Il Cardinale Ginnasi e l’Ordine Camilliano

I rapporti tra Domenico Ginnasi, San Camillo de’ Lellis ed il suo Ordine

Con Breve Apostolico del 2 marzo 1606 papa Paolo V diede quale Protettore al giovane ordine fondato da Camillo de’ Lellis, il cardinale Domenico Ginnasi. I compiti del Protettore erano quelli di indirizzare l’Ordine verso una corretta condotta religiosa applicando ed interpretando la Regola, di sorvegliare sulla rettitudine morale e spirituale dei padri generali e dei capitolari, nonché di risolvere e definire tutte le questioni economiche, amministrative e disciplinari tra l’Ordine e le Gerarchie Ecclesiastiche.

Padre Sanzio Cicatelli, primo biografo di San Camillo, definisce il Ginnasi  antico conoscente et affetionato di Camillo lodando la lungimiranza del Pontefice per questa nomina  trovandosi la Religione in questo tempo così piena d’obblighi, et oppressa da tante angustie che certo non vi voleva, ne bisognava altro  Cardinale di manco valore, ne di minor patienza, ne di vista meno acuta di lui per considerale, e penetrarle. L’ordine camilliano stava infatti vivendo in quel periodo una profonda crisi di crescita che sfociò nella rinuncia di Camillo al generalato nel 1607. Ma occorre tuttavia far precedere questi avvenimenti da un breve ritratto di questo grande Santo e della sua opera.

San Camillo ed i Camilliani

San Camillo de' Lellis

San Camillo de’ Lellis

Camillo de’ Lellis (1550 – 1614) nacque da nobile famiglia a Bucchianico in provincia di Chieti. Nella giovinezza seguì le orme del padre, dedicandosi all’arte militare per molti anni sotto le bandiere di Venezia e della Spagna, conducendo vita agiata e dilapidando gran parte del soldo nel gioco d’azzardo. La sua conversione è dovuta alla buona parola d’un frate cappuccino del convento di San Giovanni Rotondo e lo stesso Camillo la fa risalire al 2 febbraio 1575. Un’ulcera alla gamba lo portò a curarsi nell’ospedale di San Giacomo a Roma e qui, in mezzo alle miserie dei ricoverati, Camillo scoprì la sua vera vocazione: l’assistenza agli ammalati. Nacque così nel 1582 la  Compagnia dei Servi degli Infermi, riconosciuta come Congregazione da papa Sisto V quattro anni dopo, che pose la sua casa a Roma in via delle Botteghe Oscure (la vicinanza a Palazzo Ginnasi potrebbe aver fatto subito conoscere l’opera di Camillo al Cardinale). La miseria spirituale in cui erano abbandonati gli ammalati lo spinse a chiamare nella Congregazione alcuni Sacerdoti ed a farsi prete lui stesso. Camillo e la sua Compagnia presero stabile servizio presso l’Ospedale di Santo Spirito e si misero anche a rintracciare malati e poveri nelle borgate e nei tuguri di Roma. Nel 1591 papa Gregorio XIV decise di elevare la Congregazione, ormai sparsa in tutta Italia, a  Ordine dei Chierici regolari Ministri degli Infermi. Camillo morì a Roma il 14 luglio 1614 e venne proclamato Santo nel 1746 da papa Benedetto XIV.

Ai tempi di San Camillo l’ospedale era un estremo rifugio per disperati; mentre infatti i ricchi erano assistiti nelle loro case da medici privati, all’ospedale affluivano poveri d’ogni genere, abbandonati, vagabondi, gente affamata, macilenta, nonché una marea di contagiosi rifiutati dalla società. Il lato sanitario non era migliore: medici improvvisati ed incompetenti, più dediti ad esperimenti che alla cure; inservienti assunti fra gli sfaccendati e persino fra i delinquenti comuni o i detenuti, che brillavano per la totale negligenza e per la loro avidità, giungendo a legare al letto gli ammalati più vivaci o a portare i morenti all’obitorio prima del tempo; l’igiene e la pulizia erano sconosciute, con bestioline di ogni tipo sul corpo dei degenti e animali domestici che entravano nelle corsie; i malati venivano maltrattati insultati o abbandonati come cani. Camillo progettò invece l’ospedale come casa d’accoglienza e di assistenza decorosa per il malato, che lo sollevasse dai disagi della malattia e non lo facesse sentire come un rifiuto della società; questo tuttavia non bastava: da perfetto cristiano volle che i suoi confratelli non solo curino il corpo ma anche l’anima del malato, prestando loro un servizio completo nella più totale abnegazione. Arrivò pure a scrivere manuali come quello che recita  Ordini et modi che si hanno da tener nelli Hospitali in servire li poveri infermi. Non v’è dubbio che questa rivoluzione contagiasse l’intera penisola: dovunque i confratelli di Camillo, vestiti col saio, al petto una croce rossa, erano chiamati dai governi delle città per gestire ed aprire ospedali: Milano, Genova, Palermo, Napoli e tante altre, non ultime nella nostra zona Bologna e Ferrara.

