Ricordo di Severino Bellini, “Maré” il gommista

di Andrea Soglia

Per tutti era Severino o “Maré” o “e gumesta”, ma all’anagrafe si chiamava Saverio Bellini. Per quasi 70 anni è stato il gommista di fiducia di tante generazioni di castellani e universalmente conosciuto come persona perbene, buona, disponibile e gentile con i suoi numerosi clienti, che accoglieva allegramente (e, se più in confidenza, ironicamente) nella sua officina non facendo mai mancare una battuta di spirito. La disponibilità verso gli amici, poi, era infinita, tant’è che, come ricorda Cesare Biancini, non esitava ad assisterli anche in piena notte in caso di problemi alle loro auto. Paolo Menzolini, uno dei suoi migliori amici, racconta che Severino gli diceva “Se rimani a piedi, ti vengo a prendere io, anche se tu fossi a Milano”.
Severino è scomparso improvvisamente il pomeriggio di sabato 21 gennaio 2023, a seguito di un malore che l’ha colpito mentre puliva la sua officina nonostante il figlio Fabio si fosse raccomandato che rimanesse in casa al caldo. Si può dire che abbia lavorato fino all’ultimo istante della sua vita, nella sua amata officina mentre era impegnato in quella che è stata la sua principale passione, corredata comunque da tanti altri hobbies, fra cui spiccava il ciclismo. Proprio perché lo si vedeva sempre in officina e sempre in buona forma, sembrava quasi intramontabile, indistruttibile e la sua morte ha suscitato sorpresa e incredulità fra i tanti amici e conoscenti, nonostante Severino fosse prossimo ai 90 anni e nonostante, nell’ultimo periodo, molti l’avessero visto incupito per la scomparsa dell’amata moglie Lilia, madre dei suoi 4 figli (Severina, Antonella, Claudio e Fabio).
Severino era nato a Marradi (e questo spiega il soprannome “Maré”) il 13 maggio 1933 da Emilio e Maria Valtancoli. Severino iniziò ben presto a lavorare, dapprima a Marradi, garzone in un allevamento di suini e già a 9 anni, nel 1942, era garzone presso gli zii Valtancoli nelle campagne di Bagnacavallo; successivamente, a Faenza, entrò alle dipendenze dell’officina ciclistica della famiglia Ortelli e poi della famosa fabbrica di serrature CISA. Di quest’ultima esperienza gli rimarrà sempre l’abilità di riuscire a duplicarsi da sè, con un utensile che aveva sempre conservato, le chiavi di cui aveva bisogno.
Nel 1954 Severino si trasferì a Castel Bolognese dove, nel 1955, aprì la sua attività di gommista. Si era messo in proprio grazie all’aiuto del cognato Vincenzo Rava (marito di sua sorella Vanda) che, già attivo come gommista a Faenza, gli aveva insegnato velocemente il mestiere. La prima sede dell’officina era in via Emilia interna, probabilmente all’attuale civico 206 (dove è situata La bottega del pianoforte e dove, in precedenza, vi era l’esposizione del mobilificio di Ubaldo Capirossi), poco lontano dalla sua prima abitazione castellana, al civico 200 (sopra all’attuale Pizza e Pizza). Nel 1968 il primo significativo cambiamento, con il trasferimento dell’attività nell’edificio appena costruito poco metri più in là, in direzione Imola. Quell’edificio, che attualmente ospita la caserma dei Carabinieri, fu anche la nuova dimora della famiglia Bellini, che traslocò in un appartamento ubicato sopra l’officina. Nel 1982 il trasferimento dell’officina (e della sua abitazione) nell’attuale sede di via Alberazzo 30 in un edificio di cui aveva seguito personalmente la costruzione sin dal 1980. I nuovi spazi erano assai maggiori e consentirono di ingrandire l’attività, ma per Severino costituirono un notevole sforzo che lo portò ad intensificare il suo lavoro anche a discapito dei suoi hobbies. Severino, ma soltanto sulla carta, andò in pensione nel 2000, ma proseguì regolarmente l’attività fino al 2006, quando ci fu l’effettivo passaggio di testimone al figlio Fabio a cui fu intestata la ditta, di cui Severino rimase comunque collaboratore in regola. Ci pare giusto ricordare anche i tre principali dipendenti dell’officina Bellini: Davide Bandini (prematuramente scomparso diversi anni fa), Graziano Baldassarri e Tonino Ferri.
