Francesco Fontana non fu l’architetto di San Francesco? Un’affermazione che attende ulteriori studi

di Paolo Grandi

La recente pubblicazione, a firma di Andrea Ferri e di Mario Giberti “La chiesa di San Francesco e i minori conventuali a Castel Bolognese – Il rapporto con Santa Maria dei Suffragi di Ravenna” rappresenta senza dubbio una preziosa fonte di notizie inedite su quella chiesa e sui Minori Conventuali che furono presenti a Castel Bolognese per oltre trecento anni ed in particolare tali sono le notizie sul primo tempio dedicato a Santa Lucia e la pubblicazione del cabreo relativo ai possedimenti nel 1760.
Lascia invece molti dubbi la contestazione dell’attribuzione architettonica della nuova ed attuale chiesa di San Francesco all’architetto Francesco Fontana, così non condividendo e anzi criticando lo studio del dott. Antonio Corbara fatto sui manoscritti dell’architetto romano ritrovati nell’Archivio Parrocchiale di San Petronio, attribuendo la paternità dell’opera ad un misconosciuto Cesare Fabri di Lugo. Ma chi è questo Cesare Fabri da Lugo? Gli autori non lo chiariscono e neppure tracciano di lui una biografia dalla quale possa trarsi la fonte di una così felice intuizione quale quella di adottare la pianta ottagonale, fino ad allora mai adoperata in Romagna: San Francesco di Castel Bolognese è infatti la prima chiesa in Romagna costruita a pianta centrale.
Cesare Fabri da Lugo lo si conosce solo come ebanista quale realizzatore dell’armadio dell’Altare della Reliquie in base alle ricerche fatte all’epoca da Pietro Costa. E tale lo definiscono anche gli autori. E in qualsiasi enciclopedia di Cesare Fabri si parla solo ed esclusivamente come ebanista. Quindi chi era questo Cesare Fabri, peraltro pure lui, stante le affermazioni dell’Autore, lughese? Si tratta del medesimo Cesare Fabri? Oppure in Lugo vi erano due omonimi? Quali altre opere architettoniche così originali come la chiesa di San Francesco ha realizzato questo Cesare Fabri?. Su queste legittime domande gli Autori tacciono.
Ora è da chiedersi quale fonte abbiano utilizzato gli Autori per giungere a tale conclusione. Questa la si trova in un memoriale del padre Ricci relativo alla sua opera di guardiano del Convento di Castel Bolognese tra il 1702 ed il 1704 depositato durante il processo che lo vide imputato di danneggiamento nei confronti del conte Giovanni Ginnasi. In realtà il Ricci qui fa riferimento ad un “disegno fatto fare dal perito ingegno del signor Cesare Fabri di Lugo”. Ebbene, premesso che si parla di disegno e non di progetto, ergo sarebbe potuto anche essere stato una sorta di “progetto esecutivo” sopra però il disegno inviato dal Fontana a Castel Bolognese il quale, è giusto ricordare, lasciò solo tre disegni ai frati per come costruire la nuova chiesa secondo i loro desideri.
L’architetto Francesco Fontana, figlio del più celebre Carlo ricostruisce negli stessi anni del nostro San Francesco la chiesa dei Santi Apostoli a Roma (chiesa generalizia dei francescani minori conventuali) e curiosa è la circostanza che sia la chiesa dei Santi Apostoli che quella di San Francesco siano da innalzare in uno spazio predeterminato già occupato da una precedente chiesa e secondo esigenze dettate dai frati ed inoltre che la pianta della basilica romana, ad una sola navata con profonde cappelle laterali comunicanti, corrisponda ad una delle soluzioni suggerite ai frati castellani per la loro nuova chiesa.
Gli autori invece, partendo appunto dalla labile traccia del Ricci non solo smentiscono il Corbara (il quale, non si dimentichi, basa la sua ipotesi su un atto scritto) ma acriticamente attribuiscono la paternità di San Francesco al Fabri, smentiscono la precedenti ipotesi di attribuzione al Fontana della chiesa di Santa Maria dei Suffragi di Ravenna arrivando addirittura a negare qualsiasi presenza del Fontana in Romagna, dimenticando tra l’altro un’altra opera importante del Fontana a Ravenna: Palazzo Spreti.
