento armato. Tale impostazione brutalista (1) appare evidente nelle diverse revisioni del progetto, ma non già nella prima idea che proponeva un cumulo di blocchi lapidei policromi sui quali svettava l’Albero della Pace come metafora della continuità della vita. Nel mio progetto definitivo (che fu addirittura acclamato da tutti i Membri del Comitato), appare ben evidente la scelta decostruttivista orientata alla riflessione consapevole, che supera anche l’approccio strutturalista opponendosi altresì agli stilemi cari al pensiero post-moderno, predominante nel dibattito culturale architettonico di quegli stessi anni.

Non volevamo un monumento che fosse retorico o enfatico, ma neppure minimalista, banale o vernacolare. E pertanto, discussione dopo discussione, confronto dopo confronto, negli anni abbiamo precisato e revisionato molte ipotesi progettuali, fino a pervenire alla decisione di voler frantumare le consuetudini da secoli vigenti per l’ordinaria progettazione dei Celebrativi. E, infine, senza titubanze, abbiamo deciso il superamento della sterile percezione del “già noto” (e quindi riconoscibile) ed estetizzante, con una intenzionalità espressiva dichiaratamente decostruttivista e brutalista dove non ho (non abbiamo) voluto rappresentare le sembianze umane dell’eroe in azione e/o gli strumenti in uso per far ‘brillare’ le mine.

Dunque l’intera fase ideativa intendeva elaborare una architettura d’avanguardia (così come mi era stato espressamente richiesto da quella assai peculiare e composita committenza), in grado di sovvertire il sistema di valori plastici tradizionali del tutto insufficienti nel dare risposta alla complessità delle istanze poste in essere dai Membri del Comitato Promotore. Per tale ragione, e con tali finalità, il progetto compone un’opera architettonica in cemento armato in rapporto rispettoso e dinamico con il contesto urbano; un’opera non soggiacente ad alcun modello figurativo di riferimento e che utilizza soluzioni formali disposte per evocare in termini oppositivi il male e il bene, il caos e l’ordine, la morte e la vita, la distruzione e la ricostruzione, in una configurazione spaziale densa ma frammentata, mediante quattro massicci volumi dalla geometria inattesa.

Consapevoli che forse l’opera architettonica non sarebbe stata immediatamente comprensibile, abbiamo comunque deciso di adottare un linguaggio articolato che appare spaesante, poiché all’epoca non era mai stato applicato in nessun’altro Celebrativo: infatti l’insieme delle espressioni strutturali, morfologiche e tecnologiche è del tutto originale e, all’epoca, non era comparabile a nessuna altra opera commemorativa. Il complesso monumentale, dalle superfici di cemento grigio (con specifiche casserature in parte levigato, e in parte graffiato), si rappresenta in una configurazione ordinata: i blocchi verticali si accostano a quelli orizzontali, distaccati ma contigui e prospicienti; contrapposti, ma semanticamente collegati dall’Albero della Pace (scultura realizzata dall’Atelier di Angelo Biancini, scultore e ceramista) che è situato come cerniera tra assialità orizzontale e verticale, tra distruzione e ricostruzione, tra morte e vita, poiché i suoi rami sono gremiti di colombe che, come è noto, rappresentano la pace e la riconciliazione.

«Coordinamento perfetto, che rende l’atmosfera serena, e di una architettura d’avanguardia»: con queste parole, che Angelo Biancini vergò a mano sul cartiglio di una mia Tavola di progetto, si concluse l’annosa e difficoltosa stagione ideativa e progettuale. I Membri del Comitato con questa dedica vollero esprimermi la loro più viva soddisfazione, elogiando il progetto che, infine, venne approvato all’unanimità nella Seduta consiliare del 22 febbraio 1984. Immediatamente diedi inizio ai lavori di cantiere per la costruzione del monumento che venne inaugurato in data 15 aprile 1984 alla presenza delle massime autorità civili e militari della Nazione.

Si era dunque conclusa con successo la nostra avventura, intrapresa allo scopo di tenere in vita il ricordo degli sminatori immolatisi per consentire la rinascita della Nazione. E tra i tanti messaggi elogiativi ricevuti in quell’occasione, desidero qui citarne uno in particolare: quello del Presidente della Repubblica Sandro Pertini.

