Ricordo di Tonino Tronconi (1933-2025)

di Andrea Soglia con contributi di Lodovico Santandrea

Alle soglie dei 92 anni è mancato Antonio “Tonino” Tronconi, un altro pezzo del vecchio Castello. Era nato nel 1933 in una famiglia poverissima, tirata avanti dai genitori che, fra mille privazioni, riuscirono a far studiare la loro figlia maggiore, Rosetta. Quando Tonino nacque il padre era già ultraquarantenne (età considerevole per l’epoca) e Rosetta aveva 8 anni. Rosetta aveva conseguito il diploma di maestra ed era l’orgoglio e la speranza di suo padre, oramai anziano, che aveva riposto in lei anche il futuro economico del piccolo Tonino. Ma il sogno era destinato a svanire: non solo venne la guerra ma anche la malattia di Rosetta, che morì a 19 anni di tisi nel febbraio del 1945, spirando nelle cantine dell’Ospedale.
Tonino ricordava che in un certo qual modo si era come spento anche il padre, e ben presto Tonino entrò nel mondo del lavoro adattandosi a fare i lavori più umili, soprattutto di fatica, visto che era anche dotato di una notevole forza fisica.
Lodovico Santandrea, suo storico amico, ci ha raccontato tante cose che cerchiamo di mettere assieme. Tonino “aveva coraggio da vendere e se c’era un “fughetto” non si tirava indietro: famosa la bastonatura che lui, Mamini e Romano Scardovi dettero nel campo dei salesiani a Faenza ad un lottatore professionista, un bascianazz di due metri che pesava più di un quintale. Il suo eloquio era fluente e aveva sempre la parola pronta tanto che un giorno andò in farmacia chiedendo dei tranquillanti ed al farmacista che gli consigliò un calmante per la gola disse che il tranquillante gli serviva per il nervoso per non poter parlare”.
Il sottoscritto ricorda quanto amasse raccontare i fatti dei personaggi castellani. Era uno spasso sentirlo narrare le “imprese” di Mingò d’la Turca. Gli avevo chiesto qualche aneddoto anche l’ultima volta che l’avevo visto sulla panchina vicino alla sua casa. Le gambe erano oramai malferme ma la voglia di raccontare era ancora intatta. Scherzava anche sul suo deambulatore, vantandosi di avere la Ferrari dei deambulatori. Fino a poco tempo prima si sforzava di arrivare in piazza e di raggiungere il bar Commercio, per rivedere gli storici amici e scambiare qualche battuta. D’altronde, come ricorda Lodovico, era un “lettore accanito e sapeva destreggiarsi su qualunque argomento”. E poi famosi erano i suoi scherzi e le sue battute corrosive, che non risparmiavano nessuno, anche personaggi importanti del paese, “in quanto la sua coscienza era immacolata”. Gli piaceva anche vestire molto elegante, specie di domenica, e gradiva i commenti positivi sul suo abbigliamento.
Si dilettava a scrivere racconti e poesie in italiano e in dialetto. La sua zirudella/filastrocca più famosa, era nata fra i tavolini del bar Commercio, dopo la disfatta dell’Italia (allenata dal castellano Edmondo Fabbri) con la Corea del Nord, dove il protagonista era un topolino (chiara allusione al soprannome che Fabbri aveva da calciatore) e dove la carica di Commissario Unico, abbreviata in C.U. diveniva in dialetto “ciù” (persona non molto sveglia).

“In un dolce paese che dirvi non so un dì un topolino ciù diventò e subito Fani felice da pazzo cominciò nel Commercio a rompere il cazzo. Abbiamo uno squadrone gridava Mattioli, diceva Ricagni, adagio figlioli, restiamo coi piedi posati per terra, la prova del nove è là, in Inghilterra. E mentre la squadra vinceva senza stenti in patria e all’estero i primi cimenti, il buon Falegname vendeva i biglietti che dare doveva agli amici più stretti. E per l’Inghilterra l’Italia salpò, ma dalla Corea battuta tornò, il bel sogno di gloria tosto svanì, il ciù fu cacciato e Fani impazzì”.

In questa pagina vi proponiamo una toccante zirudella “La class de’ maistrò”, segnalataci da Lodovico, in cui Tonino ricordava i tempi della scuola elementare, allievo del maestro Giuseppe Jacchini, soprannominato appunto “E maistrò”. Nel ricordare i compagni, tanti anni dopo immaginava in sogno che si ripetesse l’appello del maestro, ma troppi erano gli assenti che, oramai, erano andati nel mondo dei più. I castellani più grandi riconosceranno tanti dei personaggi citati.
Alcuni suoi racconti in italiano, I cachi, Il cappotto, La gallina erano stati pubblicati sul volume La compagnia dei racconti 2019-2020, e Tonino orgogliosamente mi aveva segnalato la cosa.
Sono passati alla storia anche altri episodi. Ad esempio nel 1954, la neonata Rai si diede molto da fare perché tutti la conoscessero ed una sua squadra, sul finire del mese di agosto venne a Castello per incrementare la diffusione di questo nuovo mezzo di comunicazione. Oltre a divulgare la sua attività, la Rai fece montare un palcoscenico improvvisato sul quale si esibì un ristretto numero di attori. Come raccontava Rino Villa, Tonino Tronconi partecipò con una canzone, cantata allora con la voce roca tanto di moda nei cantanti di oggi, che suscitò tanto divertimento e tanti applausi, da meritarsi alla fine il premio messo in palio da un rivenditore di elettrodomestici, per chi avesse avuto più successo: un ferro da stiro.
Lodovico invece ricorda che, durante un torneo di Biancanigo, Tonino era l’allenatore della squadra del Bar Commercio (dove Lodovico giocava in porta) e all’inizio della partita spiegava la tattica: “Dobbiamo fare un gol in più dei tiri che arrivano in porta a Lodovico”. Nonostante la tattica “lapalissiana”, il Bar Commercio vinse il torneo.
Tonino fu attivo nel movimento cattolico castellano. Era cugino di Nicodemo Montanari, e con lui, futuro sindaco del paese, iniziò un lungo percorso politico prima nella DC per poi spostarsi sempre più a sinistra. Tonino è stato consigliere comunale dal 1960 al 1974 ed assessore dal 1960 al 1964 mettendo sempre avanti il bene del paese. E ne ha sempre continuato a seguire, con passione, tutte le vicende politiche.
Tonino aveva sposato Silvana Gambi che gli ha dato due figli, Gabriele e Rosetta, alla quale Tonino aveva posto il nome per ricordare la sorella tanto sfortunata. E la figlia Rosetta lo rendeva particolarmente orgoglioso con la sua attività artistica, e non mancava mai alle sue mostre, anche in quelle più recenti che visitava a fatica ma con determinazione. Fino all’ultimo si aggiornava anche sull’attività lavorativa del figlio Gabriele, del quale era altrettanto orgoglioso.
La scomparsa della moglie Silvana l’aveva profondamente rattristato. Lo colpivano i tanti casi di femminicidio, e commentava amaro con me: “prendono l’ergastolo per aver ucciso la moglie, quando io mi farei dare l’ergastolo per farla tornare in vita”. E il 19 maggio 2025 ha raggiunto la sua Silvana nel mondo dei più.

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