Pierre Subleyras (1699-1749), San Camillo De Lellis pone in salvo gli ammalati del Santo Spirito, 1746, olio su tela, 172×248 cm

L’opera del Card. Ginnasi dal 1606 alla morte di San Camillo

Ecco dunque qual era la situazione nel 1606 quando Domenico Ginnasi divenne Protettore dell’ordine. San Camillo non aveva all’epoca rifiutato alcuna richiesta di aprire o gestire Ospedali: ovunque era accorso personalmente e vi aveva posto dei confratelli; tuttavia, il peso gravante su di essi, risultò superiore alle effettive forze dell’Ordine. Non pochi Religiosi morirono per le gravi fatiche, altri si ammalarono e da molti si richiese un temperamento alle eccessivi sforzi. Le lamentele giunsero al Ginnasi e perfino al Papa, che affidò alla sua prudenza ed alla sua abilità il delicato compito di provvedere e di intendersi col fondatore. Il Cardinale s’accertò che la causa del disagio e della inquietudine consisteva in essersi abbracciato troppo e nel soverchio fervore di quel sant’huomo (Camillo) che richiamò subito a Roma da Napoli dov’era nell’esercizio della carità, facendogli innanzitutto intendere di dovervi rimanere per governare l’Ordine con l’aiuto dei consultori, senza dei quali non avrebbe dovuto prendere alcuna determinazione. L’intimazione dispiacque a Camillo che vi vide una limitazione alla sua inesauribile fonte di carità e che, probabilmente, meditò di rinunciare al generalato. Nel settembre del 1607 Domenico Ginnasi convocò una Dieta, cioè un Capitolo straordinario, che si aprì in casa sua il successivo 2 ottobre ed alla quale parteciparono Camillo, i consultori ed i provinciali oltre a Mons. Seneca vescovo di Anagni e Presidente della Congregazione per la Riforma apostolica, appositamente chiamato dal Cardinale perché esperto nel dirimere questioni riguardanti le interpretazioni e l’applicazione delle regole degli Ordini Religiosi. Il suo scopo era di studiare i rimedi alle difficoltà che ostacolavano il cammino dell’Ordine e turbavano gli animi. Dopo l’allocuzione di apertura, Camillo fece un lungo ragionamento sopra l’instituto et all’amor de poveri che l’havevano forzato al pigliar tanti Hospitali, tanti novitii et a far tanti debiti e concluse che, dopo aver governato l’Ordine per ventiquattro anni, era giunto il momento, sentendosi pure vecchio e stanco, di rinuntiare il suo officio di Generale. La decisione giungeva nuova ai suoi religiosi, anche se qualcuno poteva averla intuita o presagita. Il Cardinale, dopo qualche tentativo di dissuasione, dichiarò d’essere autorizzato dal Pontefice ad accettare la rinunzia, che Camillo confermò dichiarando di volere sempre stare sotto il giogo della santa Obbedienza come il minimo di tutti, e detto ciò volle, in segno di umiltà, lavare i piedi a tutti i congregati. Il giorno successivo fu eletto vicario generale padre Biagio Oppertis, nomina confermata da papa Paolo V con il breve Cum nuper e nelle successive cinque sedute furono deliberate molte disposizioni nuove, ripristinando le costituzioni che Camillo aveva fatto abrogare nell’ultimo capitolo generale, sul governo centrale dell’Ordine. Infine fu deciso di andare molto cauti per l’avvenire nel fare altri debiti, ricevere novizi e nell’assumere ospedali e fu interdetto al nuovo vicario di rinunciare ad alcuno degli ospedali già presi senza intesa col Cardinale protettore. Il Ginnasi avrebbe voluto aprire una missione camilliana in Spagna, da affidare allo stesso fondatore, ma non se ne fece nulla.