Così argomentando, gli autori non considerano un evento importantissimo avvenuto in Romagna nella seconda metà del XVII secolo: la fondazione della nuova Cervia. Infatti con un Chirografo del 1697 il papa Innocenzo XII prese la decisione di fondare la nuova città di Cervia affidandone l’incarico al card. Lorenzo Corsini, fiorentino d’origine ma romano di cultura (poi papa col nome di Clemente XII) il quale richiamò in Romagna il fiore degli architetti romani per la costruzione della nuova città. Afferma il Foschi: “nei documenti sono citati numerosi architetti che si susseguono alla direzione dei lavori, (di edificazione della città di Cervia ndr), da Girolamo Caccia a Francesco Fontana, da Sebastiano Cipriani ad Abramo Paris, da Antonio Farini a Cosimo Morelli, da Francesco Navone a Bellardino Petri”. (1) Naturalmente anche in questo cantiere, come in tutti i cantieri, v’era chi dirigeva il lavoro delle maestranze e costui non era quasi mai l’architetto o ideatore dell’opera specie se costui era forestiero. Il Foschi cita i nomi dei primi capi mastri muratori e dei primi capi muratori, tutti del posto.
Anzi si attribuisce la probabile paternità della pianta della nuova città da edificare, che è la Cervia che oggi ammiriamo, proprio a Francesco Fontana e sempre il Fontana è l’architetto del Palazzo Priorale (comunale) (2) il quale, afferma il Foschi “deve essere venuto in Romagna proprio per il nostro Palazzo Priorale (comunale)(3).
Uno sguardo infine merita la Cattedrale. Non si conosce il progettista ma la si fa risalire ad “architettura di gusto romano(4). Entrando ed osservandone bene la struttura questa ricorda molto una delle ipotesi avanzate da Francesco Fontana per il nuovo San Francesco, con pianta basilicale, cappelle profonde con passaggio “per il comodo dei celebranti”, stretto e profondo presbiterio, cioè la medesima pianta dei Santi Apostoli.
Per giustificare i loro asserti, gli Autori scrivono che “di entrambi (Carlo e Francesco Fontana) si conoscono altri interventi, ma non chiese e viene da pensare che se uno dei due se fosse stato presente in Santa Maria dei Suffragi da qualche parte ed in qualche documento in qualche pagamento sarebbe risultato.”. Al di là dei pagamenti, si annoverano nell’elenco delle opere dei due Fontana: di Carlo, la chiesa di Santa Rita da Cascia in Campitelli e la chiesa di Santa Maria dei Miracoli in Piazza del Popolo a Roma oltre a Cappelle e facciate di altre chiese romane; di Francesco, oltre alla chiesa dei Santi Apostoli, si ricorda la chiesa di Santa Scolastica a Rieti e la chiesa di Santa Maria della Neve al Colosseo in Roma, oltre ad altri progetti alcuni dei quali, come quello per l’Abbazia di Fulda in Germania, non realizzato.
Infine uno sguardo agli ornati delle chiese: l’ordine composito della chiesa dei Santi Apostoli è assai simile a quella di San Francesco di Castel Bolognese (ed anche alla Cattedrale di Cervia); e l’ornato è un po’ la “firma” dell’architetto.
Ciò premesso, per far sì che si aprisse almeno un dibattito tra lo scrivente e gli Autori, al fine anche di maggiormente approfondire le ricerche storiche sull’argomento ho inviato agli Autori il 29 agosto 2022 la presente lettera contestando punto su punto le affermazioni errate ovvero non dimostrate.
L’offesa maggiore, più per la storia di Castel Bolognese piuttosto che per lo scrivente, è che nessun riscontro sia, al momento, pervenuto.

(1) FOSCHI U.: La costruzione di Cervia Nuova (1697-1750), Ravenna, 1997.
(2) FOSCHI U.: ibidem.
(3) FOSCHI U.: ibidem.
