Chiesa di San Petronio: itinerario artistico

facciataSP1Itinerario artistico

La chiesa di San Petronio si presenta con un perfetto stile neoclassico, in un’accentuata simmetria dei volumi, con un marcato richiamo ai numeri uno, due, tre e loro multipli che è presente nell’intera opera architettonica.

La chiesa ha pianta basilicale, a tre navate divise con colonne binate; l’altare maggiore si apre in un profondo presbiterio che termina in un coro semicircolare. Colonne, pilastri e paraste, in stile ionico, sono dipinti a finte scanalature, mentre i soffitti delle navate, del presbiterio ed il nicchione del coro sono dipinti a finti cassettoni.

La facciata, in stile dorico, è in cotto lasciato scoperto e limato a calce tinta. Tripartita, si alza al centro in corrispondenza della navata centrale, sorretta da paraste che reggono il timpano con sottostante arcone “termale” nel quale si apre un grande lunetta che illumina la navata maggiore. Al di sotto v’è la porta centrale coronata da un timpano triangolare. Nelle ali più basse vi sono le porte che danno accesso alle navate laterali, coronate da timpani semicircolari; sopra ognuna di esse è posta una finestra che dà luce alla navata.

L’interno colpisce per la grandiosità. Mentre le navate laterali sono scandite da architravi che le dividono in tre parti corrispondenti alle cappelle, coperte con volta a vela, la navata mediana è voltata a botte per tutta la sua lunghezza. Un’alta volta a crociera sovrasta la cappella maggiore. Il pavimento, di marmo policromo, è opera recente, essendo stato posato dal 1937 al 1940 per iniziativa dell’arciprete Giuseppe Sermasi, su disegno dell’architetto Francesco Bagnaresi e dell’Ing. Ugo Ortolani. Oltre la lunetta e le due finestre poste in facciata, illuminano la chiesa quattro lunette poste sopra le cappelle laterali, due poste sopra il presbiterio e due grandi finestre nel coro. Ventri ed infissi sono di recente fattura e sono stati posti in opera nel 1972 durante importanti lavori di restauro e ripristino del coperto.

Durante la sosta del fronte di guerra sul fiume Senio, nel 1944-45, la chiesa riportò gravi danni soprattutto nella zona della sagrestia e nella navata centrale sfondata, dalla metà dell’abside, dal campanile crollatovi sopra.

In controfacciata è dipinto un grandioso arco trionfale che porta in cima lo stemma Mastai – Ferretti in ricordo di papa Pio IX, già Vescovo di Imola ed amico dell’arciprete Tommaso Gamberini. Ai lati del portone due lapidi ricordano i benefattori della chiesa.