Il 19 marzo 1608 ebbe inizio il IV Capitolo generale, presieduto dal Card. Ginnasi, al quale Camillo non volle partecipare perché, disse, i suoi figlioli havevano l’età che potevano benissimo incamminarsi da per loro. Nella sessione venne eletto Generale, all’unanimità, padre Biagio Oppertis, delibera che il Ginnasi, con autorità pontificia, confermò. Nelle successive dieci sessioni furono riviste le costituzioni, rendendole più semplici. Durante il generalato dell’Oppertis l’ordine iniziò il cammino di temperamento e riduzione degli impegni, che portò i confratelli ad occuparsi prevalentemente dell’assistenza spirituale limitando, senza escluderla, quella materiale. Soprattutto negli ospedali che più risentivano la gravosità degli incarichi, il servizio venne ridotto, come in quelli di Genova, Mantova e Ferrara. Camillo era contrario a queste limitazioni, lui che tutto si era dato per l’assistenza agli ammalati; vivaci furono gli scambi d’idee tra lui ed il Generale, tanto che il cardinale Ginnasi fu costretto ad aprire un’altra Dieta il 23 giugno 1609, presenti Camillo, il Generale, i consultori e l’arbitro; limitatamente all’ospedale di Mantova, Camillo ottenne un ritorno al servizio integrale. I Padre Generale, che aveva solo 47 anni quando fu eletto, invecchiava precocemente ed era sempre più cagionevole di salute; inoltre, il suo rigore gli portò ben presto parecchi religiosi contrari, specie tra quelli che avevano avuto da lui punizioni o trasferimenti. Questi infatti, conoscendo l’animo remissivo del cardinale Ginnasi, ricorrevano a lui e, non di rado, erano assolti. Padre Oppertis meditò pertanto di rinunziare al mandato con un anno d’anticipo, ritirandosi per i sempre più gravi motivi di salute. Le dimissioni furono accettate dal cardinale Ginnasi che il 30 ottobre 1612 intimò il capitolo generale.

Il 14 aprile 1613, sempre sotto la sua presidenza, aveva inizio il quinto capitolo generale, cui partecipò anche il fondatore e che elesse Generale il padre Francesco Antonio Nigli, napoletano. Due sono gli episodi di maggior spicco del generalato del Nigli: la diatriba sulla sede dei padri a servizio dell’Ospedale di Milano e la morte del fondatore. L’Ospedale Maggiore di Milano fu uno dei primi nei quali Camillo stabilì suoi confratelli per il servizio. Questi presero alloggio in città nella casa attigua alla chiesa dell’Annunziata, a pochi passi dalla collegiata parrocchiale di S. Maria Podone. Mentre il Santo nel 1595 riuscì facilmente a stipulare una convenzione con l’Amministratore dell’Ospedale per il servizio reso dai Confratelli, non così riuscì coll’Arcivescovo Federico Borromeo riguardo la gestione della Chiesa dell’Annunziata. Il parroco di Santa Maria Podone infatti denunziava la lesione dei suoi diritti e vedeva nei Camilliani, i quali funzionavano con zelo la loro chiesa ed avevano largo seguito di fedeli, un pericolo concorrente. Il Borromeo ordinò a Camillo di cambiare sede ai confratelli, cosa che il Santo accettò a patto che il Cardinale ne concedesse loro un’altra ma che egli, con pretesti vari, tardò ad assegnare. Non bastarono le due visite di Camillo a Milano nel 1601 e nel 1603, tant’è che si minacciò la chiusura della casa milanese ed il ritiro dei Confratelli dal servizio di quell’Ospedale. Subito l’Arcivescovo rispose a Camillo, implorandolo di desistere ed assicurandogli una casa decorosa ed una chiesa in Milano, ma a queste parole non seguirono i fatti. I religiosi, che sempre abitavano nella stessa casa e vi officiavano, nel 1615 decisero di ingrandire la chiesa dell’Annunziata aiutati da devoti e benefattori che s’impegnarono ad effettuare questue. La cosa sollevò le proteste del parroco di S. Maria Podone, che ricorse all’Arcivescovo il quale dapprima diffidò i Padri dal continuare la costruzione, indi impose l’interruzione dei lavori ed anche la sospensione del funzionamento della chiesa. Forte del suo diritto di giurisdizione l’Arcivescovo fu irremovibile nella decisione. Inutili furono gli interventi del Card. Ginnasi, di altri Prelati e delle autorità civili. Anche un compromesso promosso dal generale dell’Ordine non sortì effetto alcuno. Il 21 agosto 1616 il Vicario della diocesi si recò alla chiesa e costrinse i Padri ad uscirne, consegnandola al Cappellano titolare. I Padri allora, che nei giorni precedenti avevano costruito all’interno della casa una piccola cappella, la aprirono ai fedeli, costruendo una porta che dava sulla strada. Il Card. Borromeo ingiunse la chiusura anche di quella porta ed incarcerò un padre; disgustatissimo ne scrisse al Card. Ginnasi esigendo l’immediata partenza dei religiosi dalla sua diocesi. Gli fu risposto in termini conciliativi che non lo soddisfecero, tant’è che fece arrestare altri padri. Il Generale si precipitò a Milano, ma poco ottenne; la vertenza fu deferita a Roma alla Congregazione dei Vescovi e Regolari (di cui il Ginnasi era Prefetto), mentre provvisoriamente i Confratelli milanesi si adattarono a rimanere privi di chiesa e, apparentemente, in clandestinità; la soluzione venne soltanto col successore del cardinale Federico Borromeo.