(4) FOSCHI U.: ibidem.




Castel Bolognese, 29 agosto 2022

Preg.mo Dott.
ANDREA FERRI
Presso Edizioni
Il Nuovo Diario – Messaggero
Via Emilia, 77
IMOLA

Preg.mo Arch.
MARIO GIBERTI
Presso Edizioni
Il Nuovo Diario – Messaggero
Via Emilia, 77
IMOLA

OGGETTO: Volume: “La chiesa di San Francesco e i minori conventuali a Castel Bolognese”. Imprecisioni storiche, errori valutativi e travisamento di citazioni da altri testi. Richiesta di incontro.

Ho letto con attenzione la pubblicazione indicata in oggetto trovandola molto interessante per il contributo dato alla storia della presenza del frati Minori Conventuali a Castel Bolognese e a quella della loro bella chiesa che resta, pur dopo le sciagurate ricostruzioni ed omissioni del dopoguerra, l’edificio di culto ai quali i Castellani sono più affezionati, per via della presenza della Patrona, l’Immacolata Concezione. Tuttavia vi ho trovato errori, anche grossolani, errori valutativi ed addirittura travisamento di un mio scritto per svalutarne la validità per i quali chiedo spiegazione ed un incontro affinché si possano chiarire queste vicende.
Quale collaboratore, fin dalla nascita, della pagina di Castel Bolognese del settimanale “Nuovo Diario”, archivista di una della maggiori Parrocchie della Diocesi ed infine quale autore di volumi ed opere anche pubblicate da codesta Casa Editrice non mi sarei mai aspettato un attacco simile, in un caso offensivo e diretto al mio lavoro.

Pag. 11: nell’elenco dei vescovi della Regione provenienti dalle file del Minori Conventuali mancano i vescovi Girolamo e Gian Paolo Pallantieri, castellani, il primo vescovo a Bitonto e morto in odore di santità, il secondo vescovo di Lacedonia. Entrambi sono ricordati con i relativi monumenti nella Cappella dell’Immacolata Concezione proprio nella chiesa di San Francesco e per entrambi vi sono pubblicazioni che li ricordano.
Pag. 18: mentre si illustrano i rapporti, non sempre idilliaci tra il clero secolare ed i frati di San Francesco relativamente all’ordine del clero nelle processioni dell’Immacolata, si parla di statua lignea dell’Immacolata Concezione risalente al XV secolo. In realtà è risaputo, ampiamente illustrato in varie pubblicazioni, ricordata anche nelle cronache del settimanale “Il Nuovo Diario” per le vicende relative alla caduta di quell’Immagine dal proprio altare negli anni ’80 del secolo scorso, che si tratta di una terracotta policroma del XV secolo attribuita alla scuola di Iacopo Della Quercia.
Pag. 26: qui si parla di Cesare Fabri, realizzatore dell’altare delle Reliquie indicandolo quale ebanista, descrivendone poi le attività in nota 58. Qui sorge una prima contradictio in terminis: è lo stesso Cesare Fabri che nella seconda parte del volume lo si indica quale presunto realizzatore della chiesa?
Pag. 38: il convento francescano soppresso sarebbe stato trasformato in ospedale civico. Ciò non risulta: infatti, leggendo don Italo Drei (1) si ricava che i religiosi rimasti a Castel Bolognese avrebbero dovuto prestare servizio nell’erigendo nuovo Ospedale (quello dell’Antolini tuttora esistente) e che forse il convento fu utilizzato solo provvisoriamente quale Ospedale durante la battaglia del Senio del 2 febbraio 1799. Esiste effettivamente il progetto di Giovanni Antonio Antolini per trasformare il convento in ospedale, ma non si attuò preferendosi costruire ex novo in sede più idonea e salubre il nosocomio.