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L’interno della chiesa

La navata destra

All’ingresso della navata destra, nel vestibolo in basso, pietra sepolcrale di Bessarione Gambarelli (1581) e, sopra, epitaffio del 1844 dedicato a don Francesco Favolini che arricchì la chiesa di numerose suppellettili; dalla parte opposta, lapide a ricordo dell’arciprete Paolo Andrea Camerini del 1835. La prima cappella è dedicata a Santa Teresa del Bambino Gesù; l’altare è di scagliola dipinta a finto marmo, mentre l’ancona è dipinta con finte prospettive. Nella nicchia è collocata una statua in gesso della santa francese donata dalla nobildonna castellana Maddalena Gottarelli che l’acquistò nel 1925 in Francia durante un pellegrinaggio al santuario di Lisieux. La seconda cappella è dedicata alla B. V. della Consolazione o della Cintura. Altare ed ancona sono di scagliola dipinta. L’immagine affrescata della Madonna in atto di abbracciare il Bambino è la stessa venerata nella precedente chiesa e davanti ad essa si costituì la Confraternita della Cintura, emanazione dell’Ordine Agostiniano, che si richiama alla tradizione secondo la quale la Vergine apparve a Santa Monica, madre di Sant’Agostino, preoccupata perché il figlio tardava a convertirsi al cristianesimo, che la consolò assicurandone il ravvedimento e donandole la sua cintura come pegno del uso celeste intervento. Sull’altare si può anche ammirare un’immagine di Gesù Bambino, rivestita di un prezioso abito del XVIII secolo, proveniente dalla bottega dei Ballanti di Faenza. Pilastri e sottarco della cappella sono adorni di tredici ovati che raffigurano gli apostoli ed il Redentore, opera di un pittore popolare, forse Francesco Borghesi di Castel Bolognese detto Giapitèn. In due nicchie laterali sono esposte le statue di Santa Monica e di Sant’Agostino di autore ignoto. Sul pavimento, di fronte a questa cappella, è indicato il luogo in cui si conservano le spoglie di Francesca Barbieri, traslate in San Petronio il 6 giugno 1816 dalla chiesa del Corpus Domini. Nel 1940, nel corso dei lavori di pavimentazione, venne aperta la cassa contenente i resti della mistica castellana e fu ritrovato, in un’ampolla sigillata con la ceralacca, uno scritto, il cui contenuto risultava identico a quello riportato a mano accanto al nome della pia defunta nel libro dei morti del 1791 conservato nell’archivio parrocchiale. L’ampolla fu di nuovo sotterrata. La terza cappella è dedicata al Sacro Cuore di Gesù; altare ed ancona sono di scagliola dipinta a finto marmo; la statua nella nicchia, in legno, è opera dello scultore imolese Gioacchino Meluzzi (1884-1953) e data dei primi del ‘900. Chiude la navata un portale con timpano semicircolare che nasconde il retrostante campanile; una piccola porta conduce in Sagrestia. Sul portale è dipinta a finta prospettiva un tenda verde, raccolta da due lati, opera del pittore imolese Tommaso Dalla Volpe (1883-1967). A lato, statua in cartapesta di San Giuseppe, opera di Enrico Dal Monte (1882-1968) della prima metà del XX secolo. Sopra il portale, grande epigrafe che ricorda la consacrazione della chiesa fatta dal cardinale Gregorio Barnaba Chiaramonti, di cui si ammira lo stemma, il 2 marzo 1788 ed il divieto, per ragioni igieniche, di seppellire i morti all’interno della chiesa. questo il testo:

GREGORIUS BARNABAS CLARAMONTIUS CARD.
IMOLEN. EPISC.
TEMPLUM NOVUM AUSPICIIS SUIS ABSOLUTUM
MULTIPLICI SUPELLECTILE A SODALITATIBUS AUCTUM
CONCLUSIT IN ARA MAXIMA PARTICULIS EX OSSIBUS MARTYRR. SS.
THEODORI JUSTINI AURELIANI SEVERAE
EXPIAVIT CONSECRAVITQUE VI NONAS MARTIAS AN. MDCCLXXXVIII
CUJUS DIEI SACRUM ANNIVERSARIUM IN FASTOS
AN XI KAL. NOV. RELATUM EST
IDEM UT LOCI SALUBRITATI DIGNITATIQUE PROSPICERET
SEPULCRA IN SOLO INTERIORE FIERI VETUIT

La navata sinistra

All’entrata ci accoglie il Fonte Battesimale, al quale si accede attraverso un cancello di ferro battuto del ‘700. Il Fonte è costituito da una vaschetta ottocentesca di pietra gialla di Verona. A sinistra, è conservata una vaschetta di fine del XVI secolo attorno la quale si legge: [PETRUS] MARIA?GOTTARELIUS?RECTOR. Un dipinto ad olio, di anonimo del XVIII secolo, raffigurante il Battesimo di Gesù, un tempo esposto sopra il Fonte Battesimale, è oggi conservato nel Museo Parrocchiale. Dalla parte opposta è collocato l’epitaffio del XIX secolo in memoria dei fratelli Domenico Maria e Giuseppe Contoli, stimati sacerdoti castellani ed insigni umanisti. La prima cappella della navata sinistra accoglie la Visitazione della Vergine a Santa Elisabetta, capolavoro di Alfonso Cittadella (1497-1537), detto Lombardi. Dello stesso autore sono le due statue appoggiate alle pareti laterali raffiguranti San Girolamo (a sinistra) e San Lorenzo (a destra). Ancona ed altare sono di scagliola dipinta e sopra quest’ultimo sono state collocate dopo il recente restauro due statue in terracotta raffiguranti San Girolamo (a sinistra) sempre del Lombardi e San Giovanni Battista (a destra) di Ottavo Toselli da Bologna (1695-1777). Tutte le statue della cappella provengono dalla chiesa sconsacrata di Santa Maria della Misericordia.