Abbiamo già accennato ai numerosi hobbies di Severino che, soprattutto negli anni ’70, gli tenevano occupato tutto il tempo libero e tutti i fine settimana, con la malcelata disperazione della moglie Lilia che, di tanto in tanto, si ritrovava il marito sotto infortunio e che la spuntò solo una volta, quando riuscì almeno a farlo smettere di andare sulla pista di pattinaggio a rotelle di Riolo Terme, allora divenuta di gran moda. L’hobby principale di Severino è stato il ciclismo, praticato soprattutto a partire dal periodo dell’austerity del 1973. Da tesserato dell’Unione Ciclistica Castel Bolognese, partecipò, almeno fino al 1984 a numemorissime gare amatoriali, vincendone una quarantina, fra cui ben tre campionati provinciali e conseguendo addirittura un secondo posto, a pochi centimetri dal vincitore, in un campionato nazionale disputato ad Imola. Dopo il 1984 si era dedicato solo a numerosi cicloraduni assieme agli amici castellani e ha continuato ad uscire per le sgambate in bicicletta fino a pochi anni fa, quando smise su consiglio medico e accontentandosi di vestire la divisa da ciclista solo per raggiungere la piazza del paese. La sua postura in bici da corsa e il suo viso portavano a farlo somigliare molto a Fausto Coppi, di cui è stato, assieme a Saronni, grandissimo tifoso come confermano i poster appesi in varie parti della sua officina, vicino ad alcune mensole piene zeppe delle tante coppe, medaglie e trofei vinti nelle numerose gare a cui aveva partecipato. E non solo di ciclismo, ma anche di biliardo (boccette e stecca), tennis, calcio amatoriale UISP, briscola, bocce. In tutto questo non poteva mancare anche la caccia, la cui passione, oltre a quella del ciclismo, l’accomunava a tanti amici il cui principale ritrovo, oltre naturalmente ai numerosi bar castellani, era il salone del barbiere Paolo Menzolini in cui teneva banco anche Severino con la sua proverbiale voglia di scherzare e nel quale si fermava a leggere il giornale in un modo del tutto caratteristico, inginocchiato vicino al tavolino anziché seduto sulle comode poltrone.
In un italiano più forbito il mestiere di Severino viene definito “vulcanizzatore”. Viene facile il gioco di parole che ci porta a dire che Severino era “vulcanico”, mai domo e sempre attivo, fino all’ultimo respiro, conscio di poter dare qualcosa anche da “vecchio artigiano”, definizione che prendiamo dal titolo di una poesia che gli piaceva particolarmente e che aveva letto su un giornale, il cui ritaglio lo aveva appeso nel suo ufficio e il cui testo vi proponiamo in chiusura di questo ricordo.

L’artigiano anziano

Una figura che viene dal passato,
sacrificando tutta la sua vita,
oggi si sente solo e abbandonato.
In questa società così svanita
nel suo lavoro sempre s’è impegnato
ma questa società non l’ha capito.
Si parta tanto di democrazia,
abbandonare l’anziano è una pazzia.

E’ una vera ignoranza e ipocrisia
l’abbandono di pregevoli persone
che con il talento e la fantasia
han dato al mondo questa evoluzione.
Si deve a loro rispetto e simpatia,
con onestà han servito la nazione.
Vanno trattati nel modo più corretto
con cortesia e il massimo rispetto.

Anche oggi l’anziano ha del talento,
può dare tanto con la sua cultura,
anche se è passato il suo momento
non si può dimenticar questa figura.
Dentro di loro c’è cuore e sentimento
se ora è anziano, è questa la natura,
vanno trattati con rispetto e cortesia.
Prima l’hai usati, non puoi gettarli via.

(A.B. di 85 anni, Fonteblanda-Grosseto)

Ove non diversamente specificato le fotografie provengono dall’archivio della famiglia Bellini
Si ringraziano per la collaborazione Severina e Fabio Bellini e Sante Garofani

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