Pag. 47: scrive l’Autore “e senza aggiunger niente a questo scritto del grande frate francescano (2), conviene riportare direttamente le parti salienti della sua documentata ricerca e non usarla come ha fatto qualcuno per scrivere la storia castellana che ne ha, in vari scritti, riportato dei capitoli interi come propri senza riportarne, come d’obbligo, le citazioni: a Cesare quel che è di Cesare!” Questo attacco assolutamente diretto e poco corretto alla mia persona non rende giustizia alla mia lunga attività di ricercatore storico e autore di pubblicazioni scientifiche ove di ogni passo o notizia ne viene certificata la fonte. Non così appare questa parte di pubblicazione curata dal Giberti, spesso proprio carente della citazione di fonti o della dimostrazione di affermazioni che ne contraddicono altre anche sostenute da adeguata fonte. Il dubbio è che il Giberti si sia limitato a leggere solo ciò che appare in internet anche solo sul sito www.castelbolognese.org. Questo sito è un ausilio alla diffusione della storia di Castel Bolognese e, salvo non vi sia scritto che trattasi di articolo originale, riporta scritti diretti ad un pubblico più generalista e comunque anche qui tali scritti sono sempre sorretti da adeguata bibliografia o rimando ai testi dai quali sono stati tratti.
Pag. 52: padre Ricci viene definito “cappuccino” in realtà era Minore Conventuale.
Pag. 52: Sui diplomi rilasciati al Ginnasi dal Re Sole non è da sottovalutare la presenza a Corte del castellano Domenico Amonio, medico personale del Re, che si prodigò per i concittadini bolognesi e castellani (3).
Pag. 52: Caterina Ginnasi viene definita “celibe”; semmai era “nubile” (celibe, riferito ad una femmina è senz’altro obsoleto) come moderna definizione. Se invece ci si voleva riferire al fatto che la stessa, colpita dalla propensione mistica, vivesse ritirata e solitaria, vestita da monaca, nel Monastero delle “Ginnasie”, occorreva forse chiarirlo. (qualche fonte non confermata riferisce che ella prese anche i voti nelle “Ginnasie”)
Pag. 55: nota 103: la chiesa di San Sebastiano non fu mai destinata a refugium viatorum o a piccolo ospedale. Semmai era prevista la realizzazione di un lazzaretto che non fu mai costruito.(4) Addirittura, per evitare qualsiasi equivoco relativo alla immunità, poiché la chiesa era per gran parte dell’anno chiusa al culto, è scolpita sulla facciata la lapide: “il solo interno di questa chiesa gode dell’immunità”.
Pag. 59: relativamente alla possibilità di assistere dal proprio Palazzo alla Santa Messa, senza scomodare esempi imolesi, un’analoga possibilità a Castel Bolognese era stata data al marchese Zacchia-Rondinini di affacciarsi sulla chiesa di Santa Maria dell’Ospedale (finestra tuttora esistente), ed analogamente era stato concesso al conte Mazzolani per affacciarsi dal suo palazzo nella chiesa del Rosario Nuovo (oggi chiesa e palazzo sono scomparsi: la prima è stata trasformata ad uso profano, il secondo è perito durante la seconda guerra mondiale) Ne parla il Gaddoni (5).
Pag. 60: si parla di permuta di un negozio data in uso al Ginnasi. In realtà, guardando la pianta del Palazzo Ginnasi contenuta nel volume “In presentia mei notarii: Piante e disegni nei protocolli dei Notai Capitolini (1605-1875)” edito nel 2009, ove sono stati pubblicati due importanti e finora inediti disegni relativi a Palazzo Ginnasi, risalenti al 1652, appaiono tre negozi che sembrano appartenere ai Ginnasi. I locali sovrastanti tali tre negozi erano tuttavia di proprietà dei frati Minori. Per maggiore informazione all’Autore queste piante, benché contenute in atti notarili rogati in Roma, portano le misure in piedi di Castel Bolognese. Esse sono da qualche tempo pubblicate sul sito www.castelbolognese.org alla voce: Palazzo Ginnasi.