Camillo, ad iniziare dal mese di giugno 1614 incominciò a deperire visibilmente per la malattia che lo stava consumando; il 2 luglio ricevette il Viatico dalle mani del Card. Ginnasi che si fermò con lui in preghiera confortandolo e consolandolo; l’11, alla presenza di tutta la comunità, gli fu impartita l’Estrema Unzione dal Padre Generale. Malgrado le sofferenze e l’abbandono delle forze, continuò a pregare, a farsi leggere la regola dell’Ordine dal lui fondato, a ricevere visite, fra le quali quella di Francesco Ginnasi, nipote del Cardinale al quale Camillo disse: “Il signor Cardinale mi fa soverchi favori, ne voglio dire, che mi obligò à riservirla più qui in Terra; poiché questa vita tra poco sarà finita per me; ma se il Signor Iddio mi farà gratia d’andarlo à vedere à faccia à faccia; alhora mi ricordàrò di pregar per Sua Signoria Illustrissima”.Ancora all’Ave Maria della sera del 14 luglio ebbe la forza di recitare l’Angelus, poi, invocato il nome di Gesù e di Maria, si addormentò nel Signore. I funerali solenni si svolsero il giorno dopo tra grande affluenza di popolo, nobiltà e clero romano.

Dal 1619 alla peste del 1630

Il 2 aprile 1619, alla presenza del Cardinale Ginnasi, ebbe inizio il sesto capitolo generale che elesse alla guida dell’Ordine padre Sanzio Cicatelli, primo biografo di Camillo. Durante questo generalato, su interessamento del card. Ginnasi, vennero aperti dai Padri alcuni collegi, uno dei quali a Bologna, ove i professi potessero studiare con maestri competenti. Il Cicatelli ebbe particolare cura per la causa di beatificazione di Camillo che si aprì durante il suo mandato. In questi anni i Padri accorsero a Palermo per l’epidemia di peste; molti morirono per il contagio ed uno di questi fu padre Giovanni Califano, già Segretario della Curia di Manfredonia e del suo Vescovo card. Ginnasi.

Sempre alla presenza del Ginnasi si aprì anche il settimo capitolo generale nella giornata del 4 maggio 1625, che elesse padre Frediano Pieri, lucchese, quale Generale dell’ordine. In questo stesso Capitolo il Ginnasi lesse un breve pontificio che disponeva la durata in carica del generale per soli tre anni, anziché sei come in precedenza, con la possibilità tuttavia di una rielezione. Il Pieri proveniva, quale Provinciale, da Bologna ove aveva ricostruito dalle fondamenta la casa dei Confratelli. Sua cura ed impegno speciale fu l’educazione dei novizi e dei giovani chierici, aprendo per loro case in molte città. Il 4 maggio 1628 s’iniziò l’ottavo Capitolo generale, in mancanza del card. Ginnasi che fu sostituito dal vice governatore di Roma mons. Ricciulli. Il Padre Pieri venne riconfermato Generale d’autorità pontificia per un altro triennio ma, col breve Cum sicut di Urbano VIII, egli continuò a rivestire la carica fino al 1634, imperversando in tutta Italia l’epidemia di peste.

