Diario delle Monache Domenicane di Castel Bolognese durante il passaggio del fronte bellico (1944-45)

MONACHE DOMENICANE
DEL MONASTERO
DELLA SS.MA TRINITÀ DI CASTEL BOLOGNESE

BREVI CENNI DEL PASSAGGIO
DEL FRONTE BELLICO DA CASTEL BOLOGNESE
E SUE RIPERCUSSIONI SUL MONASTERO
DELLA 
SS.MA TRINITÀ DI CLAUSURA
1944 – 1945

Motivi di questi cenni

Alla distanza di quasi cinque anni dalla cessazione delle ostilità in questo paesello, una volta raccolto e ridente all’ombra delle sue belle chiese e degli svettanti campanili è forse un anacronismo parlare ancora di guerra? Non c’è più l’orribile visione delle macerie ingombranti a cumuli, a cataste le vie e piazze principali, che come un sogno apparve ai nostri occhi intontiti dal buio delle cantine in cui (salvo qualche rara sortita) si era vissuti quattro mesi e mezzo quasi sepolti vivi, quel mattino del 12 aprile 1945, quando vedemmo le prime pattuglie dei soldati polacchi. Ma le ferite sussistono tuttora e gravi, e il forestiero che passa veloce con ogni mezzo di locomozione, gira attorno lo sguardo attonito sugli orridi sventramenti e su gli altri segni visibilissimi della passata bufera. Sentirà in cuore un palpito di commiserazione per questa terra infelice che ha subito un sì lungo e crudele martirio?

Queste brevi righe disadorne, senza fronzoli di vana retorica ma veritiere e certo inferiori alla realtà della descrizione delle passate vicende, hanno appunto lo scopo precipuo di suscitare nel cuore dei gentili lettori sentimenti di pietà e di cristiana carità in favore di queste umili “Spose di Cristi” tanto provate dalla sventura.
Novembre 1949.

Prime avvisaglie

Fra il muto ed angoscioso dolore degli abitanti già nel maggio 1943 erano state calate parecchie campane religiose e civili dalle varie torri, e anche la maggiore delle nostre due aveva dovuto associarsi al tributo comune. Quello fu un giorno di lutto per la nostra comunità. Vedersi estorta in quel modo la campana fusa in segno di letizia e di ringraziamento nel lontano 1821, per il ripristino della “famiglia religiosa” dispersa dalla furia napoleonica, era davvero come una trafittura di coltello. Tuttavia si ingoiò in silenzio anche questo amaro boccone pregando il buon Dio di abbreviare i giorni della prova. Ma le cose precipitarono, e sempre peggio.

Cominciarono le incursioni. Da Roma presto si passò alla vicina Bologna e le prime notizie terrorizzarono tutti, così in luglio, così in settembre 1943. In un primo tempo sembrava che il nostro paesello considerato di nessuna importanza ai fini bellici, sarebbe stato risparmiato da questo nuovo flagello. Ma purtroppo le previsioni erano errate. Intanto si ebbe la rumorosa ritirata delle truppe tedesche e l’eco risuonava anche tra queste mura. Si era dopo la metà di agosto 1943. Verso la fine dell’inverno cioè nel febbraio – marzo 1944 ripresero con maggior insistenza i passaggi degli stormi aerei diretti verso l’Italia settentrionale e nel maggio – giugno fu preso di mira anche Castel Bolognese.

Per ore ed ore restavamo ritirate in cantina, atterrite dal cupo rombo dei motori che sorvolarono anche sul nostro Monastero, situati in prossimità della stazione ferroviaria. Più d’una volta ci siamo viste la morte alla gola. Ripetutamente furono sganciate bombe sulla stazione su indicata e nei vicini pressi con enormi distruzioni. Una delle più terribili incursioni, fu nelle ore pomeridiane del 2 luglio 1944 giorno di domenica, in cui buona parte delle vetrate andarono in pezzi.

Siccome il pericolo aumentava di giorno in giorno e la situazione di noi Religiose, anche dormendo di notte nella cantina, era piuttosto preoccupante, allora per consiglio e con l’aiuto della Autorità Ecclesiastica, si pensò di fare sfollare le più giovani e alcune impotenti bisognose di continua assistenza. Colle sfollate c’era la M. Priora Suor Maria Luisa Cenni e la Maestra del Noviziato Suor Maria Teresa Moro. Si partì in numero di 18 o 19: l’esodo avvenne la mattina dell’8 luglio. Luogo di destinazione, Bagnara di Romagna, ridente paesello distante da Castel Bolognese 7 Km. verso nord. L’immenso dolore nel distacco tra le consorelle che fuggivano verso lidi migliori e quelle poche che restavano nel pericolo, a guardia del nido e delle cose ivi esistenti, fu lacrimevole ma comunque compensato dalla gentile e festosa accoglienza del buono ed indimenticabile Arciprete di Bagnara, don Alberto Mongardi e della benemerita sig.ra Alma Guerra che ci offrì l’ospitalità. Per amore del vero i “bagnaresi” di ogni condizione ed età fecero di tutto per rendere meno duro l’esilio; e noi da queste povere pagine, ripetiamo loro, cordialmente tutta la nostra gratitudine e riconoscenza. Intanto la via Emilia era continuamente battuta da truppe in ritirata, che con sé portavano via il bottino delle loro razzie: capi di bestiame di ogni natura, trafelati ed ansanti dopo giornate intere di marcia.

Un giorno, un brutto giorno (si era ancora nel 1943) con fare truculento, si precipitò nel parlatorio un tenente o capitano tedesco imponendo alle Suore di aprirgli il Monastero; forse voleva far riposare qui dentro le sue truppe da lui comandate. La Madre Priora gli rispose che non si poteva, essendo Monastero di Clausura Papale, ed egli ribatté che il Papa era un “anglofilo” (cioè amico degli inglesi) e dando in escandescenze minacciò addirittura di rompere le inferriate e le porte d’ingresso. Ci volle del bello e del buono per ammansirlo, si dovette chiamare l’Arciprete locale e finalmente la cosa si appianò fra non poche difficoltà. Abbastanza impressionate per il poco simpatico avvenimento la Madre Priora radunato in fretta il Capitolo, espose la felice idea di sotterrare tutto ciò che vi era di prezioso e di utile nel nostro Monastero, compresa tutta l’argenteria dei nostri Padri Domenicani di Bologna, portata in precedenza al nostro Convento, ritenuto allora più sicuro. Infatti di gran lena, ci mettemmo noi Religiose, chi con picconi e zappe e chi con diversi altri attrezzi indicati al bisogno per scavare una buca profonda metri 2, larga metri 3, col pericolo di venire sorprese, e che a qualche Religiosa capitasse qualcosa di serio durante il lavoro faticoso dello scavo, avendo una pietra colpita una novizia e prodottale nella fronte una larga e profonda ferita.

Fosca vigilia

Dopo il triste esodo delle consorelle sfollate a Bagnara (luglio 1944) il fronte si appressa lentamente, ma fatalmente. La maggior parte di quelli che erano sfollati qui da Bologna, visto che il pericolo ormai è generale se ne sono tornati alle proprie case; gli altri e quasi tutti gli abitanti si sono sbandati nelle vicine campagne e quei pochi che sono costretti a vivere fra queste mura cercano un luogo di rifugio almeno la notte.

Nei mesi di luglio, agosto e settembre la via Emilia è scarsamente battuta di giorno per timore delle incursioni aeree. Ma dopo l’Ave Maria, fino a tarda notte è un incessante e fitto corteo di automezzi di tutte le forme e dimensioni che portano dal settentrione al fronte, nell’Italia centrale rifornimenti di truppe, viveri e munizioni. Il lugubre e lento corteo nelle fitte tenebre e al debole chiarore della luna, produce nell’animo la più triste impressione.

Cominciando poi da settembre 1944 la sera prima o poco dopo l’imbrunire sul lontano Appennino i razzi luminosi delle granate solcano il cielo e rimbombano sinistramente nelle sottostanti vallate. Si ha la sensazione di essere alla vigilia di uno scontro deciso e di una sollecita liberazione. Sogni e vane speranze! Intanto anche qui da mesi sono iniziate le razzie del bestiame e di animali da cortile. I campagnoli vivono sotto il continuo terrore dei depredamenti. Oltre ciò, i tedeschi si sono insediati in molte case coloniche e la fanno da padroni; quello che rubano in un luogo, lo consumano in un altro e ne fanno parte anche con quelli della famiglia. “Hodie mihi, cras tibi”.

In settembre ed in ottobre si aggiungono pure a seminare desolazione e spavento i rastrellamenti delle “brigate nere” e le continue rappresaglie. Non si è più sicuri della vita e qualunque cittadino anche il più pacifico è alla mercé dei capricci dei vari gerarchetti che spadroneggiano su tutto e si tutti. Due di Castello, un cittadino ed uno sfollato sono accalappiati improvvisamente da un’auto la sera 1° settembre e dopo alcuni giorni s’impara che sono stati fucilati e i loro corpi penzolano dai pali del telegrafo sulla strada di Felisio presso Solarolo. Anche nella vicina parrocchia di Tebano morti, prigionieri e incendi di case coloniche: i bagliori delle fiamme e il fumo si scorgono anche a Castello.

