Quando passavano “al frutaròli”

magazzini

Veduta aerea dei magazzini della frutta di via Santa Croce. In alto la casa del custode. In basso il palazzo Scardovi e l’ultimo tratto di viale Cairoli. A sinistra il binario ferroviario. (foto di proprietà di Cristina Scardovi, gentilmente concessa ad Andrea Soglia per l’utilizzo esclusivo su castelbolognese.org. Ogni altro utilizzo deve essere preventivamente autorizzato dalla proprietaria della foto)

Nel dopoguerra, all’interno l’area un tempo occupata dalla stazione ferroviaria per Riolo, cioè davanti alla stazione FS, sorse un magazzino ortofrutticolo per volontà della famiglia Scardovi che costruì anche il palazzo per la propria residenza al posto del precedente edificio della stazione.  Dopo il fallimento, il magazzino fu rilevato dalla società S.I.G.L.A. e successivamente dalla P.A.F. che lo chiuse negli anni ’80 dopo la costruzione del più grande stabilimento posto sulla via Borello.  L’area fu poi venduta e trasformata in zona residenziale con la conseguente demolizione dell’opificio.
Lo ricordo bene anche perché per alcune stagioni, in estate, vi ho lavorato per un turno di due settimane.  L’edificio si presentava diviso in tre moduli.  Verso il piazzale c’era lo stabilimento vero e proprio, che aveva una lunga tettoia metallica sul fronte di via Santa Croce ove d’inverno venivano accumulate le cassette di legno per la raccolta della frutta nei campi (i cassoni erano là da venire…) un’altra tettoia era sul fronte ed una terza, in cemento, lungo il fianco verso il parco della Centonara che copriva il binario di raccordo con la stazione cosicché i carri potevano essere caricati al riparo dalle intemperie.  Lo seguiva una costruzione massiccia, molto alta e senza finestre che conteneva i frigoriferi.  Sulla parete prospiciente via Santa Croce era dipinto lo stemma della S.I.G.L.A.: un bellissimo gallo multicolore che tra l’altro era diventato il segnale di arrivo a Castel Bolognese per molti viaggiatori.  Seguiva un edificio più basso e stretto ove c’erano i compressori dei frigoriferi, funzionanti ad ammoniaca che qualche volta è uscita ed ha fatto piangere tutti noi del Viale Cairoli, la cabina elettrica e la fabbrica del ghiaccio.  Un passaggio carrabile sufficientemente largo lo separava dalla casa del custode, un edificio rosso che verso ovest si chiudeva sul passaggio a livello di via Santa Croce del binario di raccordo dello stabilimento che poi era, o era stato posto, sul precedente binario di raccordo tra le due stazioni ferroviarie di Castel Bolognese.
Nello stabilimento lavoravano numerose donne.  Alle 12 e 30 in punto suonava la sirena, che era forse un residuato bellico e poco dopo uno sciame vociante di donne in bicicletta si dirigeva verso il centro lungo viale Cairoli.  A quell’ora nella mia famiglia, d’estate, si mangiava; non c’era la TV in cucina e quindi questo vociare e il rumore delle biciclette ci attirava l’attenzione, con mia mamma che diceva “al passa al frutaròli, guerda alè quanti ch’agli è!” (passano le operaie della frutta, guarda lì quante sono!).  Quando poi cominciò l’immigrazione dal sud, molte donne trovavano là il lavoro stagionale e quindi il loro passaggio si mischiava con dialetti sconosciuti e cadenze del parlare che le bollava come “al maruchìni” e se vestite in modo particolare “al ciuciàrri”.
Lo stesso sciamare, ma con direzione opposta, lo si vedeva verso le 14.30 quando ricominciava il lavoro, non prima che la sirena avesse dato il via.  Così la sirena suonava il termine della giornata alle 18.30 ma a quell’ora il ritorno era più diluito in quanto molte operaie erano costrette a restare per terminare la raccolta della giornata.