Pag. 62: scrive l’Autore: “il perito ingegno del sig. Cesare Fabri di Lugo per uniformarsi alle Sacre Costituzioni” e da qui l’autore ricava e fonda tutta l’architettura della sua ricerca sulla attribuzione a Cesare Fabri del disegno della chiesa di San Francesco. L’Autore non ci dà ulteriori notizie, neppure nel seguito dell’opera, su questo Cesare Fabri, né ci descrive la sua attività di architetto, né ce ne offre una biografia. La contradictio in terminis sta che poche pagine prima Cesare Fabri è definito “ebanista” (pag. 26) e realizzatore dell’altare delle reliquie, descrivendone le attività in nota 58. In una breve ricerca non ho rinvenuto alcuna notizia su un Cesare Fabri architetto ma solo sull’ebanista autore dell’altare delle Reliquie.
Quindi chi era questo Cesare Fabri, peraltro pure lui, stante le affermazioni dell’Autore, lughese? Si tratta del medesimo Cesare Fabri? Oppure in Lugo vi erano due omonimi? Quali altre opere architettoniche così originali come la chiesa di San Francesco ha realizzato questo Cesare Fabri?. Su queste legittime domande l’Autore tace.
Sembra quindi alquanto azzardato basare una teoria simile su un solo labile riferimento trovato in un atto difensivo del P. Ricci e privo di ulteriori supporti, mentre dall’altro lato abbiamo una lettera scritta dall’architetto Fontana ed elementi inconfutabili sulla novità di questa costruzione (con la “gemella” Santa Maria dei Suffragi di Ravenna) e sulla presenza di architetti romani in Romagna alla fine del XVII secolo.
Occorre osservare come la chiesa del Suffragio di Ravenna e San Francesco di Castel Bolognese siano cronologicamente le prime chiese a pianta centrale realizzate in Romagna dopo quelle paleocristiane. Mentre fino a tutta la Toscana si era iniziata la costruzione di chiese a siffatta pianta già da almeno due secoli a firma dei più grandi architetti dell’epoca, qualcuno da fuori (e non un misconosciuto “architetto”) deve aver portato in Romagna questo nuovo stile di costruzione che non può essere nato come Minerva dalla testa di Giove!
Non si trascurino poi alcuni effetti scenografici della chiesa tipici del tardo barocco romano: l’ingresso dalla via Emilia coperto dalla cantoria che rilascia ad un tratto la maestosità della chiesa con la grande cupola; la presenza di una lanterna (mai realizzata) per ulteriormente illuminare l’aula; la fattura dell’altare maggiore che sembra angusto nel suo primo apparire ma che nasconde dietro l’altare marmoreo l’allargarsi del coro per accogliere appunto gli stalli dei frati per le preghiere comunitarie.
Pag. 65: relativamente alla pianta della chiesa ritrovata a Rimini: perché scartare a priori l’ipotesi che il disegno non sia uno di quelli del Fontana? Dov’è la dimostrazione a contrariis? Tra l’altro la chiesa non è stata realizzata in quella maniera: la scala C non porta ad alcuna cantoria (che è sempre stata sull’ingresso della via Emilia) ma solo al convento; il cortile M non fu mai realizzato ma inglobato nella Sacrestia, le nicchie per i confessionali G non furono mai realizzate; la scala per il pulpito ed il pulpito stesso furono innalzati dalla parte opposta, gli ingressi dalla Piazza furono e sono tuttora due e non uno, l’ingresso dalla via Emilia non presenta alcuna nicchia. E se fosse il disegno di qualche tecnico locale (fatto appunto in piedi di Castel Bolognese) che così ha tradotto l’idea del Fontana? Non c’è alcuna prova scientifica a contrariis, così come l’autore non dimostra che questa pianta sia del Fabri o a lui attribuibile. Scartare l’ipotesi Fontana solo perché la pianta è in misura di Castel Bolognese non è prova pregnante: come sopra visto, anche la divisione notarile di Palazzo Ginnasi avvenuta a Roma la si è fatta sopra pianta e alzati in misura di Castel Bolognese. Ciò che invece questa pianta dice e non è stato evidenziato è, innanzitutto, la perfetta sovrapposizione, sulla via Emilia, tra questa pianta e quella di Palazzo Ginnasi sopra citata; la seconda riguarda i “granari vecchi che restano in piedi” e che in realtà solo nella parte verso la pubblica via furono mantenuti a mo’ di bassi comodi mentre quelli verso la proprietà Ginnasi furono poi demoliti. Il cortile venutosi a creare conteneva il pozzo ove gli autori sacrileghi nella notte del lunedì di Pentecoste del 1893 gettarono le teste della Immacolata e del Bambino dopo aver decapitato la Sacra Immagine. Restano oggi in questo cortile, ove nel dopoguerra è stata malamente realizzata la sacrestia, le imposte degli archi di quei granai verso Palazzo Ginnasi.