Per un giorno e una notte la vicina chiesa parrocchiale di Biancanigo è trasformata in una prigione. Vi sono tutte la classi, tutti i sessi, tutte le età. Motivo: l’uccisione di un soldato tedesco, avvenuta non si sa per colpa di chi. Il 28 settembre di notte, cadono tre bombe, provocando gravissimi danni alla chiesa del Suffragio e la rottura completa di tutti i vetri delle chiese e abitazioni, compreso il nostro Monastero.

A metà ottobre passa pure la squadra dei “guastatori” tedeschi che fanno saltare la stazione ferroviaria con un fracasso infernale e rovinano tutti gli impianti telegrafici e telefonici.

Nel cuore della mischia

Siamo in novembre e si appressa a grandi passi il tragico evento. Qui si confida sempre e intanto si cerca di consolidare il più possibile i più riposti rifugi. Anche quelli che finora sfidando i pericoli dei bombardamenti hanno vissuto giorno e notte al pianterreno o a piani superiori, cominciano almeno la notte a rifugiarsi nelle cantine. Nei giorni passati il popolo, incoraggiato anche dai tedeschi, ha saccheggiato il palazzo della Sig.ra Maddalena Gottarelli e varie imprese industriali, come la fabbrica di maglieria della Ditta Sgarbanti di Bologna e la segheria Villa presso il Mulino di mezzo, asportando mobili, utensili, biancheria, filati di lana, legname e legna da ardere. Ad accrescere la confusione, ogni tanto, giungono sempre nuove truppe in ritirata dal fronte e con ogni prepotenza si rifugiano anch’esse nelle cantine, con una promiscuità deplorevole.

Gli scoppi delle granate si sentono sempre più vicini, sia dalla parte dell’Appennino, sia dalla parte di Faenza. Da mesi e mesi per precauzione contro i frequenti bombardamenti, le sacre specie Eucaristiche fuori che nel tempo della S. Messa vengono conservate nell’armadietto dell’olio Santo. Alla fine di novembre inizia la vera e terribile tragedia e per maggior sicurezza, si appresta un altarino nella sacrestia e lì si celebra la S. Messa.

Diario del fronte

1° Dicembre

La notte scorsa le prime granate hanno cominciato a fioccare sul paese seminando distruzione. Noi siamo state le prime ad avere il battesimo del fuoco. Fortunatamente non abbiamo a registrare danni alle persone, ma un bel maiale già ingrassato che si trovava dentro uno steccato nel chiostro a ponente è stato colpito da una scheggia nelle prime ore del mattino. Chiamato alle prime luci il nostro sindaco sig. Felice Borghi che è macellaio, assaggiata la carne l’ha trovata buona e tagliata e messa a parte la parte ferita per fare del sapone, ha preparato il resto per la lavorazione che, Dio volendo, si farà domani, anzi dal timore che i tedeschi s’impossessino anche di quelli vivi, ci consiglia di ucciderne altri due per nascondere la carne e serbare un po’ di provvidenza alla comunità. E così fu fatto per grazia di Dio, senza disturbo. Naturalmente la caduta di questa prima granata ha mandato in frantumi le poche vetrate rimaste ancora intatte.

2 dicembre

Oggi è stata giornata di grande lavoro (maiale soggetto sottinteso) fatto in fretta a sempre col timore di vederci i tedeschi alle spalle a meglio alle porte. Fortunatamente tutto è andato alla perfezione. Siano rese grazie al Signore il quale visibilmente tanto ci protegge.

4 dicembre

Oggi è entrato in Monastero un Capitano tedesco per vedere l’orto. Ha detto che dovevano aprire delle brecce nel muro di clausura di fronte alla via di circonvallazione per portarvi delle mitragliatrici. si è mostrato molto gentile e ha detto di aprire il portone, perché i soldati non entrino all’interno del Monastero, anch’egli si è astenuto dall’entrarvi.

5 dicembre

Conforme l’ordine ricevuto ieri, abbiamo dovuto nostro malgrado aprire il portone dell’orto che serve per far entrare i carri e, con nostro dispiacere, ma con rassegnazione alla volontà di Dio abbiamo dovuto assistere inerti alla sbrecciamento delle mura a fio di terra. Addio sempre più alla nostra cara clausura!

8 dicembre

Ieri è stata una giornata veramente infernale. La battaglia ha infuriato nei pressi delle Celle, parrocchia rurale del Faentino. Il crepitio delle granate è stato continuo ed assordante. In tal giorno si è appresa la triste notizia che il venerando Vescovo di Faenza Mons. Antonio Sacrante, già sofferente da anni, sfollato nella villa del dott. Bucci è morto. Qui si è vissuta tutta la giornata nel più grande terrore. Stanotte poi, una granata ha perforato con un grande vano circolare la mura di via Costa, fra il portone dell’orto e la Madonnina un po’ oltre la metà altezza.

Oggi, che dovrebbe essere giorno di letizia, ricorrendo una delle solennità del paese, l’Immacolata Concezione, che finora da secoli si è sempre svolta con riti maestosi e grande affluenza di popolo, si passa nel lutto e nel terrore, incerti di quello che ci serberà l’avvenire. Anche il paese è stato tremendamente colpito in molte parti. Danneggiatissime le Chiese specie l’Arcipretale che ha ricevuto i primi colpi; e il Suffragio già colpito in antecedenza.

Stamane poi, sono arrivate improvvisamente sette Ancelle del Sacro Cuore con 30 orfanelle della Piccola Opera della Divina Provvidenza che hanno casa a Faenza. Sfollate da vari mesi in una villa della parrocchia di Pergola, i tedeschi le hanno allontanate per sottentrarvi essi stessi con un sotterfugio. Dando da intendere che le avrebbero riportate a Fenza, cosa impossibile, perché c’era da attraversare il fronte, ieri nel pomeriggio le hanno caricate in macchina e giù a rotta di collo verso la via Emilia. Naturalmente invece di volgere verso Faenza, il convoglio passando sul fronte del Senio, ha voltato verso Castel Bolognese. Solo allora la Superiora ha intuito il tranello in cui era miseramente caduta. Qui giunte, non si sapeva davvero dove accoglierle: nelle cantine dell’ospedale non c’era più posto, essendo già tutto zeppo tra Suore, personale, infermi, vecchi e le orfanelle di Castello. Per interessamento poi del Signor Arciprete, vengono alloggiate nella cantina esterna che sta sotto il parlatorio, l’atrio e l’alloggio dei custodi. Ivi erano già sistemati altri abitanti della vicina parrocchia della Pace, sfollati anch’essi per sfuggire al pericolo imminente. Man Mano tutta questa folla aumenta sempre di giorno in giorno, portando seco tutto ciò che è salvabile: indumenti, masserizie, mobili ecc. Ogni piccolo spazio interno ed esterno viene occupato tra una confusione indescrivibile.

10 dicembre

Anche oggi, specie nel pomeriggio, giornata d’inferno. È domenica. Granate e bombe; morti e feriti. Noi fortunatamente nulla. Ma i dispiaceri non mancano. Non contenti dell’apertura del portone, che in una delle notti precedenti era già stato forzato a metà, non però aperto perché robustissimo e rimesso a posto, puntellato e sbarrato in ogni modo, i tedeschi hanno fatto altre due brecce nelle mura dell’orto, una nella nicchia della Madonnina, l’altra dentro lo stalletto dei conigli, per poter passare liberamente; quindi nell’orto sono i padroni loro e se ne vedono i segni. Tutto devastato: viti, piante, erbaggi, persino i piccoli finocchi hanno estirpato: lo stalletto dei maiali convertito in latrina per loro uso e consumo.

15 dicembre

Salvo qualche raro intervallo la musica infernale è continuata anche nei giorni passati: e il silenzio della notte è rotto dai sibili e dagli scoppi delle granate vicini e lontani. Il nostro cappellano che fin dallo sfollamento della Comunità a Bagnara ha passato la notte un po’ nella tromba del Campanile di San Francesco, un po’ in canonica prima al piano superore e poi negli inferiori, cambiando luogo, questa notte è rimasto atterrito dai continui e tremendi scoppi verificatisi nelle vicinanze. Infatti, più di un terzo dell’abside dell’Arcipretale è crollato sotto i tremendi colpi, devastando parte dell’altare maggiore e la bancate del coro: in preda (il cappellano) allo spavento più terrorizzante (anche perché è sordo) stamane è venuto costì, fuggendo anche di là e sarà ricoverato nella sacrestia interna insieme ai custodi del Monastero.

18 dicembre

Alle sei del mattino arriva il parroco di S. Maria della Pace, don Vincenzo Zannoni con la mamma, la zia e alcuni soldati disertori in incognito che li aveva rifugiati. Avevano avuto l’ordine di sfollare la sera antecedente. Nella sacrestia interna erano già rifugiati di notte il Cappellano e i custodi. Per una notte il parroco fu alloggiato nella cameraccia attigua, e gli altri rimasero nella sacrestia interna, poi anch’egli si unì agli altri.

19 dicembre

Gli alleati sono giunti al fiume Senio: i ponti della via Emilia e della ferrovia sono già stati fatti saltare dai tedeschi. Incomincia il calvario più doloroso che durerà fino al mattino del giorno 12 aprile 1945. Ma nessuno l’avrebbe previsto così lungo e si sperava che in un mese al massimo, il fronte si sarebbe spostato verso l’Italia Settentrionale.