Nella seconda cappella si può ammirare una pala del XVIII secolo, attribuita a Benedetto del Buono da Lugo (1711-1775), rappresentante i Santi Emidio e Domenico con un altro Santo martire. Sant’Emidio, Vescovo di Ascoli Piceno, era invocato come protettore nella circostanza del terremoto. La pala presenta in alto una finestra in cui si vede l’originale della Madonna del Rosario, proveniente dalla chiesa del Rosario Vecchio, raffigurazione tardogotica (fine ‘400), attribuita a Giovanni da Riolo. I pilastri ed il sottarco della cappella sono adorni di tavolette rappresentanti i quindici misteri del Rosario, di cui una andata perduta, databili intorno al XVI secolo. Anche questi ovali provengono dalla chiesa del Rosario Vecchio. L’altare è in marmo e l’ancona è di scagliola dipinta. Appesi alle pareti laterali due quadri: San Francesco di Paola (a sinistra) e San Giovanni Bosco (a destra) entrambi di autore ignoto.

La terza cappella è dedicata a San Michele Arcangelo e fu giuspatronato della famiglia Zacchia-Rondinini. L’altare, ad urna, e l’ancona sono di scagliola. Il quadro, del XVII secolo, esposto raffigura San Michele Arcangelo vestito da guerriero romano con le ali aperte e le vesti svolazzanti sulla corazza, nell’atto di calpestare una sirena ovvero una figura demoniaca. Ha il capo aureolato da doppia corona di cherubini; accenna con la destra al cielo e nell’altra mano tiene una palma della vittoria. Nello sfondo paesaggistico si intravede, nel lago tra colline, un vecchio sopra una barca che ha la visione del Padre Eterno uscente dalle nubi; sulla riva del lago l’incontro tra San Martino ed il povero. La pala è stata attribuita da Antonio Corbara a Francesco Longhi, pittore ravennate.

Chiude la navata un portale con timpano semicircolare che immette nella cappella invernale o della Madonna di Lourdes. A lato, statua in cartapesta di Sant’Omobono, opera di Ballanti detto Graziani (1762-1836). Sopra il portale, grande epigrafe che ricorda la costruzione della chiesa dopo il terremoto del 1781 e la posa della prima pietra per opera del Cardinale Gian Carlo Bandi, di cui si ammira lo stemma. Questo il testo che elogia la generosità del porporato che condonò alla Confraternite di Castel Bolognese il pagamento del denaro destinato alla costruzione dell’Ospedale di Imola:

IOANNI CAROLO BANDI CARDINALI
EPISCOPO FOROCORNELIENSI
QUOD PECUNIAM A SODALITATIBUS CASTRI BONONIENSIS
IN CONSTRUCTIONEM NOVI VALETUDINARIJ IMOLENSIUM
EX PONT. MAX. AUCTORITATE CONFERENDUM
BENIGNE EIJ LIBERALITERQUE CONDONAVIT
UT ADIECTIS EX REDITU ARCHIPRESBITERATUS SCUT.M
GRAVISSIMIS TERRAE MOTIBUS PENE DIRUTUM
SOLO AMPLIATO A FUNDAMENTIS REFICERENT
QUODQUE EJUSDEM TEMPLI LAPDEM AUSPICALEM
RITE STATUERIT
ANTISTITI OPTIMO ET INDULGENTISSIMO
SODALITATES IPSAE M. PP.
AN. MDCCLXXXVI