Pag. 74: per “nave maestra” di una chiesa può intendersi anche un’unica navata od aula.
Pag. 75: Padre Serafino Gottarelli apparteneva all’ordine dei Minori Conventuali e non ai Cappuccini. Sulla contestazione relativa all’ordine composito e all’ornato della chiesa dei SS. Dodici Apostoli, invito l’Autore ad una attenta visita in luogo a quella chiesa come anche alla Concattedrale di Cervia da sempre attribuita ad architetti romani e che l’Autore non cita né esamina. D’altronde è risaputo che l’ordine composito non è un ordine “nuovo” ma non convengo che esso non sia “tale da far sorgere somiglianze e paragoni”. Perché? Ogni architetto lascia la sua impronta sull’ornato: vuoi che sia lo stile della foglia di acanto del capitello, o la presenza di un pulvino (vedi Morelli in San Petronio) o l’abbellimento del riccio del capitello, o la corona di festoni sopra la trabeazione (vedi San Francesco) ecc. E guarda caso il composito e l’ornato della chiesa del Santi Dodici Apostoli in Roma è assai simile a quello di San Francesco di Castel Bolognese.
Pag. 76 con nota 131 l’Autore scrive: ”Il riferimento alla cupola del Pantheon (parlando della cupola di San Francesco) come riporta Paolo Grandi è assai esagerato e fuori luogo.” L’asserto è assolutamente scorretto ed offensivo avendo l’autore travisato ciò che io ho scritto, peraltro non in un’opera di ricerca scientifica. Infatti l’Autore ricava tale (presunto) riferimento dal sito www.castelbolognese.org, nella parte relativa alla chiesa di San Francesco sotto la voce: itinerario storico-artistico ove correttamente si legge: L’edificio che si può ammirare attualmente è quello disegnato dall’architetto Francesco Fontana, pur se mutilato in alcune sue parti: le distruzioni belliche hanno travolto il coro, che si aggettava su via Rondanini (un tempo Calcavinazze), arretrando pertanto lo spazio dietro l’altare maggiore e dividendo per sempre la chiesa dal suo convento, ora palazzo comunale, il campanile e l’ampia sacrestia che dava su Piazza Bernardi; nel dopoguerra una nuova sacrestia è stata realizzata dalla parte opposta, occupando in parte il cortile della chiesa. Il progettista romano, rifacendosi seppure in proporzioni minori all’idea del Pantheon di Roma, idealizza la forma sferica con una cupola a tutto tondo che copre un’aula ottagonale irregolare, avente quattro lati grandi, ove sono collocate le cappelle maggiori e l’ingresso monumentale, e quattro piccoli ove prendono posto gli altari minori. L’ambiente interno, ricco di luce proveniente da quattro lunette posta sopra gli altari minori e da altre quattro finestre poste nei lati corti delle cappelle maggiori, oltre un finestrone a fianco dell’altare maggiore, è caratterizzato da una buona acustica. La chiesa, piuttosto alta rispetto alle strade circostanti, è realizzata nell’ordine corinzio e misura circa m. 40 x 30, con un’altezza al culmine della cupola interna di m. 28. Ove appunto il riferimento al Pantheon è per dare al lettore un’idea d’ispirazione dell’edificio che può effettivamente contenere una sfera, e non certamente con l’intenzione di paragonare le due cupole. Oltretutto, ripeto, si tratta di un testo divulgativo, seppur basato su documenti e ricerche e non di pura ricerca scientifica.