Intanto di giorno in giorno i colpi si succedono ai colpi, le rovine alle rovine e aumenta spaventosamente il numero dei morti e dei feriti. L’artiglieria prende di mira in modo particolare i campanili: primo quello di San Francesco, dove è stata avvistata la vedetta che già era stata istallata da più di un mese: la cuspide è già scapitozzata e il tronco sforacchiato orrendamente, e si scorge dai paini superiori del nostro Monastero. Poi è la volta di quello dell’Arcipretale che colpito nei due pilastri verso oriente, resta per qualche giorno in una visione terrificante, coll’enorme pigna conica pendente sui moncherini, finché la domenica 24 dicembre vigilia di Natale, questa precipiterà sul presbiterio dalla parte dell’organo, abbandonandosi sulla gradinata e pavimento di marmo inaugurati nel 1937 e sfracellandosi; l’altare e tribuna di scagliola con candelieri erano già rovinati dalle schegge delle granate.

20-25 dicembre

In una notte tra il 20 – 25 dicembre, anche la nostra graziosa chiesetta è orrendamente sventrata dalla parte dell’altare del SS.mo Crocifisso. Fortuna che questo era già stato asportato e messo in salvo e così pure tutto ciò che era asportabile. In seguito ad altri, aumentarono le rovine e il cielo della Chiesa per un terzo è orrendamente scoperto.

20 dicembre

Correva voce che forse i soldati sarebbero entrati in clausura e il signor Arciprete oggi è venuto e ci consiglia di uccidere gli altri maiali per timore che ce li rubino: due nostri e uno a metà col Sig. Felice Borghi. Quest’ultimo si da attorno per trovare gli uomini occorrenti. Il 24 domenica, vennero tre uomini e li uccisero in lavanderia con sveltezza; però noi si temeva sempre di avere i tedeschi alle spalle. Ma con l’aiuto di Dio tutto andò alla perfezione. Il 27 dovevano tornare per la lavorazione, ma da tempo era già passata l’ora fissata e non vedendosi nessuno, il custode uscì per vedere di scoprire il motivo, e tornò dicendo che i tedeschi vistili vicino al Monastero quando stavano per entrare, li avevano costretti ad andare con loro per ammazzare altri maiali a loro uso e consumo. Oltre il dispiacere per il contrattempo temevamo anche non dovessero succedere loro disgrazie e tutta la giornata la passammo in recitare rosari per scongiurare ogni pericolo. Il giorno dopo finalmente vennero e senza incidenti compirono in breve il loro lavoro, raccontandoci che il giorno prima non avevano fatto altro che ammazzare maiali per i tedeschi.

24 dicembre

Si minaccia la sfollamento di tutta via Garavini dove vi è la facciata dell’Arcipretale, della via Borghesi e della via Roma, dal macellaio fino alla Filippina.

25 dicembre

Triste e lugubre Natale 1944, ma la fiducia in Dio e nella Divina Provvidenza non ci abbandona!

Parecchie S. Messe sono celebrate nell’altarino della sacrestia, una delle quali dal parroco della Pace, cantata dalle Suore e orfanelle qui rifugiate. L’ultima sulle 10, il Cappellano la celebra all’altare maggiore della Chiesa, perché la pietra sacra dell’altarino è stata momentaneamente asportata per celebrare in una cantina: sembra davvero di rivivere i tempi delle catacombe!

Il paese assume un aspetto sempre più funereo. Da circa 15 giorni sono già state scardinate ed asportate imposte e usci per farne riparo agli automezzi che qui sostano. Ogni vano vuoto, sventrato, saccheggiato è convertito in uno sterquilinio. Fortuna che siamo d’inverno altrimenti il lezzo ammorberebbe l’aria e si avrebbe una vera epidemia. Il Priore di Valsenio, don Francesco Bosi, castellano di nascita e qui rifugiato fin dall’ottobre scorso presso un fratello che abita in via Borghesi, chiede ricovero piangendo.

28 dicembre

Dopo che i tedeschi hanno fatto del nostro orto quasi una zona di guerra, spesso vengono a bussare forte ai portoni che dall’orto stesso danno accesso al fabbricato del Monastero per entrarvi. Essi dicono che lo fanno per ripararsi dalle granate. Si fa di tutto per tenerli lontani; gli si dà da bere, e un po’ di frutta e così con qualche buona parola da parte nostra se ne vanno senz’altro. Un giorno però ne vennero alcuni con fare molto insolente e volevano entrare senz’altro. Insistemmo perché desistessero dal trito proposito, essendo noi monache di clausura. Non si arresero; anzi uno che aveva in mano una grande mannaia l’alzò per abbattere il portone. La Madre Superiora, già attempata e sofferente per vari malanni, si fece ardita, e, presolo per un braccio lo supplicò a fermarsi per un momento. Ed agli abbassando il braccio, ma sempre arrabbiato, rispose che dentro avevamo nascoste armi e munizioni e che nell’orto, al pianterreno, erano finestre chiuse con tele e legnami e volevano vedere cosa vi si nascondesse in quelle camere. (Lì dentro vi erano alcuni cavalli di proprietà del signor Borghi, che non sapendo più a qual Santo rivolgersi, qui li aveva rifugiati) Entrarono, ma visto che non c’era nulla di quanto essi cercavano se ne andarono senza dire più altro. Essendo poi l’orto aperto e alla portata di tutti, anche i civili hanno cooperato a saccheggiarlo, e così… “quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”.

29 dicembre

Dal principio del mese si celebrava nell’antisacrestia sull’altarino mobile, collocato nell’angolo, cioè con la schiena al muro laterale alla porta-vetrata che immette nella sacrestia, e con la fronte rivolta verso la ruota, ma subito dopo si riportava le sacre specie nell’armadietto dell’olio santo come si faceva già da mesi per precauzione contro le incursioni aeree. Ad ascoltare la S. Messa venivano parecchie persone, cui dopo si erano aggiunte le suore e le orfanelle di Faenza. Le Monache del Monastero l’ascoltavano dalla sacrestia interna, vicino alla ruota, continuando però a fare la Comunione nel solito luogo. La finestra della sacrestia era protetta da un robusto asse di legno. Il pericolo però aumenta sempre più e anche questo luogo non è più sicuro. Quindi ieri si è improvvisato un altarino nella cantina dove dormono le Monache, in fondo verso la via Emilia, con un tabernacolo mobile. Vi si sono trasportate le SS. Specie e stamane si è iniziato a celebrarvi la S. Messa. L’altarino è riparato attorno con tendine ed ha proprio forma di cappellina: si chiude anche davanti fuori del tempo degli esercizi comuni del culto.

Questa notte è crollato il resto del campanile di san Francesco continuamente battuto dalle artiglieria alleate; i tedeschi con le mine lo hanno fatto saltare, compiendo così la distruzione e con esso è stata fatta saltare pure la sacrestia adiacente. È tutto un cumulo di macerie che sdrucciola fino in mezzo alla piazza. Non c’è più una campana in paese all’infuori della nostra piccola. La notte seguente è la volta della chiesa del Pio Suffragio, colpita già dalle bombe in settembre, poi riparata, e percossa nuovamente dalle granate; senza nessun preavviso anch’essa è stata fatta saltare con la dinamite; con essa è crollato pure il piccolo campanile, dove era ancora issata una campana: sotto le macerie sono periti i quadri e gli arredi di pregio, fra i primi la grandiosa tela ovale del Purgatorio e l’ultima cena della scuola del Franceschini, ed altri.

31 dicembre

Alle ore 14, in un momento di tregua, si è smontata per mezzo di forti contadini, la veneratissima immagine dell’Immacolata di San Francesco che era ancora nella nicchia. È in terracotta del Lombardi quindi pregevole anche dal lato artistico, ma pesantissima. La saracinesca era già sforacchiata e la statua colpita da una scheggia che dopo avere oltrepassato il manto ed altri indumenti si era conficcata nel collo sotto l’orecchio destro rimbalzando di nuovo. Posata in un primo momento nella sacrestia interiore, dopo con molta circospezione ed in fretta si è trasportata in cantina e posta sul suo piedistallo grande che serve per le processioni, dietro l’altarino. Non si è potuto alzare molto da terra, perché il piano della cantina è tutto ondulato e vi è pericolo che le scosse frequenti delle granate la facciano facilmente cadere. Così oltre il SS. Sacramento, abbiamo anche la compagnia della nostra cara “Madre Celeste” e principale protettrice del paese. È per noi Monache di grande conforto e ci anima alla speranza e alla confidenza più tenera nell’aiuto di Dio.

A sera sull’”Ave Maria” col cuore trepidante, ma tuttora confidente e riconoscente, celebrante il parroco della Pace, il quale pronuncia opportune parole, si canta l’inno del ringraziamento e si dà la benedizione Eucaristica. La nostra cantina rigurgita di tutte le sorti. Oltre un po’ di bottame con relativo vino, reti, brande, sofà, sedie, attrezzi da cucina e gli scarsi viveri che finora si sono potuti salvare, l’ingombrano in gran parte valigie e involti, che si celano un po’ dappertutto. Non c’è altro che un piccolo passaggio in mezzo per giungere alla cappellina, che è in fondo.

