Le ultime “orfanelle”

di Andrea Soglia

Inaugurato il 28 ottobre 1935, l’orfanotrofio femminile “Alessandro Ginnasi” funzionò fino al 31 agosto 1969, quando fu chiuso e ben presto (1973) riconvertito in Scuola elementare (oggi primaria) “Alessandro Ginnasi”.
Il 13 maggio 2023, fra un’alluvione e l’altra, abbiamo incontrato, a casa di Ileana Massari, che ha organizzato il tutto, alcune delle ultime “orfanelle” che negli anni ’60 hanno vissuto nell’orfanotrofio, da loro chiamato, semplicemente, collegio.
Dopo quasi 60 anni queste ultime “orfanelle” si ritrovano ancora regolarmente, legate da una vecchia amicizia e antica solidarietà e complicità.
A casa di Ileana abbiamo chiacchierato piacevolmente con: Beatrice Borghi (nata a Castel Bolognese), entrata in “collegio” nel 1960-61; Marilena Alberighi, (in collegio dall’estate 1962), da Solarolo, che aveva la madre malata di TBC; Paola Pini, entrata nel 1963, da Solarolo, orfana di padre; Stefania Toni, in collegio nel 1964, da Solarolo, che aveva i genitori emigrati per lavoro; Ileana Massari, di Castel Bolognese, entrata nel 1967, orfana di madre; Teresa Conti da Solarolo, entrata nell’autunno 1967.
Ci siamo fatti descrivere l’interno dell’edificio e la vita quotidiana nel collegio. E sono emersi tanti altri aneddoti che cerchiamo di raccontare qui di seguito, sperando di fare cosa gradita.
L’edificio, negli ultimi anni di attività dell’orfanotrofio, era così disposto. A piano terra, o meglio, rialzato, a cui si accedeva dall’ingresso principale, prendendo il corridoio di sinistra si incontravano tre stanze che si affacciavano sulla via Emilia: lo studio della Superiora, la stanza della suora che si occupava dell’Asilo, e la stanza dell’Asilo Infantile che faceva servizio ai bimbi del paese; sul retro si affacciavano i bagni, mentre in fondo al corridoio vi era la Chiesa; prendendo invece il corridoio a destra si incontravano nell’ordine la stanza con la tv e il laboratorio di cucito, il refettorio delle suore e la sala studio, e in fondo al corridoio il refettorio con annessa cucina. Al piano superiore vi era la zona notte, con tre stanze da letto che si affacciavano sulla via Emilia, i bagni con finestre sul retro, in corrispondenza di quelli al piano terra; in fondo a sinistra vi era la grande camera da letto, mentre in fondo a destra vi era il teatro dove si tenevano le recite. Nel piano seminterrato vi erano vari locali di servizio, da sinistra a destra dell’edificio: un ripostiglio, il deposito del carbone e la stanza della segatura (affacciati sul retro), la camera di Elvira, la caldaia, la lavanderia, i bagni con le docce (affacciati sulla via Emilia), la dispensa e la stanza delle mele in fondo a destra.
Nell’orfanotrofio erano presenti 3 suore (delle Figlie della Carità) in contemporanea e negli ultimi anni vi sono stati alcuni avvicendamenti. Le ultime “orfanelle” (che chiameremo anche, semplicemente, “interne”) hanno citato Suor Mengoni, la superiora, descritta come “severa”; suor Maria Luisa, responsabile dell’Asilo Infantile, descritta come “cattiva” (con le orfanelle); Suor Gabriella, che si occupava delle interne, poi sostituita da Suor Giuseppina (Maria Grazia Pedretti), da Cremona, cugina con la cantante Mina. Suor Giuseppina aveva insegnato in un laboratorio femminile del carcere di Cremona, poi passò a La Spezia ed infine a Castel Bolognese. Descritta come buona e moderna, sperimentava addirittura l’educazione sessuale ed era adorata dalle ragazze alle quali era altrettanto legata. Per questo fu rimossa e trasferita: finì a Firenze in un Istituto Magistrale Collegio S. Caterina e poi “suora di strada” in aiuto dei più poveri della città toscana. Suor Giuseppina, a cui diamo un volto grazie ad una foto, conservata da Paola, scattata durante una scampagnata a Tebano, fu sostituita da suor Giovanna, ricordata come anch’essa come “cattiva”.
Tutte le suore (ad esclusione di suor Giuseppina) prendevano in giro le ragazze per l’aspetto fisico.
La rimozione di Suor Gabriella aveva portato ad un ammutinamento delle ragazze, che avevano perso un grande punto di riferimento.
Nell’orfanotrofio vivevano 25 ragazze “interne”, che avevano a disposizione 3 bagni.
La giornata iniziava alle 6, le ragazze venivano svegliate con battute di mani e venivano scoperte (senza troppi complimenti) al grido di “Viva Gesù”, al quale si doveva rispondere “Salvi i nostri cuori”. Le camere, come detto prima, erano al piano di sopra; c’erano 10 minuti di tempo per lavarsi e vestirsi, in bagni bui e con acqua fredda. Seguiva poi un’ispezione. Le ragazze portavano una divisa, quella invernale prevedeva anche un basco di colore bordeaux.