Per un breve corridoio ove sono stati collocati i resti dell’antico fonte battesimale e la Madonna con l’uccellino, bronzo di Angelo Biancini (1911-1988) datato 1960, si accede alla Cappella della Madonna di Lourdes. Il locale fu costruito quale seconda sacrestia, perfettamente simmetrica a quella presente in fondo alla navata destra, ma ha avuto nel corso dei secoli diverse destinazioni ed ultimamente era adibita in parte a cappella della grotta di Lourdes ed in parte a magazzino. La recente sistemazione, che ha interessato anche il corridoio d’ingresso e l’attiguo locale che ospita l’impianto di riscaldamento, è stata voluta dall’attuale Arciprete mons. Gian Luigi dall’Osso e realizzata nel 1998. La Cappella ospita nel fondo una imitazione della Grotta di Lourdes; i massi di roccia, estratti dalla vena del gesso nel Casolano, furono mandati nel 1933 dal sacerdote castellano don Francesco Bosi, Priore di Valsenio. Appesi alle pareti sei pannelli di rame, raffiguranti i quattro Evangelisti, la Madonna con la torre di Castel Bolognese, l’Ultima Cena, opera del castellano Mario Biancini (seconda metà del secolo XX), oltre ad un crocifisso ligneo del XVIII secolo e due lampioni processionali. Le maniglie della porta vetrata sono opera in ceramica di Angelo Biancini.

La Cappella Maggiore

Al suo centro è posto l’altare maggiore che l’Arciprete Tommaso Gamberini fece ricoprire in scagliola a finto marmo nel 1867. In fondo al coro una grande ancona racchiude la Crocifissione, altra importante opera del Lombardi, proveniente dalla soppressa chiesa di Santa Croce. Ai lati del Crocifisso stanno San Giovanni Evangelista e la Madonna, mentre Maria Maddalena abbraccia la croce. La critica ritiene che le opere del Lombardi presenti a Castel Bolognese appartengano all’ultima fase della produzione dell’artista “in cui l’accademismo romano cede il posto all’accademismo emiliano, e alla grandiosità raffaellesca subentra una ricerca di grazia, ispirata alle stucchevoli raffinatezze del Parmigianino”. Il gruppo statuario è inserito in un paesaggio, tempera sul muro, opera di Romolo Liverani (1809-1872). Solitamente la Crocifissione è coperta da un sipario dipinto nel 1941 da Tommaso Della Volpe, rappresentante il trionfo della Croce.

Sopra la nicchia, entro un ovato impreziosito da due statue di angeli, c’è un dipinto ad olio su tela con busto di San Petronio, copia di altro a tempera opera di Felice Giani (1758-1823) oggi conservato nel museo Parrocchiale.

Sopra la cantoria a sinistra dell’altare maggiore è collocato il quadro di San Petronio, opera datata 1786, di Angelo Gottarelli (1740-1813). Raffigura il Patrono con paramenti pontificali, portato in trionfo sopra le nubi, sotto le quali si profilano in sintesi i panorami di Bologna e Castel Bolognese.

Sotto la cantoria a destra dell’altare maggiore un epitaffio indica il luogo in cui sono conservati i resti mortali dell’Arciprete Tommaso Gamberini (1812-1888), qui traslati per mantenere duratura memoria delle benemerenze pastorali di don Gamberini, amico personale di papa Pio IX, corrispondente di Antonio Rosmini, parroco in uno dei periodi più vivaci della storia di Castel Bolognese.

Altre opere d’arte

Si segnalano i quadretti della Via Crucis, incisioni all’acquaforte, datate 1779, provenienti dai torchi veneziani di Giuseppe Wagner.

Tra due colonne della navata centrale, di fronte al pulpito, è collocata un’imponente statua di San Petronio. Il simulacro, esposto per la prima volta alla pubblica venerazione il 4 ottobre 1877, fu mandato in dono da Roma da papa Pio IX ai fedeli di Castel Bolognese; è copia dell’originale ligneo duecentesco conservato nella Basilica di San Petronio di Bologna.

L’organo

Un piccolo organo esisteva nel 1574; il secondo fu fatto nel 1589 a spese dei fedeli e della comunità, la quale elargì 100 scudi, un terzo fu acquistato a Bologna dall’arciprete Guarini il 6 settembre 1691, costruito da Francesco Traeri di Brescia. Restaurato nel 1757 dal Bolognese Pietro Giovagnoni e nel 1789 da Domenico Gentilini di Medicina, subì nel 1810 un completo rifacimento, eseguito dal rinomato organaro Pietro Cavaletti di Parma, a spese dell’arciprete Domenico Contoli e di don Francesco Favolini. Questo prezioso strumento però col crollo del campanile nell’inverno del 1944. Il quarto organo fu costruito dalla “Organaria Marciana” di Venezia nel dopoguerra e venne inaugurato nel 1962, pagato in parte dallo Stato in conto dei danni di guerra ed in parte dai fedeli e dell’Arciprete Sermasi. Tale strumento si dimostrò però ben presto inadeguato. L’attuale, inaugurato il 18 dicembre 1982, costruito dalla ditta “Fratelli Ruffatti” di Padova, è stato realizzato grazie al lascito testamentario del defunto Arciprete Giuseppe Sermasi.