1° gennaio

A mezza mattina comincia un fitto nevischio. Intanto nel Monastero è sempre un via vai di gente. Molti arredi conservati in un locale attiguo alla sacrestia di San Francesco e che nonostante il crollo del campanile si erano salvati per miracolo, vengono con grandi rischi estratti e qui rifugiati; ogni angolo, ogni bugigattolo a pian terreno viene preso d’assalto e tutto vi si mette alla rinfusa. Gli sfollati portano anche loro dentro ciò che è salvabile, poiché credono che il monastero sia più sicuro e meno accessibile. Per ora sembra di sì, ma in seguito? Alla sera si fa nuovamente funzione Eucaristica in cantina, per implorare la fine del terribile flagello e l’aiuto di Dio per l’anni iniziato.

Verso le ore 19 s’inizia una fitta tempesta di granate sul nostro Monastero. Scoppiano a 3 in fila per volta, proprio quasi tutte presso l’imbocco della gradinata che scende in cantina e precisamente dove vi è il pozzo. Questa poco simpatica musica si ripete per la bellezza di ogni quarto d’ora, fino alle 22. Dopo diradano: 2 ogni mezz’ora, fino quasi verso mezzanotte e finalmente calma.

Il terrore è stato grandissimo. I sacerdoti, i custodi e gli altri che ancora dormivano nella sacrestia interna, in un breve intervallo sono fuggiti tutti nella nostra cantina, e si sono trattenuti fino a pericolo scomparso. Si temeva di non uscire più vivi il mattino seguente.

Da una decina di giorni era sfollata da noi la figlia del sindaco del Monastero, Sig.na Peppina Borghi, poiché la loro cantina era zeppa di sfollati e tedeschi, ma il terrore provato questa notte l’ha indotta a far ritorno al suo nido, anche perché se non può sfuggire alla morte, preferisce morire con i suoi cari.

2 gennaio

La via crucis continua!

Oggi improvvisamente è entrato nell’orto un maresciallo tedesco, accompagnato da altri soldati ed ha chiesto se era clausura, anche nel locale adibito a legnaia e nelle tre celle superiori. poiché a prima vista il fabbricato sembra staccato dal resto. Noi trovammo una scusa dicendo che abitavano dei civili. Tutto questo si disse, poiché si temeva che entrassero nel locale dove erano nascosti i cavalli, già ricordati, qui rifugiati dal sig. Borghi, nella speranza di salvarli. La porta d’entrata era coperta da lunghe fascine di legna, in modo che, uno che non l’avesse saputo, non poteva sospettare nulla. il maresciallo però non si dava per vinto e insisteva per entrare. Allora ricorremmo ad un altro stratagemma dicendo che l’entrata era dalla via Emilia; ma siccome era una bugia grossa (se così si può chiamare) la Suora che l’aveva proferita non poteva trattenere il riso. Ed egli se ne accorse e furibondo corse dal sig. Minardi nostro confinante e tornò insieme con lui nell’orto, volendo a tutti i costi scoprire l’ingresso dei locali: e dagli e ridagli, “voglio entrare”, e “non si può, si entra dalla via Emilia” l’ingresso sempre restava celato agli occhi suoi. Finalmente dopo scuse ripetute che in un altro momento avrebbero provocato l’ilarità, sempre irritatissimo entrò in lavanderia, andò quasi di corsa in fondo, vide alcune oche, ma fortunatamente non s’accorse d’un maiale grasso nascosto sotto la scala che porta al noviziato e ai solai. Non gli si teneva dietro con sveltezza e si ripeteva sempre e invariabilmente: “è abitazione dei civili, si entra dalla via Emilia”.

Di scatto ritornò indietro, vide una tenda tedesca portata qui dentro dalla sfollata Maria Dal pozzo, contenente un po’ di fieno per i conigli e cominciò ad urlare: “questa non essere vostra!” La Madre Sottopriora giunta in quel momento gli rispose: “La vuole? Prenda pure!” e vuotatala gliela restituì. Allora non ancora persuaso, tornò davanti alla porta della legnaia, aperse il camerino dove erano custoditi otto piccoli maiali, tre nostri di circa 5 kg, del signor Domenico Dal pozzo un po’ più piccoli. Chiese subito: “Sono vostri?” Ma alcune suore sospettando che egli, vedendo tanta roba, avrebbe certamente fatto un buon bottino, portando via i più grandi rispose affermativamente e aggiunse: “Ne vuole uno?”. Sentirsi dire così e cambiare tono fu tutt’uno. Sorridente chiamò un soldato e gli fece cenno quale doveva scegliere; poi con modi alquanto rappacificanti e gentili disse: “Quanto costare?” Noi naturalmente si rispose che costavano molto, ma eravamo disposte ad accettare quello che ci offriva e ci contentammo così di 200 lire, pensando che tutti i giorni ne portano via da ogni luogo con sgarbatezze e minacce e senza un centesimo di compenso. Catturarono il maiale scelto e gli altri via per il cortile. Il maresciallo li osservò poi disse: “quelli tutti kaputt” “No – rispose una delle suore – sono nostri e non vostri, ve ne abbiamo dato uno, il più grande e basta!” Ed egli sorrise. Mentre col maialino usciva da un’altra parte, cioè dalla cucina, gli venne in mente che non era entrato dove voleva. Inquietandosi nuovamente cerca questa entrata e noi a rispondere e ripetere il ritornello che si trovava dalla parte della via Emilia. Allora egli convinto abbastanza dalla nostra invariabile risposta, uscì dalla parte della via Emilia e per allora la farsa terminò.

Il secondo maiale.

L’appetito vien mangiando, dice il proverbio. Pochi giorni dopo vennero a chiedere o meglio a portare via un secondo maiale. Con fine astuzia dissero che erano giunti dal fronte molti soldati tedeschi, ammalati e bisognosi di carne e perciò noi, buone sorelle, dovevamo avere compassione e venire in loro aiuto. Pure promisero che sarebbe stato pagato, e che avrebbero mandato il petrolio (tutte vane promesse che non furono mantenute) ci offrirono una bustina di caramelle, alcune sigarette e con mille complimenti presero il secondo maiale e se ne andarono. Ormai ogni speranza di salvare l’ultimo dei nostri svaniva, ma ci affidammo sempre alla Divina Provvidenza.

Gennaio 1945

Intanto dopo la tempesta di granate della notte del primo gennaio già accennata, avendo le schegge perforato le porte e le finestre della sacrestia interiore, vicino al pozzo, i due sacerdoti, i custodi e le altre donne sfollate e ivi alloggiati di notte, si trovano in grande pericolo e chiedono con insistenza di poter rifugiarsi nella nostra cantina. Restringendoci sempre più, si fa del nostro meglio per accontentarli. I due sacerdoti sono alloggiati di fianco alla cappellina in fondo.

E il diario del mese continua così, senza tante varianti. Le granate ogni tanto fioccano sempre e il nostro Monastero che trovasi al centro del paese è preso di mira in modo specialissimo, dalle colline che si alzano di là dal Senio; così pure il Municipio, la chiesa di San Francesco, l’ex palazzo scolastico. Ciò si deve anche ad un carro armato riportato sotto il loggiato comunale presso la Farmacia Solaroli (proprio di fronte al Monastero) che di quando in quando esce con uno sferragliamento infernale dal suo nascondiglio e giunto in via Emilia con la bocca del cannone diretta verso il ponte del Senio, spara due o tre cannonate in fila e con la stessa manovra è ricondotto in fretta al suo rifugio. Si vede che la provenienza degli spari è stata più o meno indovinata e noi ne paghiamo le conseguenze La cronaca continua su per giù nello stesso tono per tutto il mese: le vittime crescono, e così pure le rovine.

26 gennaio

Stamane alle prime ore si precipita da noi singhiozzando disperatamente il nostro sindaco Sig. Felice Borghi e tra i singulti ci narra la sciagura toccatagli questa notte nella sua casa. È stata colpita la lavanderia nel cortile e la granata penetrando nella sua cantina piena di sfollati e di tedeschi, ha ucciso sette persone, cinque delle quali di una sola famiglia bolognese; i tedeschi tutti illesi. La tragedia è stata tanto spaventosa sia per il numero delle vittime, sia per lo spavento provato dai numerosi sfollati o meglio rifugiati. Anche il signor Borghi che in precedenza aveva qui portato molto mobilio e masserizie, chiede rifugio per sé e per la sua famiglia nella nostra cantina. Confortato nel miglior modo possibile, anche egli è accolto con la moglie e la figlia.

Verso la fine di gennaio viene a rifugiarsi nella nostra cantina l’ing. Ortolani con la vecchia mamma.

Febbraio 1945

La domenica 4 febbraio sulle ore 14 i tedeschi hanno voluto aggiungere un altro sfregio ai tanti perpetrati. La storica torre, eretta nel 1425 e che un tempo serviva da ingresso al vecchio Castello, era già smozzicata dalla parte di levante: i tedeschi se ne sono serviti per mesi come osservatorio e, temendo che nello stato in cui ora si trovava potesse servire al nemico dopo la sua provabilissima avanzata, l’hanno fatta crollare con le mine. Lo scoppio e la scossa sono formidabili. Le pietre e i sassi sono rimbalzati perfino a 50 metri di distanza; le macerie nella piazza Bernardi, tra i rottami della torre, quelli del Suffragio, del palazzo scolastico, di S. Francesco e del Municipio, formano una vera montagna. È una desolazione indescrivibile. Si aggiunga il nevischio che ogni tanto copre tutto quel groviglio.