La peste a Milano, Bologna ed Imola

Durante l’assedio di Mantova nel 1629 scoppiò in quella città l’epidemia di peste, portata dai soldati lanzichenecchi: a metà luglio 1630 i suoi 50 mila abitanti si erano ridotti a settemila gialli e sparuti. A Milano il primo caso si manifestò il 22 ottobre 1629; quello che successe in città ci è stato narrato dal Manzoni. Anche a Bologna nel maggio del 1630 giunse il morbo, ed essa fu tra le città più colpite: in sette mesi si ebbero 13.398 vittime su una popolazione di 61.559 abitanti nel centro urbano e 16.300 nel contado. La lotta contro l’epidemia fu diretta dal card. Bernardino Spada, Legato Pontificio, che si assicurò ben presto il consiglio e l’opera dei Camilliani, il cui Prefetto, padre Campana, fu chiamato a far parte dell’Assunteria di Sanità. Il detto Padre con molta carità e sollecitudine, senza tema di fatica alcuna, con piena autorità dell’E.mo Legato aprì un lazzaretto per li sospetti nel palazzo de’ Signori Manzoli, fuori porta Santo Stefano, sopra una collina chiamata Belpoggio, e uno a Castelfranco destinandovi a presiederlo due suoi religiosi per ciascun lazzaretto. Per il loro funzionamento accorsero a Bologna altri padri, che si aggiunsero ai venti già presenti. Il Cardinale Ginnasi autorizzò tutte le partenze, fuorché quella del padre generale, che lo stesso Pontefice Urbano VIII volle presente in Roma al fine di preparare la città all’assalto del morbo. Essi aprirono a Bologna altri tre lazzaretti (alla Madonna degli Angeli, fuori Porta Saragozza e fuori porta San Mammolo) dedicandosi in pieno all’assistenza di quei poveretti; una squadra inoltre era addetta allo spurgo, cioè alla disinfezione e disinfestazione delle case e delle robe infette o sospette di peste. Nove camilliani morirono per aver contratto il morbo, mentre altri ne uscirono guariti. La peste infierì in Emilia, ed in Romagna specialmente ad Imola nel 1632 con una virulenza così grande da minacciare la distruzione totale della città. Il Cardinale Legato Francesco Barberini supplicò pertanto lo zio papa Urbano VIII di inviarvi padre Zazio che tanto si era distinto a Ferrara. A metà maggio il religioso giunse in città, dove la peste era nel pieno del suo bollore ed il disordine grandissimo. Chiese ed ottenne con breve pontificio del 23 giugno pieno ed incondizionato potere anche per le cause criminali. Con prestigio ed autorità pose mano ad ordinare il lazzaretto, attuando il dovuto isolamento e sottoponendo la città a quarantena, in base alle più efficaci misure profilattiche fino ad allora sperimentate. Il suo intervento riuscì di tanta efficacia che un mese dopo, cioè in agosto, la peste potè considerarsi estinta e superata. I deputati del governo cittadino, per riconoscenza, impegnarono la città ad ospitare gratuitamente i camilliani di passaggio per Imola e rilasciarono a padre Zazio un solenne attestato di benemerenza. Da Roma il cardinale Ginnasi seguì con apprensione e preoccupazione quanto avveniva così vicino alla sua terra natale.

Gli ultimi anni

Durante l’epidemia l’Ordine diede la prova più importante della sua capacità di dedizione. I religiosi impegnati furono circa centoventi, dei quali morirono cinquantasei di peste. La consulta, allarmata per lo scadere del suo governo, trovandosi nella impossibilità di riunire il capitolo generale per il 1631 chiese ed ottenne il breve pontificio Cum sint con il quale esso venne prorogato in carica per altri tre anni.

Il 4 maggio 1634 si apriva il nono Capitolo Generale; non fu presente il Card. Ginnasi; ottantaquattrenne e malato, probabilmente non interveniva più, se non sporadicamente come avvenne per la peste del 1630, nella vita dell’Ordine Camilliano, che in questi anni aveva preso vigore e riusciva ormai a camminare con notevole indipendenza. E’ dato quindi pensare che il card. Ginnasi rimanesse Protettore dell’Ordine fino alla sua morte avvenuta il 12 marzo 1639. Infatti solamente nel decimo capitolo, apertosi nel 1640, intervenne il nuovo Protettore, cardinale Giovanni Francesco Guidi di Bagno.

Paolo Grandi

Bibliografia:

  • CICATELLI S., Vita del Padre Camillo de’ Lellis, Roma 1615.
  • MARTIGNONI G., San Camillo de’ Lellis, in: Dizionario di Teologia Pastorale Sanitaria. Roma 1997.
  • SANNAZZARO P., Storia dell’ordine Camilliano (1550 – 1699), Roma 1983.

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