La Sacrestia

Il locale adibito a sacrestia è posto al termine della navata destra, oltre il campanile. Vi si può ammirare un grandioso armadio, proveniente dalla sagrestia della distrutta Chiesa del Pio Suffragio, opera di Luigi Beccarini di Castel Bolognese nella prima metà del XVIII secolo; altri due begli armadi coevi affiancano la finestra. Alle pareti sono esposte varie tele: Sant’Elena, di ignoto del XVII secolo ove la Santa è rappresentata mentre regge la croce davanti ad una finestra; Madonna del Carmine della Scuola di Tommaso Missiroli, secolo XVII; Santo Stefano di anonimo locale del secolo XVII – XVIII dove il santo è rappresentato a figura intera in dalmatica e regge un giglio ed una palma sulla mano destra; Sant’Omobono attribuito ad Angelo Gottarelli ove il Santo è in piedi a destra e guarda con ispirazione una luce che scende dall’alto tra cherubini, mentre a sinistra un garzone lavora al banco del sarto; Madonna addolorata e Cristo deposto di ignoto del XVIII secolo con la scena della Madonna col precordio trafitto da sette spade che siede ai piedi della croce e contempla desolata il Cristo morto; la morte di San Giuseppe, di ignoto di scuola Bolognese del XVIII secolo, la cui composizione ricalca quella famosissima del Franceschini; I santi Leo e Marino, anonimo, forse di scuola imolese del XVIII secolo dove la scena presenta la decapitazione dei due santi; ed infine San Francesco di Geronimo di ignoto, datato 1811, ove è raffigurato il Beato a capo scoperto, in stola e cotta abbraccia il Crocifisso.

Il campanile

Del campanile a sud-est della vecchia chiesa, costruito nel 1438, si hanno vari ricordi. Nel 1653 è descritto alto e con tre campane; nel 1698 viene detto “alto circa 80 piedi (m. 35,17) e il coperto è fatto a pigna perfetta; vi sono due campane grandi et una piccola” e nel 1740 “di costruzione elegante,con tre campane, ma col pinnacolo o guglia cadente”. Fu imposto più volte alla Comunità il restauro ma non sappiamo se fosse eseguito. Vari danni subì col terremoto del 4 aprile 1781, soprattutto la guglia che dovette essere demolita, non però da alcun capo mastro del paese, poichè nessuno ebbe l’ardire di accingersi a tale opera pericolosa: Don Giulio Ortolani, cappellano dell’arciprete, con ammirevole coraggio intraprese e compì da solo tale lavoro, per cui in segno d’ammirazione furono pubblicate alcune poesie. La guglia fui poi ricostruita nel suo antico stile. Il campanile resistette sino alla vigilia di Natale del 1944 quando un bombardamento lo fece crollare sino a poco oltre l’altezza della navata, rovinando nel presbiterio. Nel dopoguerra venne ricostruito, ma la cella e la guglia furono disegnati diversamente dal precedente. La parte bassa tuttavia, sino all’altezza della prima finestra, appartiene ancora alla primitiva costruzione.

Il concerto delle campane

Nel campanile di San Petronio sono ospitate quattro campane ivi collocate nel 1949. Le precedenti furono fuse nel 1816 a cura dell’Arciprete don Francesco Favolini dalla fonderia dei Fratelli Baldini di Roncofreddo e furono benedette l’otto novembre dello stesso anno dal Card. Antonio Rusconi Vescovo di Imola. Il Gaddoni riferisce che pesavano libbre 1.200, 650, 390, 370 rispettivamente. La requisizione del bronzo promossa dallo Stato non le toccò: ci pensò la guerra a travolgerle assieme al campanile verso le 12 della vigilia di Natale del 1944.