Pag. 78: sulla pianta ottagonale: si ribadisce che la chiesa del Suffragio di Ravenna e San Francesco di Castel Bolognese sono cronologicamente le prime chiese a pianta centrale realizzate in Romagna dopo quelle paleocristiane. Mentre fino a tutta la Toscana si era iniziata la costruzione di chiese a siffatta pianta già da almeno due secoli a firma dei più grandi architetti dell’epoca. Qualcuno da fuori (e non un misconosciuto “architetto”) deve aver portato in Romagna questo nuovo stile di costruzione.
Pag. 78 nota 132. “Quando la cultura illuministica riscopre la sintesi tra modello astratto ma con forma geometrica e realizzazione nello spazio e reintroduce l’uso della pianta ottagonale come strumento ordinatore non solo di spazi centrali unitari, ma anche di organismi più complessi” si dimentica che l’illuminismo, movimento di pensiero per lo più anticlericale ed anticattolico non ha influito sull’architettura religiosa ma semmai su quella civile. Inoltre l’uso dell’ottagono o del doppio quadrato (l’otto è sempre stato il numero perfetto che rappresenta l’infinito e così lo sé l’ottagono) non si è mai persa nei secoli da parte dei costruttori di chiese: su base ottagonale è, per esempio, impostata la cupola brunelleschiana di Santa Maria del Fiore di Firenze così come l’ambiente delle tombe dei Medici in San Lorenzo.
Pag. 79: così scrive l’Autore: “L’architetto Fabri ha visto certamente altre chiese fuori del suo territorio e sa bene che la nuova tendenza architettonica dei sacri edifici va verso strutture aperte a “sala unica” molto più funzionali, più luminose con assai più visibilità dei fedeli verso il celebrante e viceversa.” Sarebbe interessante conoscere e sapere ove il Fabri si sia istruito sulle chiese a pianta centrale e quali abbia visto fuori dalla Romagna, dal momento che, si ribadisce, le prime chiese a pianta ottagonale o centrale ad essere costruite in Romagna sono, appunto, S. Maria dei Suffragi a Ravenna e San Francesco a Castel Bolognese. Quanto alla costruzione di nuove chiese continua nel XVIII secolo l’insegnamento della Controriforma: preferenza alla pianta basilicale a croce latina o a croce greca. Più limitato l’uso di piante diverse che però col manierismo sfociano in piante ellittiche (Santuario di Vicoforte, S. Andrea al Quirinale ecc.) o di particolare forma come S. Ivo alla Sapienza. E il tutto prescinde dalla migliore visibilità dei fedeli verso il celebrante e viceversa dal momento che, fino al Concilio Vaticano II il sacerdote celebrava rivolto con la schiena verso il popolo pregando in latino per cui i fedeli vedevano e comprendevano ben poco di ciò che il Celebrante faceva.
Capitolo 8, pagg 89-90. Spingersi ad ipotizzare che il Fabri abbia anche progettato la chiesa di S. Maria dei Suffragi a Ravenna appare quantomeno fantasioso per una serie di motivi legati al fatto che mentre per la chiesa di Castel Bolognese abbiamo una lettera autografa del Fontana, per Ravenna, al di là della paternità del progetto di quella chiesa a Carlo o Francesco c’è la memoria della presenza a Ravenna dell’architetto Francesco Fontana per la costruzione di Palazzo Spreti.
Pag. 92: scrive l’Autore: “di entrambi (Carlo e Francesco Fontana) si conoscono altri interventi, ma non chiese e viene da pensare che se uno dei due se fosse stato presente in Santa Maria dei Suffragi da qualche parte ed in qualche documento in qualche pagamento sarebbe risultato.” L’autore così dimentica un fatto straordinario accaduto in Romagna tra la fine del XVII secolo e l’inizio del secolo successivo: la decisione presa con Chirografo dal papa Innocenzo XII di fondare la nuova città di Cervia affidandone l’incarico nel 1697 al card. Lorenzo Corsini, fiorentino d’origine ma romano di cultura (poi papa col nome di Clemente XII) il quale richiama in Romagna il fiore degli architetti romani per la costruzione della nuova città. Afferma il Foschi: “nei documenti sono citati numerosi architetti che si susseguono alla direzione dei lavori, (di edificazione della città di Cervia ndr), da Girolamo Caccia a Francesco Fontana, da Sebastiano Cipriani ad Abramo Paris, da Antonio Farini a Cosimo Morelli, da Francesco Navone a Bellardino Petri”. (6) Naturalmente anche in questo cantiere, come in tutti i cantieri, v’era chi dirigeva il lavoro delle maestranze e costui non era quasi mai l’architetto o ideatore dell’opera specie se costui era forestiero. Il Foschi cita i nomi dei primi capi mastri muratori e dei primi capi muratori, tutti del posto.