I tedeschi saccheggiano a più non posso i miseri avanzi delle chiese e delle case rovinate, in ciò, aiutati anche dai cosiddetti “civili” che fanno d’ogni erba un fascio. I documenti accumulati in parecchi secoli di storia nell’Archivio comunale, sono tutti miseramente in tal modo periti. Le strade sono quasi sempre deserte: i rari passanti corrono in fretta a fare le provviste allo spaccio, tanto per non morire di fame.

I tedeschi intanto con ogni arte reclutano uomini validi per trincee, camminamenti ed altri lavori di difesa; i reclutamenti sono minacciati anche di morte. Molti per nascondere la loro reale età si lasciano crescere delle barbacce arruffate che li rendono irriconoscibili. L’effetto però in molti casi si ottiene e li lasciano indisturbati. Ma la maggioranza deve sottostare alle imposizioni e tacere. Per ricompensa ricevono pane nero e qualche volta altri generi di viveri. Le perquisizioni ed i rastrellamenti avvengono anche di notte, suscitando spavento, specie fra le donne che si vedono strappati dal fianco i mariti e i figli. Alcuni cadono vittime di feroci rappresaglie.

Intanto continua lo scempio di quel povero S. Francesco che con la caduta del campanile è rimasto sventrato in tutto il coro e presbiterio e dopo, completamente aperto per il crollo del voltone che sosteneva il piano dello stesso coro. In momenti di sosta, a metà del mese, si sgombrano in fretta quadri e statue che vi erano rimasti, e specialmente i numerosi e preziosi reliquiari del grande armadio settecentesco del così detto “Altare dei Santi”; quasi tutto viene rifugiato qua dentro e la confusione cresce sempre; anche il parroco di Casalecchio in precedenza, aveva qui mandato arredi sacri e apparati preziosi.

I RR. PP. Domenicani di Bologna, che, in un primo tempo (1943) avevano trasportato nel nostro Monastero gli arredi sacri più preziosi della loro Basilica per salvarli dai frequenti bombardamenti che colpivano la città di Bologna, seminando dovunque stragi e rovine, vedendo che Castel Bolognese ora si trova in maggior pericolo, vengono a ritirare tutto con ogni cautela, girando talvolta anche di notte. In una di queste venne il Padre Priore (P. Antonino Berizzi) e, dopo di avere bussato ripetutamente invano al portone esterno d’ingresso, si appressò al finestrino della cantina, ostruito con sassi e terriccio per ripararci dalle schegge di granata e chiamò due o tre volte a voce alta: “Suore, Suore”. Svegliate di soprassalto ed intimorite, col permesso della M. Sottopriora, alcune salirono al pian terreno e fecero aprire agli sfollati. i Padri diedero istruzioni per l’imballaggio degli arredi con l’ordine di tenerli pronti presso la porta per caricarli al momento opportuno. Portarono anche viveri e medicinali. Dopo pochi giorni si venne a ritirare tutto e noi approfittammo per mandare a Bologna gli oggetti più preziosi della Chiesa nostra e della chiesa di San Francesco che si trovano qui, come pure macchine da maglieria ed altro. La confusione era indescrivibile. Comunque, con l’aiuto di dio tra un pasto e l’altro consumato fra tante preoccupazioni tutto andò bene; il più gran da fare era di trasportare arredi e mobili dai luoghi che si ritenevano meno sicuri, ad altri ritenuti più adatti, tra un continuo fare e disfare. La mattina, per tempo ci si alzava per dire insieme, col fioco lume di una lucerna a petrolio, l’Ufficio Divino. Ma più di tutto si era preoccupati della sorte delle nostre Consorelle sfollate a Bagnara di Romagna; ogni tanto si inviavano a loro notizie ed altro, per mezzo di corriere improvvisato e si riceveva di rimando; anche per loro la situazione si faceva di giorno in giorno assai grave. Poi si dovette smettere, perché i viaggi si rendevano sempre più difficili e pericolosi e non si trovavano più corrieri, essendo l’ultimo stato colpito da una scheggia nel centro del paese. Quindi i ponti erano tagliati e non si capiva più in che modo vivevano.

Il nostro campanile

Di tutti i campanili del paese non restava in piedi altro che il nostro. Forse finora non era stato colpito per la sua scarsa entità e nessuna utilità agli scopi bellici. È semplice e a vela con due archi, ma anch’egli non è risparmiato. L’arco a mezzogiorno, dove era la campana maggiore requisita due anni fa, viene spaccato da una granata nel pilastro esterno: la parte inferiore è sbriciolata, il moncherino superiore si affloscia sul pilastro mediano, restando attaccato da questo lato nella parte superiore. Fra tante disgrazie il Signore ci protegge visibilmente. Fortuna ha voluto che l’unica campana superstite si trovi nella parte opposta; così è rimasta salva.

11 febbraio

Non passa giorno che non vi sia qualche brutta notizia. O case crollate, o morti, o feriti, o rappresaglie, o rastrellamenti; sembra il finimondo. Oggi però è una giornata tranquilla e splende un sole primaverile. I rifugiati che hanno messo un po’ fuori il naso, ci riferiscono che il paese è come tutto in festa. Crocchi di civili e di soldati passeggiano come se nulla fosse. Alcuni si sono allontanati un po’ troppo e nel ritorno due di essi, giovani sposi, pagano il fio. Colpiti da una scheggia di granata, muoiono sulla pubblica via Emilia nel Borgo. In tal giorno è stata smontata con molta fatica la statua di S. Antonio da Padova dalla sua nicchia di San Francesco e ricoverata in una casa privata del palazzo Ginnasi. In un altro giorno è stato qui trasportato il grande Crocifisso di stucco.

26 febbraio

Finora nessuna delle nostre Suore, né dei nostri rifugiati è rimasta vittima nell’interno del Monastero, sebbene le granate piovano ad intervalli in ogni parte di esso. Naturalmente oggi, essendo una giornata primaverile e perfettamente calma, l’ing. Ortolani pensa di fare una scappata al suo palazzo della Marchesina, a sud del Cimitero Comunale, per mettere in salvo alcuni quintali di grano che ivi ha dovuto lasciare nel forzato sfollamento. Detto fatto. Ma la sera al ritorno con la provvidenza, anch’egli resta colpito nel mezzo del Borgo e balbetta alcune parole incomprensibili e muore all’istante. Con lui era la domestica Dorina Martelli, la quale rimane ferita ad un braccio. Alla ferale notizia restiamo tutti allibiti e non sappiamo come farne partecipi la mamma qui sfollata con lui. Pian piano con molti riguardi le si scopre la verità. Il giorno dopo la salma dall’ospedale, dove era stata portata immediatamente, viene trasportata nel centro della nostra chiesina, la quale orribilmente sventrata nel dicembre 1944, è ora convertita in rimessa: attrezzi rustici, masserizie, legna da ardere l’ingombrano dappertutto, e nei momenti di calma, serve anche da lavanderia. Chi l’avrebbe mai pensato?

Il morto presenta una vasta ferita al mento, tamponato con ovatta. Vestito in fretta, viene deposto nel parlatorio esterno, improvvisando una camera ardente, e solo allora la vecchia mamma è condotta a vederlo dalla grata del parlatorio interno. Scena commoventissima!

La mattina del 28 nella cantina fuori clausura, che si trova sotto l’atrio del parlatorio, dove già si era allestita una seconda cappellina per uso delle Suore e orfanelle della Divina Provvidenza, si celebrano 3 Sante Messe, l’ultima delle quali cantata dal signor Arciprete don Giuseppe Sermasi, ma la salma si è lasciata di sopra al suo posto, per la difficoltà di portarla giù per le scale ripide e lunghe. Dopo la S. Messa si fanno le esequie brevissime sopra la salma. E immediatamente dopo, due giovani del “pronto soccorso” la caricano sulla lettiga e via da soli in fretta al cimitero. La lugubre scena in mezzo alla via traversata solo da qualche raro passante fa rabbrividire. I presenti affollatisi sulla porta, e molti sono venuti apposta dal di fuori, trattengono a stento le lacrime. Siamo giunti a tanto che non si possono neppure seppellire i morti degnamente e in pace. E come lui altri. Molte vittime morte all’ospedale sono state provvisoriamente sepolte nell’orto.

Marzo 1945

La triste odissea continua con un crescendo spaventoso. Il nostro povero Monastero è addirittura crivellati in ogni sua parte e così pure tutto il paese. L’erba cresce nelle strade in mezzo alle macerie accumulate in tanti mesi di distruzioni. e i morti si moltiplicano e i lutti si fanno più cocenti. Non passa giorno che gli ordigni di morte non facciano strazio di carne umana. Si sente nell’aria che stiamo per avvicinarci alla fine del nostro calvario. Ma quando sarà? Lo sa Iddio!