Dopodiché si scendeva in chiesa per una preghiera; il venerdì un frate veniva a dirvi la messa, mentre la domenica si andava alla messa in parrocchia. Don Sandrino confessava le ragazze direttamente in collegio.
Le suore invece uscivano sempre a messa. Dopo la preghiera le orfanelle facevano colazione con il caffellatte, preparato da Antonia la cuoca, ma il latte veniva preventivamente messo a riscaldare da una delle ragazze, a rotazione. Nel caffellatte si intingeva del pane, ovviamente vecchio e raffermo.
Qualcuna delle ragazze penetrava di nascosto nel refettorio delle suore e sgraffignava cioccolatini e dolci. Altrimenti la colazione si arricchiva solamente con viveri portati dalle famiglie delle orfanelle, ad esempio uova per lo zabaione o la Ferrochina Bisleri.
Il “mangiare” in generale era poco e scarso, si pativa la fame! Si ricorda ancora con disgusto il pranzo del venerdì con una sarda fritta tremenda e i fagioli dell’occhio sconditi: alcune ragazze, piuttosto che mangiarla, preferivano far cadere di nascosto la sarda per terra, tanto poi le pulizie toccavano a loro e nessuna suora si accorgeva della cosa. Si ricorda anche una terribile cicoria, che Beatrice scagliava via con rabbia contro uno dei pini del parco.
L’unico piatto ricordato come ottimo era lo stufato di patate e pomodori.
Eppure l’orfanotrofio aveva un orto, un piccolo allevamento di conigli e un bel pollaio. Gli animali, nemmeno a dirlo, dovevano essere curati e sfamati dalle ragazze.
Se non si rigava dritto c’era la punizione, chiuse in camera al buio…
Dopo la colazione si andava a scuola accompagnate da Antonia. Era lei, se pioveva, a portare 20 ombrelli, e se nevicava, era lei a spalare la neve, anche sul marciapiede di fronte all’istituto che portava verso viale Pascoli.
Poi si rientrava per il pranzo. Dopo pranzo si andava nell’aula studio interna per i compiti.
Dopo i compiti si procedeva alle pulizie, le ragazza pulivano tutte le stanze a rotazione. Alcune, di pomeriggio, badavano anche ai bimbi dell’Asilo Infantile.
Dopo le pulizie seguiva il rosario e quindi la cena. Dopo cena qualche gioco veloce e alle 20 si andava a letto. Il sabato sera si poteva vedere Carosello in tv.
Alcune ragazze si erano dotate di radiolina e una volta ascoltarono di nascosto il Festival di Sanremo in camera, radunate sopra i letti. Furono scoperte dalla superiora che pensava ad una seduta spiritica tipo quella di Giamburrasca. Furono messe in punizione ed ovviamente niente più Sanremo.
Le ragazze erano entrate tutte a 7/8 anni di età circa. Si poteva rimanere in collegio fino alla maggiore età. Ileana e Paola erano ancora interne quando nel 1969 l’Orfanotrofio chiuse, mentre le altre ragazze erano uscite 1-2 anni prima. Il collegio fece fare loro “le ossa”, ma ne uscirono spesso ribelli e “dure”.
Fra le più ribelli vi era Beatrice che una volta scappò, prendendo il treno e pagando il biglietto con i soldi rubati in chiesa. Fu ritrovata a Marina di Ravenna. Beatrice era anche molto protettiva verso le altre ragazze, e spesso si accollava le colpe altrui.
Le ragazze trascorrevano a casa Natale e Pasqua. Chi aveva la possibilità, d’estate tornava a casa o andava in colonia, mentre chi rimaneva in collegio lavorava a maglia su commissione delle Monache Domenicane. Venivano pagate a cottimo, ma i soldi, manco a dirlo, se li tenevano le suore del collegio. Negli ultimi tempi, sempre per chi poteva, era possibile trascorrere a casa anche il sabato e la domenica.
Le ragazze erano anche state adottate a distanza negli Stati Uniti. Si ricorda anche l’episodio avvenuto in occasione della morte di John Kennedy, quando una delle “orfanelle” aveva scritto una lettera di condoglianze a Jacqueline Kennedy ricevendo risposta…
Le ragazze rammentano con piacere la Befana curata da una giovanissima Cleofe.
I ricordi delle ultime “orfanelle” si fermano qui, ma siamo certi che ne sarebbero emersi altri ancora continuando la chiacchierata. Ne esce una storia significativa di ragazze che sin da bambine hanno avuto una vita dura, dapprima per i problemi familiari o i lutti e poi per l’esperienza tutt’altro che serena del “collegio”, con metodi educativi severissimi ed antichi e poco propensi alla modernizzazione che si respirava negli anni ’60. Il tutto oggi non solo sarebbe impensabile, ma finirebbe sulle prime pagine di tutti i giornali…

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