Naturalmente si trattava di lavoro stagionale, da giugno a settembre, poi fino a novembre quando arrivò la produzione del kiwi, tuttavia il maggior impiego era nei mesi di luglio ed agosto quando si raccoglievano pesche ed albicocche ed i produttori affollavano in lunghe teorie di trattori e carri agricoli viale Cairoli e via Santa Croce in attesa di poter scaricare.
Dalla parte opposta c’era il lavoro dei ferrovieri e dei facchini.  Questi ultimi caricavano con la frutta confezionata nei tipici vassoi di legno i carri frigoriferi INTERFRIGO con maestria, in modo tale che alla chiusura del portellone ben poco spazio era rimasto tra le fila di cassette; indi i carri erano riempiti, tramite apposti boccaporti posti sul tetto, di barre di ghiaccio preparate nello stabilimento, per conservare la merce.  Importante era non dimenticare di segnare sulla tabella di percorrenza la stazione ove doveva essere sostituito il ghiaccio: ricordo che in tutti i carri diretti verso Svizzera, Germania settentrionale, Olanda, Danimarca e Svezia i facchini scrivevano: Chiasso.
I ferrovieri, anzi i manovratori, gestivano il traffico tra la stazione ed il raccordo: la mattina presto venivano consegnati al magazzino i carri INTERFRIGO vuoti che erano staccati da un treno “derrate-vuoti” che poi raggiungeva Lugo e Massa Lombrarda.  La sera avveniva l’operazione inversa tra le 21 e le 21.30.  La puntualità era d’obbligo: infatti alle 21.45 arrivava da Ravenna un “locale” che terminava la corsa a Castel Bolognese formato dalla macchina più alcune carrozze ed in composizione il furgone postale.  Occorreva quindi di una doppia manovra: prima di tutto bisognava sganciare il locomotore e il postale, poi posizionare in testa la macchina e ricoverare il convoglio, che sarebbe ripartito la mattina successiva verso le 5.30, sul binario n. 4, infine bisognava preparare la manovra per agganciare il postale al “locale” delle 22.30 proveniente da Ancona e diretto a Bologna.  Nel frattempo giungeva da Massa Lombarda un treno merci “derrate” tutto bianco ed argento con i bei carri dalla scritta “INTERFRIGO” al quale sarebbero poi stati agganciati quelli provenienti dal magazzino della frutta.
Quante volte i manovratori mi facevano salire sulla “sogliola” o sul “214”, i locomotori da manovra, per andare fino al magazzino a recuperare i carri!  E che attenzione per l’attraversamento di via Santa Croce, senza barriere, che avveniva a passo d’uomo, con dovizia di fischi, e con un secondo manovratore che era sulla strada munito di bandiera rossa.  Poi l’attesa dell’apertura dello scambio per immetterci dallo scalo sul binario 1 e dopo l’altra per permetterci di portare i carri su uno dei binari del “fascio merci” (dal 6 al 9).
Poi arrivarono i primi TIR frigoriferi.  Si disse che l’autotrasporto era più rapido del treno e la frutta giungeva sui mercati del nord Europa più fresca.  Così via Santa Croce e viale Cairoli iniziarono a riempirsi anche di TIR che però facevano fatica a manovrare e caricare nel modesto piazzale dello stabilimento ormai PAF.  In poco tempo i TIR spadroneggiarono e così cessò del tutto il traffico ferroviario, mentre la PAF stava realizzando un magazzino più grande anche per aumentarne la capacità ricettiva e produttiva nella zona industriale verso Imola.  Quanto questo fu inaugurato, terminò anche lo sciame delle “fruttarole” sul viale Cairoli.

Paolo Grandi

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In primo piano il binario che dalla linea ferroviaria portava ai magazzini, al centro la casa rossa del custode e sullo sfondo i magazzini (foto Grandi)

Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Paolo Grandi, Quando passavano “al frutaròli”, in https://www.castelbolognese.org

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