Intanto le comunicazioni con le nostre Consorelle sfollate a Bagnara si fanno sempre più rare e difficili. Noi si sta in pena per loro, e loro soffrono per noi. Intanto i tedeschi ci sono sempre alle costole, e dappertutto sfondano e sventrano. Parecchie volte siamo state lì lì per averli in casa di giorno e di notte, perché come avevano già fatto in molte case del paese, volevano praticare un foro dalla cantina confinante ad est con la nostra per avere modo di fuggire così, di cantina in cantina, senza girare allo scoperto in caso d’invasione improvvisa, o per salvarsi dalle granate come dicevano loro. Questo, nonostante le ripetute minacce non è successo grazie a Dio, ma ci hanno costretto a cedere ai civili frammischiati ai tedeschi, un’ala della cantina medesima, dalla quale dovemmo in furia sgombrare casse e mobili ivi rifugiati e chiudere sollecitamente a mezzo di un muratore il vano di passaggio o di comunicazione. Però vollero sfondare il muro della stanza del predicatore attigua alla sagrestia, piena di grano e di masserizie degli sfollati che si dovettero introdurre nel monastero, economizzando ogni angolo e tutto ammucchiando alla rinfusa. Asportata la bussola anche la sagrestia diventò casa di tutti, e volto il banco dove si appara il celebrante, fu praticato un foro nel muro per passare in chiesa. Fortunatamente dalla sacrestia, nessuna ha mai tentato di entrare nel Monastero e non sarebbe stato tanto difficile, sforzando la bussola e l’altra porta. Perciò anche in questo abbiamo sperimentato la protezione di Dio.

Però i tedeschi entravano di giorno e di notte spesso, dal portone della clausura e anche dall’orto con ripetuti colpi, e con le buone e con le cattive, bisognava cedere loro quello che volevano.

19 marzo: festa di S. Giuseppe

Questa festività si era soliti celebrarla gli anni passati in santa letizia; era onomastico della madre Giuseppina Mattioli; per tre lustri continui Priora del Monastero ed ora Sottopriora e quindi dopo lo sfollamento di una parte della Comunità, di nuovo reggitrice del piccolo drappello qui rimasto a guardia; essa ha visto con suo immenso dolore, disfatto e distrutto in gran parte il nido, per cui benessere si era tanto data d’attorno; quest’anno perciò la festa si svolge nelle più tragiche ed impreviste circostanze. Si comincia male sin dal mattino. 19 cieche dell’istituto omonimo di Bologna, sfollate in precedenza nella villa Rossi presso Biancanigo, dove per alcuni anni durante l’estate le aveva generosamente ospitate la consorte del proprietario signora Contessa Teresa Ginnasi e dal dicembre 1944, perché fatta saltare la villa dai tedeschi con un’ecatombe di civili, ritiratesi nella canonica parrocchiale di Biancanigo per ordine del comandante tedesco, ieri hanno dovuto evacuare la nuova dimora per essere dirette alla sede di Bologna. Stanotte l’hanno passata nel sotterraneo dell’ospedale e stamane alle 8, le hanno condotte nell’atrio della nostra portineria in attesa dell’ambulanza della Croce Rossa, che le portasse a destinazione. Chiamato il sig. Arciprete ci disse di dar loro un po’ di colazione, il che facemmo subito. mandandola dove sostavano. Ma l’auto non venne e forse il Capitano di Piazza lo sapeva prima. Mandò un Tenente, un Maresciallo una bestia addirittura, e un soldato così ineducato che metteva il naso dappertutto, tanto che se non avesse avuto a che fare con delle Suore, avrebbe ricevuto una buona lezione. Il maresciallo con un fare sgarbato dice: “per ordine del Capitano dobbiamo entrare”. E il signor Arciprete a noi rivolto aggiunge: “fateli pure entrare”. E così fu fatto! Prima sosta in coro, pieno zeppo di roba degli sfollati, rifugiati in cantina fuori clausura. Il Maresciallo allora con tono sprezzante proruppe in queste parole: “Noi facciamo la guerra, e qui quanta roba!” Per fortuna una suora gli rispose: “Non è mica nostra è degli sfollati di fuori clausura, saranno 50 famiglie … un po’ per famiglia, poveretti!” Dal coro si passò alla sacrestia, poi nella cameraccia attigua dove si faceva un po’ alla meglio da mangiare e in lavanderia ove vi erano alcune oche. Le videro, ma non fiatarono. Entrarono nella legnaia, aprirono il gabinetto e videro la cavalla del signor Felice Borghi ivi rifugiate, poi passarono in cucina. Il soldato che ficcava il naso dappertutto, corse su per le scale: e noi dietro: aprì le celle e vide cinque biciclette qua e là nascoste. Chiusero e giù con gli altri nelle dispense. Anche qui aprirono dappertutto e purtroppo videro altri due puledri nascosti, poco lungi dal primo, anche questi del signor Felice Borghi. Non aprirono bocca, ma si capì che avrebbero fatto piazza pulita. Nel cortile c’erano i polli: una trentina i nostri, il resto degli sfollati: in tutto un centinaio. Il tenente si fermò e disse: “sono quasi un cento!”; poi su nel salone. Il corridoio d’entrata era pieno di sacchi di grano e altra roba, in parte nostra e in parte degli sfollati. La camera della portineria pure era piena e sotto tre pianoforti era nascosta tanta roba. Guai se avessero anche solo subodorato: sarebbe stato un saccheggio a danno di tutti. Basta, il Convento è stato perlustrato in alto e in basso, ma all’infuori delle biciclette trovate, il resto è sfuggito ai loro occhi indagatori.

Ma torniamo alle cieche. Uscito, il Capitano esclamò in tono scandalizzato: “Perché non hanno preso dentro le cieche? (queste erano rimaste fuori nell’atrio) Le farò entrare io ora”. e messo un soldato alla porta le fece entrare e disse che di giorno si allogassero in lavanderia e la notte nell’altra cantina, ingombra di casse nostre e degli sfollati. Non si poteva fare di meglio, poiché erano piene d’insetti, senza letti, senza coperte, senza nulla da mangiare. Il signor Arciprete mandò pasta, patate, fagioli, coperte ecc. Così hanno potuto passare la giornata, la notte e il dì seguente. Nel pomeriggio tornò il Capitano e un ufficiale sedicente tedesco, ma in realtà romano. Questo volle vedere i cavalli. Noi per salvarli a chi li aveva rifugiati, ripetevamo che erano nostri, ma egli non si persuase e disse: “Se sapessi che fossero vostri, ve li .lascerei, ma non sono vostri e per questo li portiamo via, così pure le biciclette”. Si fermarono nella sacrestia a visitare la libreria del Sig. Borghi ed asportarono parecchi libri. Più tardi vennero i soldati e portarono via i cavalli. Così pure si fece con le varie biciclette. Ma alcune di esse erano state nel frattempo ritirate dai proprietari e rifugiate in altri nascondigli Iude irae! Per scovarle girarono dappertutto e con un bastoncino sondarono il grano accumulato nella sala del Capitolo, sperando di trovarle lì dentro nascoste. Ma invano. Finalmente ne trovarono altre due che non avevano visto nella prima perquisizione e se ne andarono contenti con quelle. I nostri custodi che ne avevano una ciascuno, sono rimasti privi di tutte e due.

Nello stesso giorno di San Giuseppe, anzi in tempo della requisizione suddetta, nella cantina esterna, dove da tempo era stato allestito un altarino col SS.mo Sacramento e si facevano frequenti funzioni, fu invitato l’Arciprete di cui ricorreva l’onomastico e impartì la benedizione assistito dal Parroco della Pace e da altri Sacerdoti e seminaristi. Essendo una giornata bella e molto calma, tanti sono venuti anche di fuori e la cantina rigurgitava. Invece la funzione già iniziata nella nostra cantina si dovette subito interrompere causa l’irruzione già descritta dei tedeschi.

25 marzo – domenica delle Palme

Oggi funzione e benedizione di ramoscelli verdi portati dal di fuori, sia nella nostra cantina, sia nell’’esterna.

Settimana Santa

Sentiamo la nostalgia delle nostre belle funzioni degli anni scorsi. Quest’anno nulla di nulla. S. Messa fino al giovedì in cui si fa la S. Pasqua, e la sera il Parroco della Pace ci parla con accento ispirato della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Nell’altra cantina esteriore il Parroco della Pace aiutato da un altro Sacerdote sfollato e da alcuni seminaristi, compie le funzioni in modo assai ridotto.

Poco prima della festa di S. Giuseppe, una signorina, dicono di Firenze, al seguito dei tedeschi e alloggiata con loro nella ex Caserma dei Carabinieri quasi di fronte al Monastero, chiede con insistenza di venire da noi a dormire, perché entrata più volte col sedicente Tenente (italiano), aveva trovato il nostro rifugio più tranquillo. Che sia vero? O piuttosto non sarà un pretesto per osservare il nostro tenore di vita e scoprire qualcosa da riferire qualcosa a qualche masnada di briganti, che ogni tanto entrano a fare da padroni, portando via ogni ben di Dio: posate, bicchieri, uova ecc. tutto quello che capita loro fra le mani! Fortuna che la maggior parte del nostro sostentamento è nascosta. Curioso particolare! Questa donna gira in abiti maschili. Rifiutarla? Impossibile. Viene la sera tardi; la mattina quando si alza fa la toilette di sopra in sacrestia, con l’aiuto di una giovane suora che è costretta a farle da cameriera. Si dura così una settimana o due poi anch’essa sparisce… Dicono che l’abbiano mandata a Imola.