Le attuali campane vennero fuse nella fonderia bolognese del Cav. Cesare Brighenti e corrispondono alle note Do (grossa), Fa (mezzana), Sol (mezzanella), La (piccola); hanno un suono gradevole ed argentino che si spande nella campagna attorno per molti chilometri, tanto che la grossa viene sentita fino a Celle di Faenza. Arrivate a Castel Bolognese la sera del 28 maggio 1949 furono benedette il giorno successivo e nei seguenti furono issate. Il 2 giugno verso le 20 si suonarono i primi “doppi” fra il giubilo della popolazione.

La campana grossa, del peso di Kg. 519, dedicata al Sacro Cuore di Gesù, alla Madonna della Cintura, a San Petronio e a San Michele Arcangelo porta la seguente epigrafe:

“Conflatum A. MDCCCXVI sumpto sac. Francisci Favolini / Destructum immani bello a. MCMXLIV / denuo fundor in honoris S.S. Cordis Jesu Mariae a Cingulo / Petronii ep. Castri Bon. Patr. Max. Michaeli princ. mil. coel. / Et in obsequium erga fratris Scardovi huius eccl. Benefact. A. MCMXLIX”. La campana mezzana, del peso di Kg. 367, dedicata a Gesù Cricifisso, alla Madonna del Rosario, a Sant’Antonio da Padova e a San Francesco di Paola, porta la seguente epigrafe: ” Refectum A. MLCCCXVI Add. Novo aere sumptoq. Sac. F. Favolinus / Tormenti bellici ictibus confractum A. MCMXLIV / restitutum in hon. Crucifixi D.N.J.C. B.V. a Rosario Antonii Pat. Francisci Pauli / et in memoriam observantiae erga fratres Dalpane benefact. A. MCMXLIX”. Nella mezzanella, pesante kg. 264, dedicata alla Madonna Addolorata, a San Giuseppe, a San Domenico e a San Luigi Gonzaga, compare la seguente epigrafe: “Me fudit piets sac. F. Favolinus A. D. MDCCCXVI / bellum saevis comminuit dispersi A.D. MCMXLIV / Respubl. Italica restitutum in hon. B.V. perdolentis / Joseph Univ. Eccl. Patr. Dominici Patris Aloisius Gonz.”. Infine questa è l’epigrafe della campana piccola, il cui peso è di kg. 126, dedicata alla Madonna di Lourdes, a Sant’Antonio Abate, a Sant’Agnese, a Santa Teresa del Bambin Gesù: “Fusum A. MDCCCXVI impensa sac. F. Favolini / e ruinis post bellum eductum reficior / iterum. tinnio in hon. Dominae Nostrae a Lourdes nuncup. / Antonii Senioris Agnetis V.M. Theresiae a Jesu Infante A. MCMXLIX”.

Campane e campanile di San Petronio da sempre vigilano sulla vita cittadina. Loro fedele e geloso custode è Marcello, sagrestano e campanaro, figlio d’arte, avendo imparato il mestiere dal padre Sebastiano, per tutti Basciàn. Una squadra di campanari è al servizio del concerto per le solennità, esibendosi in “doppi” e “tirate basse”, a volte in gara con altre squadre.

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Foto scattata in occasione della benedizione delle campane (28 maggio 1949)

Il giuggiolo secolare

Merita la dovuta menzione una pianta di giuggiolo cresciuta nel cortile a ridosso del muro della chiesa non lontano dal campanile. L’albero, che offre gustosissimi frutti all’inizio dell’autunno, potrebbe essere stato piantato all’epoca della costruzione della chiesa, oppure essere più antico.

Paolo Grandi

Galleria fotografica

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Pianta dell’attuale chiesa:

  1. cappella di Santa Teresa di Lisieux
  2. cappella della Madonna della Consolazione
  3. Cappella del Sacro Cuore
  4. Statua di San Giuseppe
  5. campanile
  6. sagrestia
  7. altare maggiore
  8. il calvario del Lombardi
  9. quadro di San Petronio
  10. cappella della grotta di Lourdes
  11. Madonna dell’Uccellino
  12. resti dell’antico fonte battesimale
  13. statua di Sant’Omobono
  14. cappella di San Michele Arcangelo
  15. cappella di Sant’Emidio
  16. cappella della Visitazione del Lombardi
  17. fonte battesimale
  18. statua di San Petronio
  19. giuggiolo secolare

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