Le orfanelle delle OO.PP di Castel Bolognese durante la guerra

Inaugurato il 28 ottobre 1935, l’orfanotrofio femminile “Alessandro Ginnasi” funzionò fino al 31 agosto 1969, quando fu chiuso e ben presto (1973) riconvertito in Scuola elementare (oggi primaria) “Alessandro Ginnasi”. Costruito dalla contessa Maria Regoli Ginnasi (1859-1937) in memoria del defunto marito su terreno donato dalla Congregazione di Carità, l’orfanotrofio iniziò ad essere effettivamente funzionante solo nell’aprile 1936 ed era diretto da alcune suore dell’ordine delle Figlie della Carità, lo stesso di cui facevano parte le suore che prestavano servizio sin dal 1880 presso il nostro Ospedale Civile.
E’ assai poco noto cosa ne fu delle “orfanelle” durante la lunga sosta del fronte sul fiume Senio nell’inverno 1944-45 ed è stato completamente dimenticato il loro importante contributo dato alla vita dell’Ospedale Civile traslocato in toto nelle cantine dell’edificio, presso il quale avevano trovato riparo anche loro.
A rendere loro giustizia provvede la testimonianza di Dina Tampieri, ospite dell’Istituto per circa 13 anni, comprensivi anche del periodo bellico.
Ringraziamo sentitamente Carlo Bruni per averla raccolta e trascritta.
(A. S.)

Testimonianza di Dina

(a cura di Carlo Bruni)

Il regolamento prevedeva massimo 12 orfanelle ma in quel periodo eravamo di più presenti in orfanatrofio.
Tre le suore, ogni sette anni cambiavano per una loro regola, dell’ ordine delle suore della Carità di S. Vincenzo con casa madre a Siena.
La superiora era Suor Caterina (al secolo Giuseppina Pierini di Recanati), poi c’erano Suor Gabriella e suor Scalamonti.
Alcuni nomi delle orfanelle presenti in quel periodo (orfanelle da un anno a 21 anni): Egle Galeati, Vanda Poggiali, Liliana Almerighi.

Durante la guerra l’istituto era sfollato alla Serra nel podere “la Gaglié”.
Prima di Natale del 1944, l’11 dicembre, un camion di tedeschi prelevò tutto il gruppo delle orfanelle per portarle in un posto più sicuro: dissero “A Castello”. Arrivate sulla Via Emilia ci accorgemmo che il camion anzichè girare verso Castello andava verso Imola.
Allarmate cominciammo a protestare. Ci togliemmo le scarpe e cominciammo a picchiare con quelle sulla cabina di guida. Dopo un po’ il camion si fermò a chiedere spiegazioni.
“Noi vogliamo restare a Castello. Non vogliamo andare in un’altra città”. I tedeschi risposero che a Castello non si poteva andare dato che il paese era tutto distrutto.
L’insistenza di tutto il gruppo e la reazione anche molto forte alla fine costrinsero i tedeschi a invertire la rotta. E così finimmo nelle cantine dell’Ospedale.
All’Ospedale si aggiunsero anche delle ragazze figlie di sfollati da Bologna.
La Madre Superiore ci disse subito: “Siamo ospiti e dobbiamo dare il nostro contributo per sdebitarci”.
I nostri compiti.
Il principale era quello di fare la minestra: dalla mattina alla sera, con una piccola macchinetta che sfornava quattro maccheroni alla volta; due o tre di noi eravamo impegnate a fare l’impasto, a girare la manovella della macchinetta, a stendere la pasta per asciugarla e poi cuocerla.
Altro compito importante: le pulizie.
Alla mattina presto, subito dopo mangiato, cominciavamo dalle scale, sempre insanguinate con anche, a volte, assieme al sangue, piccoli pezzi di carne.
Lavare e asciugare perché nessuno scivolasse.
Poi la stanza degli ammalati. In due procedevamo così: una sollevava da una parte la branda con l’ammalato e l’altra spazzava sotto, prima da una parte poi dall’altra.
Altro compito era pedalare sulla bicicletta per produrre elettricità caricando la batteria in uso per l’illuminazione dei locali, in particolare il posto operatorio.
Si pregava quando eravamo nelle stanze nostre con le suore. Si andava alla messa celebrata da Don Panzavolta e alla funzione. Ma non sempre eravamo presenti perché alcune di noi, in particolare le più grandi, avevamo i compiti da sbrigare.
Le più grandi  lavoravano dalla mattina alle sera. Solo il dott. Bonora – sempre presente e a correre ad ogni insorgere di un problema – ci diceva: “Ragazze non stancatevi troppo, riposatevi un po’”
Andavamo a letto alla sera quando si spegneva il lumicino ricavato in un coperchio da lucido da scarpe.
Ogni tanto, quando la Madre Superiora giudicava di tranquillità, senza tanti pericoli, ritornavamo alla nostra casa in Via Emilia a cercare nel nascondiglio, ricavato vicino alla casa dei Landi, alcuni alimenti nascosti che portavamo all’ospedale. Il nostro nascondiglio, purtroppo era conosciuto da tanta gente che ne approfittava al bisogno e il bisogno era tanto.
Alla sera un nostro orologio era Magrini: quando la Superiora vedeva uscire dall’ospedale Magrini con in testa un materasso o un cuscino, forse per proteggersi dalle eventuali schegge e sentirsi più sicuro, ci diceva: “Bambine è ormai ora di finire il nostro lavoro”.

Alcune “orfanelle” nel 1953 ritratte davanti all’orfanotrofio Ginnasi. Fra esse Claudia Mazzara, entrata in istituto alla fine del 1945, che ha gentilmente fornito la fotografia

Memoria funebre della contessa Maria Regoli Ginnasi (collezione Marco Sangiorgi)

Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Carlo Bruni (a cura di), Le orfanelle delle OO.PP di Castel Bolognese durante la guerra, in https://www.castelbolognese.org

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