Ultimi guizzi

Nella notte dal 9 o 10 aprile i tedeschi già assottigliati di numero e alla vigilia della complessa ritirata, impotenti ad arrestare l’avanzata imminente delle truppe alleate, sfogano la loro rabbia nel modo più bestiale. Bontà loro questa volta ne danno il preavviso agl’interessati. Minano da ambo i lati i portici della via Emilia, dal Municipio fino alla Porta del Molino. Grazie ad un atto di audacia, si salva solo la casa Solaroli, farmacia di fronte al Monastero. Il giovanetto Sergio Zurlo … sfidando il pericolo di morte, taglia in tempo la miccia e scongiura la catastrofe. Quel tratto di strada dopo l’esplosione è una montagna di pietre, tegole calcinacci e travi rotte e la mattina dopo è una visione apocalittica. Tutto questo è stato perpetrato per ostacolare sempre più l’avanzata degli alleati; come prima erano stati abbattuti la torre, il Suffragio e quasi tutte le piante annose di tiglio che ornano il bel viale della Stazione e che ora l’ingombrano per ogni verso. Ma a che pro? In pochi giorni gli alleati con macchine speciali sbadileranno e sgombreranno tutte le macerie.

Però, come succede sempre in simili casi tra i due litiganti il terzo gode, e così il Paese oltre tutte le distruzioni subite in tanti mesi, almeno da questa parte ne ha fatto le spese e noi per le prime, poiché oltre il crollo di parecchi locali al primo piano nel tratto di porticato adiacente alla camera del predicatore presso la sacrestia in corrispondenza delle due botteghe situate al pian terreno, allineate; sotto è rimasta sventrata anche la cantina nella quale avevamo rifugiato quasi tutte le casse di noce ed altri mobili della Comunità, e perciò abbiamo dovuto sgomberare in fretta le macerie che li avevano sepolti per salvare qualcosa, e provvedere nel miglior modo possibile alla sicurezza del Monastero che per lo sbrecciamento dei vari muri da più parti e lati rimaneva aperto e facile preda dei ladri civili, peggiori in questo dei famigerati tedeschi.

Dopo la tempesta il sereno

12 aprile 1945 – data della liberazione

Giovedì dopo la domenica in albis

Giorno memorabile nella storia di Castel Bolognese. I tedeschi a uno a uno si sono squagliati, ritirandosi verso Imola dov’era ancora il grosso delle loro forze; e quando ci svegliamo siamo sotto i “nuovo padroni”, cioè i così detti “liberatori” in modo che quel giorno è stato chiamato “giorno della liberazione”. I soldati sono tutti polacchi e i primi sono entrati a Biancanigo per la strada che mena ai Cappuccini. In mezzo a tante distruzioni, e ai cumuli di macerie che ingombrano piazze e vie, la gioia più viva esplode dal petto di tutti. Si è incerti del domani, ma almeno si è sicuri di una cosa: i tedeschi non torneranno più indietro.

Intanto la popolazione dagli antri sotterranei, esce alla luce del sole! È un incrociarsi di saluti e felicitazioni per avere salvato almeno la pelle; che importa se si è perduto masserizie, mobili, perfino la casa? Tutto ciò è doloroso, ma di fronte alla vita è quasi un nulla. Intanto si è vivi e questo è il più importante, al resto penserà la Divina Provvidenza.

Intanto nel nostro caro Monastero, convertito in rifugio quasi pubblico, si sgombra pian piano la cantina. È da notare che il giovedì mattina 12 aprile, appena saputo dell’entrata delle truppe di liberazione, oltre la S. Messa solita del Cappellano, se ne è avuto ad ora più tarda una seconda. L’Arciprete locale ha voluto celebrare anch’egli davanti la prodigiosa immagine della Concezione, nostra venerabile Patrona, in segno di ringraziamento. È stata una gara continua per avere la S. Messa in tutte le cantine del paese e dintorni. A ciò si prestavano in modo speciale il nostro Arciprete, il Parroco della Pace e il Padre Damiano, Cappuccino. In altre fisse, dove alloggiavano, celebravano il Priore don Bosi, l’Arciprete di Campiano, don Budini e don Cani.

Il venerdì 13, il signor sindaco del Monastero Felice Borghi, si accorge che sopra una trave del soffitto della chiesa, precisamente sopra la porta principale d’ingresso, sta sospesa una grossa granata inesplosa. Si avvisano immediatamente le autorità militari, le quali provvedono subito a farla rimuovere con tutte le cautele, da soldati specializzati.

Fra le truppe di liberazione, vi sono anche dei soldati inglesi e con questi un cappellano militare Domenicano, il quale entra in Monastero il sabato per visitare le rovine e per confortare le Suore. Nello stesso giorno a mezzodì, si è già attaccata una corda alla campana minore del nostro mutilato campanile, unica superstite di questa universale ecatombe e si suona l’Angelus, dopo tanti mesi che non si è udito un tocco di campana. Sembra di risorgere a vita novella: è come il “Gloria!” del “Sabato Santo” e tutti esultano.

Nel pomeriggio dello stesso sabato 14 aprile, si riporta alla luce del sole il simulacro dell’Immacolata, che si trovava dietro l’altarino della cantina dalla fine di dicembre 1944 e si espose sull’altare della Chiesa, adattandovi uno sfondo rosso di damaschi al di dietro.

La domenica 15 si celebra una giornata di ringraziamento con varie Sante Messe, una delle quali alle 9 in canto con accompagnamento d’archi. Nel pomeriggio funzione solenne con “Te Deum” e discorso del Priore di Valsenio don Francesco Bosi.

Dopo la liberazione

Il 16 aprile 1945, cioè il lunedì dopo la cerimonia di ringraziamento davanti la venerata immagine dell’Immacolata, verso sera ritornano alcune suore sfollate a Bagnara di Romagna e il giorno 20 aprile ritornano tutte sane e salve, scampate anch’esse miracolosamente alla morte. L’incontro è commoventissimo e si ride e piange di consolazione!

Nel Monastero per alcuni giorno si soffermano ancora per i pasti il Parroco della Pace e la mamma, il sindaco del Convento sig. Felice Borghi e figli, il Cappellano, la signora Ester Borzatta vedova Ortolani e il figlio maggiore Enzo, venuto a Castello ignaro della morte del fratello ing. Ugo.

Si mangia insieme con le suore, nel refettorio tutto sinistrato. Ad intervalli vi sono pure due seminaristi di Bagnara, Gaddoni e Massari, poi operai dello stesso paese. Il signor Arciprete di Bagnara don Alberto Mongardi entra anch’egli nel Monastero e si sofferma alcune ore, così pure il padre domenicano inglese. Il quale la mattina, mercoledì, solennità di S. Giuseppe, aveva cantato la Messa in chiesa. Questa naturalmente è sinistrata orrendamente insieme col Monastero. E intanto gli sfollati pian piano si allontanano (l’ultima è la signora Ester con suo figlio, la quale va su a San Marino portandosi seco in automezzo i pochi mobili e le masserizie sfuggite alla rovina, il lunedì di Pentecoste). Vengono i parenti delle suore specialmente della famiglia Moro di Castion di Loria (provincia di Treviso), i quali con gli operai suddetti, con muratori di Imola e con le suore stesse, lavorano indefessamente allo sgombero delle macerie in chiesa e nel monastero e alla ricostruzione delle parti più importanti per evitare danni maggiori. Mangiano tutti nell’interno del Monastero e siccome il Cappellano che prima era sfollato in cantina con gli altri, nell’uscire alla luce del sole dopo tanti mesi si sente indebolito a causa il calore manifestatosi improvvisamente con una grande siccità, e dè afflitto da grave esaurimento, l’Arciprete che ha tutte le facoltà, gli permette di prendere i pasti nell’interno del Monastero e di passare anche qualche ora nell’orto, ritirandosi poi a sera nel suo solito appartamento esterno. Ciò fino alla permanenza dei perenti delle suore che partono ai primi di settembre. Dopo si ritorna alla piena normalità.

Ed ora un piccolo e pallido bilancio dei danni subiti dal Monastero. Oltre la Chiesa già ricordata, tutto il salone-laboratorio è scoperto, nella stessa condizione è il guardaroba e per conseguenza quando piove l’acqua filtra fino al pianterreno del parlatorio e coro: sventrati pure il refettorio, gran parte delle celle, lavanderia ed altri locali, anche nel noviziato. È un disastro generale che bisogna aver visto per farsene un’idea!