«Caduti Bonifica Campi Minati.
A tutti i fratelli caduti nella bonifica dei campi minati il popolo italiano deve ammirazione e riconoscenza profonda. Il Monumento che in loro onore viene oggi inaugurato a Castel Bolognese varrà a consacrare per sempre, tra le generazioni a venire, la memoria di una epica impresa senza la quale le pagine della nostra ricostruzione e del progresso del nostro Paese non sarebbero mai state scritte. Il Presidente della Repubblica Italiana: [Firmato] Sandro Pertini».

La cronistoria del monumento è stata puntualmente restituita in una pubblicazione di cui è autrice l’architetto Maria Giulia Marziliano (2) https://ferrucci-marziliano.it/maria-giulia-marziliano/ che ha collaborato con me in tutte le diverse fasi, sia progettuali che esecutive. In questo suo libro è riportata anche la Relazione Tecnica di progetto, e pertanto in esso sono indicate le tecniche da adottare per la protezione delle superfici del monumento, e le azioni che all’epoca avevo indicato affinché fosse eseguita l’indispensabile, corretta – e continua – gestione manutentiva dell’opera.

Questa precisazione è doverosa, poiché su tale argomento sono stato ripetutamente interpellato con segnalazioni preoccupate e critiche verso una totale e inspiegabile assenza di manutenzione. Logicamente, nel corso degli anni l’incuria ha provocato un conseguente degrado del complesso celebrativo: un degrado rilevante che era già ben evidente venti anni fa, come si può percepire dalle immagini fotografiche pubblicate anche in https://ferrucci-marziliano.it/gallery/ e scattate in occasione delle celebrazioni promosse per il ventesimo anniversario del monumento.

Come alcuni di voi ricorderanno, nell’aprile 2004 infatti si è svolta la cerimonia celebrativa per il Ventennale con la presenza delle scolaresche cittadine portate al cospetto del complesso architettonico, dove si intonarono canti e si recitarono prose e poesie. In quell’occasione, l’amico Franco Gaglio ricordò agli astanti che il nostro monumento è stato ideato, progettato e costruito (decostruito) per conferire perpetuo ricordo agli sminatori, ossia a coloro «che dichiararono guerra alla guerra». Richiamando alla memoria collettiva il valore eroico di quegli uomini, il monumento intende rievocarne il ricordo affinché questo resti intatto e venga recepito dalle giovani generazioni. Con l’auspicio che le giovani generazioni ne sappiano trarre fonte di ispirazione per «sentimenti di amore, pace, rispetto e dovere verso tutti gli altri uomini».
Grazie per l’attenzione.

(1) Nato come superamento del Movimento Moderno in architettura, il Brutalismo è una tendenza culturale che sostiene uno stile ben riconoscibile: gli oggetti architettonici, privi di ornamenti, sono costruiti utilizzando il cemento lasciato visibile sulle superfici nude, senza aggiungere intonaco né rivestimento alcuno. Il termine deriva dal francese béton brut, ossia cemento grezzo, e intende porre attenzione particolare alla precisione geometrica e alla forza delle forme. L’architettura moderna, e in special modo la corrente architettonica del Brutalismo, ha fatto sempre più riferimento all’espressività del calcestruzzo lasciato “a vista”. Pertanto il concetto di Brutalismo si riconosce nelle scelte morfologiche e tecnologiche adottate, collegate a un particolare uso del cemento e delle sue superfici, mentre i criteri estetici – e il cosiddetto “brutto” e il cosiddetto “bello” – in questo caso sono considerate parole vuote, superate e del tutto prive di senso.
(2) M.G. Marziliano, deCostruire un Luogo dell’incontro e della memoria: il Monumento Nazionale ai Caduti per la Bonifica dei Campi Minati, Maggioli Editore, Rimini, 2007. Con il patrocinio di FSP – Fondazione Sandro Pertini; e con il patrocinio di ANGET – Associazione Nazionale Genieri e Trasmettitori d’Italia.

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