Il palio di Castel Bolognese

di Maria Merenda

Tutti conoscono il palio di Siena, famoso in tutto il mondo, o il palio di Faenza, coi suoi sbandieratori e cavalieri, i ricchi costumi dei figuranti, le belle dame.
Ma forse non tutti sanno che anticamente anche a Castel Bolognese si correva un palio.
Ne abbiamo notizia a partire dalla metà del settecento, in occasione delle richieste avanzate al Consiglio comunale da parte di confraternite od unioni per ottenere la “protezione” delle manifestazioni da essi organizzate per rendere le feste religiose più ricche e partecipate.
In caso di concessione, il console nominava tra i membri due consiglieri deputati alla “mossa” e altrettanti per la “ferma”, accompagnando il patrocinio con un contributo in danaro.
Sappiamo che si correvano due tipi di palio: dei barberi e dei cavallacci e che il percorso era la via maestra da porta a porta
La corsa dei “barberi” era una gara ippica, riservata ai cavalli, quelli buoni, mentre i “cavallacci” erano cavalli rozzi, che di peggio non si potevano avere.
Il premio consisteva in un drappo dipinto con l’effige del santo, solitamente esposto ad una finestra e portato in visione dei cittadini i giorni antecedenti la festa.
Negli atti consiliari si menziona per la prima volta il palio nel settembre del 1760, quando il priore della festa della Statua di Sant’Antonio da Padova, certo Giambattista Collina, oste del borgo, ottenne la somma di tre scudi oltre alla protezione del palio. La “paliola” fu esposta alla finestra “che guarda al monastero delle monache, la quale finestra è nel cantone in poca distanza all’altra che è attacco al camino”.
Nella stessa seduta la Magistratura castellana discusse inoltre sulla necessità di adottare capitoli, cioè regole ritenute necessarie per lo svolgimento di una gara ordinata, capitoli che riteniamo confermati da allora per ottenere la protezione pubblica.
Il palio si sarebbe svolto la domenica 28 settembre. I partecipanti avrebbero dovuto iscrivere i loro cavalli presso il cancelliere comunale la sera precedente e radunarsi coi loro cavalli barbari presso la porta del Molino, verso Faenza alle ore 22.
I capitoli adottati, resi pubblici il 23, stabilivano:
1. Nessun partecipante poteva far correre il proprio cavallo se non a nome dei “Signori Pubblici Rappresentanti”.
2. Non si sarebbero ammessi barbari di “osti, cingari, barattieri o sbirri sotto il nome di qualsivoglia persona”, pena esclusione;
3. Ogni cavallo poteva essere accudito da una sola persona o garzone;
4. Dal luogo della mossa (partenza) si doveva tenere una distanza di quattro pertiche, con eccezione della persona adibita alla cura del cavallo;
5. Era vietato spaventare il barbaro agitando o sbattendo le mani o altro;
6. Nessuno poteva muoversi dalla “mossa” prima del via da parte dei Signori Deputati, in caso contrario sarebbe stato espulso senza potersi rivalere sugli altri. La corsa era ritenuta valida e il palio assegnato (consistente in un drappo che veniva esposto alla finestra della casa comunale) qualora avessero tagliato il traguardo la maggioranza dei cavalli partiti;
7. I proprietari dei cavalli dovevano concentrarsi nel luogo della mossa, e man mano informati sulle regole da seguire per vincere il palio, che sarebbe stato consegnato al primo che avesse tagliato il traguardo, riconoscibile da una strina di paglia;
8. Era vietato a qualsiasi persona, a piedi o a cavallo, di intromettersi nella corsa.
I cavalli correvano lungo la via maestra da Porta a porta.
L’ anno dopo (1761) conosciamo in che consisteva il palio: sedici braccia di raso vellutato con pagliola rappresentante l’immagine del santo.
Nell’agosto del 1767 fu la Confraternita della Madonna della Cintura o della Consolazione a indire il palio per la festa del 30 agosto.
E ancora nel 1765, nel 1770/71 e nel 1772 si corse sotto il patrocinio pubblico per le feste di fine settembre indette in onore della Statua di Sant’Antonio da Padova. E qui si accenna alla corsa di “cavallacci”.
E parlando di palio, forse molti ricordano la ”Disfida dei Castelli di Val d’Amone”, svoltasi in epoca recente, dal 1979 al 1984. Le città di Faenza, Brisighella, Riolo Terme, Cotignola, Castel Bolognese, Solarolo, Modigliana, Tredozio e Casola Valsenio si cimentarono nella gara, che si effettuò di sera, nella piazza di Faenza, ricoperta interamente di terra.
In tempi più recenti la cronaca riporta la sfida ippica delle Parrocchie nella “Giostra della Torre Castellana”, svoltasi negli anni 2015/2016, nel quadro delle manifestazioni della Settimana dello Sport.
La prima edizione vide vincitrice Campiano, che si impose sulle altre parrocchie di Casalecchio, Borello, Serra, Biancanigo, Pace e San Petronio.
La seconda edizione, considerata il “primo torneo storico d’Italia riservato a sole amazzoni”, si aprì con la cerimonia di assegnazione delle casacche e dalla sfilata delle parrocchie con i rispettivi gonfaloni, accompagnata da una dama della cittadina tedesca di Abtsgmünd, gemellata con Castel Bolognese.
La finale a quattro vide il trionfo della parrocchia di Casalecchio (arancio), seguita da Campiano (rosso), Biancanigo (verde), Pace (azzurro).
L’intenzione di far rientrare l’evento nei circuiti delle giostre storiche italiane non si è concretizzata, anche per la necessità di finalizzarvi onerosi investimenti.
Rileviamo però una sostanziale differenza tra l’antico palio e quelli svoltisi successivamente.
Un tempo protagonisti erano cavalli non montati, barberi o cavallacci che fossero, gli altri invece erano sellati e montati da abili cavalieri.

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