Anzi si attribuisce la probabile paternità della pianta della nuova città da edificare, che è la Cervia che oggi ammiriamo proprio a Francesco Fontana e sempre il Fontana è l’architetto del Palazzo Priorale (comunale) (7) il quale, afferma il Foschi “deve essere venuto in Romagna proprio per il nostro Palazzo Priorale (comunale)(8). E Ravenna è così vicina a Cervia…
Uno sguardo infine merita la Cattedrale. Non si conosce il progettista ma la si fa risalire ad “architettura di gusto romano(9). Entrando ed osservandone bene la struttura questa ricorda molto una delle ipotesi avanzate da Francesco Fontana per il nuovo San Francesco, con pianta basilicale, cappelle profonde con passaggio “per il comodo dei celebranti”, stretto e profondo presbiterio.
Pag. 94: scrive l’Autore: “le due fabbriche interessate appartengono pienamente alla cultura illuministica, entrambe sono coeve e del ‘700 il secolo dei lumi.” Come già detto, l’illuminismo è un movimento assolutamente laico ed in parte anticlericale ed anticattolico che nulla ha a che vedere con la progettazione delle chiese di quell’epoca.
Pag. 95: Filippo Antolini non torna a Castel Bolognese per sistemare un convento: Non risulta gli sia mai stato richiesto, tuttavia di Filippo Antolini restano a Castel Bolognese il Tempietto Bragaldi ed il Tempietto Rossi a Biancanigo.
Pag. 95: scrive l’Autore: “L’architetto Mengoni accetta l’incarico di ristrutturare il vecchio convento ma non lascia traccia del suo lavoro”. Che l’ex convento dei Francescani sia stato trasformato dal Mengoni non si ha alcun dubbio; casomai non v’è traccia d’archivio dei disegni perché l’archivio comunale di Castel Bolognese è stato in parte disperso. Tuttavia di lui e del suo intervento a Castel Bolognese, patria della madre, parlano gli storici di quell’epoca poi non tanto lontana, se ne parla nelle sedute del Consiglio Comunale e sul volume di Oddo Diversi “Dall’ultima trincea tedesca sul Senio” è pubblicata una lettera di Mengoni datata 12 giugno 1864 che chiede notizie sui lavori di trasformazione del convento di San Francesco (10).
Alla luce delle sopra esposte osservazioni, ribadisco pertanto la richiesta d’incontro ed eventualmente una pubblica rettifica, almeno sulle parti più controverse e non dimostrate.
Con ossequio.

PAOLO GRANDI

(1) DREI I.: La Chiesa e il Convento di San Francesco (note storiche) in Il voto della Pentecoste e la tradizione religiosa castellana, studi e testimonianze, Imola, 1981.
(2) Il riferimento è a p. Serafino Gaddoni.
(3) Vedi: GRANDI P., SOGLIA A.: Gli Amonio da Castel Bolognese, Imola, 2013.
(4) GADDONI S.: Le chiese della Diocesi di Imola, vol. 1, Imola, 1927.
(5) ibidem
(6) FOSCHI U.: La costruzione di Cervia Nuova (1697-1750), Ravenna, 1997.
(7) FOSCHI U.: ibidem.
(8) FOSCHI U.: ibidem.
(9) FOSCHI U.: ibidem.
(10) DIVERSI O.: Dall’ultima trincea tedesca sul Senio – Castel Bolognese 1943-1980, Imola, 1981.

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