Intanto nei primi mesi si corre subito ai ripari, oltre allo sgombro delle macerie, si procede alla copertura della Chiesa, del salone, del dormitorio, al tamponamento delle mura dell’orto sbrecciata e diroccata in più luoghi, a rimettere a posto in luogo del portone robustissimo dei carri, prima sforzato più volte, poi lasciato aperto e infine negli ultimi mesi portato via, chissà dove, un altro sgangherato e fatto di tanti pezzi, giusto per salvare un po’ di clausura. Pian piano si riparano le prime celle, il refettorio e gli altri locali. Nel 1948 si rifà il soffitto del salone di lavoro e della Chiesa, e all’inizio di quest’Anno Santo (1950) con la più viva soddisfazione si è potuto rimettere a posto buona parte dei telai con relative vetrate negli archi del loggiato che dal coro conduce verso il refettorio e guarda ai due chiostri, e così ripararci un po’ dal freddo assai intenso in quel passaggio tanto frequentato. Ma restano anche molti lavori e specialmente la riparazione completa delle mura di cinta, la tinteggiatura della Chiesa, e tante altre cose che troppo lungo sarebbe enunciarle ad una ad una. Si spera molto nella Provvidenza!

Naturalmente anche quello che si è fatto finora, eccettuato il meschino contributo dello Stato, è quasi esclusivamente opera di benefattori. Tra questi meritano speciale menzione il Delegato Apostolico degli Stati Uniti d’America S. E. Mons. Amleto Giovanni Cicognani, SS. Pio XII, Padre Romoli O.P. Provinciale di San Marco, Padre Rutolo O.P. di Roma, Sant’Uffizio, Civiltà Cattolica di Roma, l’Ing. Giacomo Piermattei e il dott. Biagio Galliani, il geom. Domenico Gottarelli, Vincenzo Scardovi; ed altri aiuti si sono pure ricevuti specialmente in viveri da altri Enti e particolarmente dalla Pontificia Opera di Assistenza.

Si è battuto a tutte le porte possibili: ora non si sa più da che parte rivolgerci; ma si nutre tanta confidenza in Do che non abbandona mai nessuno. Però il contributo più forte è stato rilevato dalle diuturne fatiche del nostro lavoro, che grazie a Dio non manca; i clienti vanno sempre aumentando, contenti nel nostro buon gusto e della sollecitudine nel servirli.

A Dio e alla Vergine Santissima, ai nostri Patroni grazie infinite per la visibile protezione continuamente donataci e la preghiera di preservarci da altri flagelli; ai nostri benefattori la più viva riconoscenza e l’augurio delle ricompense celesti.

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NOTE DI CRONACA

Premessa

Fra le molte note di cronaca che verranno scritte per ricordare il tragico periodo bellico degli anni 1940-1945, in particolare sui tremendi mesi in cui il fronte si fermò qui nella nostra zona, vogliamo ricordare alcuni episodi di cui fummo protagoniste, nell’intento di far cosa gradita al Rev.do Mons. Alberto Mongardi, Arciprete di Bagnara di Romagna che ci ebbe ospiti nella sua Canonica per ben nove lunghi mesi.

Con l’incognita che presentava l’avvicinarsi delle truppe di “liberazione” e per le continue incursioni aeree, Mons. Paolino Tribbioli Vescovo di Imola decise di farci sfollare dal nostro Monastero situato sulla via Emilia nel centro stesso di Castel Bolognese.

L’otto luglio 1944, circa 20 monache, fra cui sei Novizie e una Postulante, partirono per Bagnara. Furono accolte con premurosa sollecitudine dal Sig. Arciprete don Alberto Mongardi e dalla sua mamma, nonché dalle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante di Lugo.

Lasciando il Monastero le Monache si erano portate dietro un po’ di viveri che bastarono per i primi mesi, aiutate come erano anche dai contadini che portavano loro sempre qualcosa. Nei momenti più critici però furono costrette ad andare in cerca di cibo e ottennero dai tedeschi gli avanzi del loro pasto. Mancava la legna, e perciò andarono alla questua tra le famiglie dei contadini che furono sempre larghe di aiuto.

I mesi passarono densi di avvenimenti bellici, nonostante la paura, le Monache si sentivano forti nell’abbandono semplice e fiducioso in quel Dio che, pur permettendo la sofferenza non abbandona mai le sue creature. Fu proprio in questi dolorosi avvenimenti che le Monache si prestarono oltre ogni dire, per lenire il doloro fisico e morale dei buoni Bagnaresi. Mai si rifiutarono di accorrere là dove c’era bisogno di una mano materna e dove la guerra seminava la morte e più grave era il pericolo.
“Ogni vita è bella quando il pensiero dominante è per gli altri” ha scritto Delavour. Ed è vero! Il pensiero che molti soffrivano minacce e violenze, rendeva le monache coraggiose e ardite nell’affrontare la prepotenza dei tedeschi, pur di ottenere la libertà a un gruppo di giovani che i soldati avevano, per sospetto, rastrellati e chiusi in una stanza, chissà con quali intenzioni!

Le famiglie, specie della campagna, chiedevano aiuto alle Monache quando i soldati le facevano sfollare dalla loro casa. Le Monache valendosi di una certa considerazione presso i soldati tedeschi, imploravano rispetto per le povere famiglie, adducendo la ragione che esse dovevano aiutare le “Sorelle” come le chiamavano loro. Ma gli avvenimenti incalzavano e gli alleati si avvicinavano anche a Bagnara. I bombardamenti si succedevano con ritmo pauroso, seminando morte, distruzioni, desolazione.

Fu in questi drammatici giorni che le Monache si prodigarono con generosità eroica e noncuranti della propria vita. Per notti vegliarono accanto ai moribondi, ai feriti, asciugando i loro volti madidi di sudore e intrisi di sangue, preparando i più gravi all’incontro con Cristo. Ultimo atto di carità, intesa, questa, come condivisione piena e partecipazione incondizionata alla vita degli altri, che le Monache prestarono ai Bagnaresi, fu la veglia notturna a una decina di salme, poste nella Chiesa Parrocchiale, anch’essa distrutta dalla guerra.

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NOTE DI CRONACA RIGUARDANTI LA COMUNITA’ DELLE DOMENICANE DI CASTEL BOLOGNESE DURANTE LA GUERRA

Verso la fine di ottobre del 1944 il fronte venne gradualmente avvicinandosi e si sperava in un rapido passaggio della bufera. Nella campagne più che in paese si incominciò a sentire il disagio dei rastrellamenti, delle perquisizioni e delle ruberie in genere.

Da circa metà novembre a causa della sosta del fronte sul Senio, molte famiglie furono costrette a sfollare in paese e si rifugiarono nelle ampie cantine del nostro Monastero, dove rimasero fino alla liberazione.

Le nostre Monache si prestarono con ogni sollecitudine per aiutare e sollevare i poveri sfollati accogliendoli con generosa solidarietà e ricoverandone alcuni nell’interno del monastero. Un considerevole gruppo di sfollati si aggiunse ai precedenti dopo la tragedia della notte del 25 gennaio 1945, verificatasi nella cantine della casa Borghi dove morirono sette persone a causa dello scoppio di una granata di profondità. Nel vasto scantinato protetto da robuste volte si formò una grossa comunità che si organizzò pin paino per affrontare i disagi di una lunga permanenza in condizioni innaturali. Le Monache furono altamente benemerite della salvezza fisica di questa gente che comprendeva intere famiglie con persone di ogni età.

Era presente un Collegio di alunne costrette a sfollare da Faenza; c’erano uomini e giovani continuamente braccati dai soldati tedeschi. A questo riguardo va ricordata l’azione coraggiosa e rischiosa della monaca Suor M. Giovanna Moro, ora defunta, che si industriava in tutti i modi pe sottrarre i ricercati a un crudele destino. Nel Monastero trovarono rifugio anche 19 donne non vedenti dell’Istituto dI Bologna, scampate a mala pena dal crollo della Villa Rossi di Biancanigo fatta saltare con la dinamite. Le povere donne erano state lasciate in paese lungo la via Emilia e furono aiutate dalla carità delle Monache.

La vita degli sfollati comprendeva momenti di preghiera: erano presenti don Vincenzo Zannoni ora Arciprete di Brisighella, allora Parroco della Pace, don Cleto Montevecchi e i Chierici Italo Drei e Giuseppe Dal pozzo. Si cercava da parte dei Sacerdoti di alleviare lo stato di depressione che facilmente si manifestava per la lunga tensione della paura. Una croce bianca dipinta sulla parete ricorda il luogo dove si celebrava la Messa e si recitava in canto la preghiera composta dal papa Pio XII invocante la pace per l’umanità sconvolta. In mezzo a tanta sofferenza l’ambiente fu allietato dalla nascita di una bimba. Fu rattristato dalla morte di una collegiale colpita da tifo, e trasportata all’ospedale di Imola.

Il Monastero divenne in quel periodo una succursale e un deposito dei viveri inviati dalla Prefettura di Bologna tramite l’interessamento di Castellani abitanti in quella città e di mons. Vincenzo Poletti che fungeva da Commissario Prefettizio e teneva i collegamenti tra il fronte e le retrovie. I Chierici si adoperavano per bloccare in cima alla scala che portava in cantina i soldati tedeschi in cerca di uomini per il fronte.

Accadde in giorno che si presentarono due soldati ubriachi con rivoltelle in pugno chiedendo di scendere improvvisamente in cantina. Un Chierico cercò di opporsi per poter dar tempo agli uomini di nascondersi. Ne seguì una breve colluttazione. I due finirono con lo strappargli l’orologio dal braccio e col fuggire imprecando. Ma anche quella volta gli uomini furono salvi.

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