Pentecoste a Castel Bolognese prima della Sagra

di Paolo Grandi

Una doverosa premessa (18 aprile 2020)

La notizia di questi giorni che il COVID-19 ha sconfitto anche la Sagra di Pentecoste ha lasciato molto turbamento negli animi dei Castellani. Infatti perdere la “festa grossa”, quella dove si riversano in piazza migliaia di persone, soprattutto da fuori, significa abbattere un pezzo del nostro Castello. Ma diversamente non si sarebbe potuto fare. E perciò non si può che dire saggia e prudente la decisione presa dal Sindaco e dalla Pro Loco organizzatrice della Sagra. Se si pensa infatti al lavoro che c’è dietro l’allestimento di questa festa (e vi parlo da ex segretario della Associazione Pro Loco dal 1976 al 2000) non si può che convenire che diversamente non si sarebbe potuto fare. Pensiamo, per esempio, al confezionamento dei Cappelletti e dei Tortelloni, che sarebbe dovuto iniziare già in queste sere assiepando in un qualche locale quasi 100 persone; o all’allestimento del palco, agli addobbi delle piazze e delle strade, alla organizzazione della sfilata delle Parrocchie, alla pianificazione di tutte le iniziative collaterali ma, soprattutto, al concorso di popolo nei giorni della festa. Parliamo, certamente, di un tempo in cui, ci auguriamo, la grande paura sarà terminata e la ripresa delle attività sarà già iniziata, ma ciò non farà venir meno tutte le attenzioni che si dovranno mantenere ancora per molto tempo, tra le quali il divieto di assembramento e il mantenimento della distanza di sicurezza.
Ed in attesa che la Parrocchia annunci, in base alle decisioni prese assieme alla Diocesi, come celebrare le funzioni religiose, che rivestono carattere di particolare solennità e pure queste provocano concorso di folla sia in chiesa che durante le Processioni, a qualcuno possono sorgere varie domande: ma la Sagra è sempre esistita dal 1631 ed ha sempre avuto quelle scansioni temporali? La Sagra e/o le funzioni religiose sono mai state rinviate o soppresse? A queste domande vuole dare risposta questo mio scritto che anticipa un capitolo di un volume che sto scrivendo, con l’aiuto della Associazione Pro Loco, sulla Sagra di Pentecoste.

Il rinvio delle Feste Votive in onore della Immacolata Concezione

Ciò premesso, sfogliando le memorie storiche della Parrocchia, non si rinvengono anni nei quali le Feste Votive di Pentecoste siano state sospese. Solo nella Pentecoste del 1893 si ebbe la sospensione delle feste votive del Lunedì e del Martedì (e la conseguente sospensione di quelle civili del lunedì) a causa dell’oltraggio all’Immagine della Immacolata Concezione perpetrato nella notte tra la domenica ed il lunedì. Queste furono recuperate nel successivo mese di settembre in un triduo tra venerdì 22 e domenica 24 settembre, ma senza processioni.
La Pentecoste non si fermò durante l’epidemia di colera del 1855 ove don Gamberini annota che il primo focolaio durò da febbraio ad aprile, ma il mese di maggio e la Pentecoste si svolsero regolarmente, mentre il contagio si rifece vivo a luglio (1). Negli anni della Prima Guerra Mondiale don Garavini annota: “il 24 maggio (1915 – lunedì di Pentecoste ndr) l’Italia, dopo varie tergiversazioni e una vasta campagna tenuta dagli interventisti, mentre i neutralisti si sforzavano a tutto potere di controbatterli, dichiarò guerra agli Imperi Centrali schierandosi con la Triplice Intesa. Per prima conseguenza, le Feste tradizionali di Pentecoste si svolsero meno serenamente degli anni scorsi; e il nuovo Cappellano Don Giovanni Cardelli dopo poco più di un anno dovette assentarsi, richiamato sotto le armi. L’Immagine della Concezione fu lasciata sull’altar maggiore di San Francesco fino al venerdì seguente per un triduo propiziatorio e per la vittoria delle nostre armi.” (2) Annota tuttavia don Garavini che “dal 1916 viene requisita la vasta chiesa di San Francesco per depositarvi il grano di produzione locale, anticipando così i futuri ammassi della guerra italo-abissina. La statua dell’Immacolata viene trasportata all’altar maggiore e chiusa dentro un grande confessionale posto sul ponte a tergo a foggia di nicchia con la sua saracinesca, e quella di San’Antonio da Padova è posta sopra un tavolo a destra dell’altare vicino al muro. Dov’è situata la balaustra di marmo si alza un assito verso certa altezza e più in alto si divide così la chiesa coi teli neri del Pio Suffragio per isolare così completamente il Presbiterio e il coro dalla chiesa la quale resta in mano dell’Autorità civile. L’accesso avviene naturalmente dalla scala e dal piccolo corridoio che immette direttamente sia alla Sacrestia che al coro. Quindi le feste principali della Madonna si fanno in San Petronio, le altre si omettono completamente. Però ogni anno la Pentecoste si fa in San Francesco perché allora la chiesa è vuota. Anzi qualche anno vi si è celebrata anche la festa della Concezione.(3) Correggendosi poche righe dopo così: “Contrariamente a quanto è scritto più sopra riguardo l’ammasso del grano nella chiesa di San Francesco, questo vi si conservava dentro dalla trebbiatura fino alla novena della Concezione. Prima dell’inizio della medesima si trasportava in altri locali il grano rimasto e la chiesa restava libera fino a dopo le feste di Pentecoste. Così è avvenuto negli anni 1916 e 1917”. (4) Nel 1918 si ritiene che le Feste Votive abbiano avuto regolare svolgimento, probabilmente in forma ridotta nella pompa, in quanto non vi sono particolari annotazioni.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, sostanzialmente, fino al 25 luglio 1943, forti della rassicurante voce del Duce che gridava “vincere!” gli italiani e quindi anche i castellani non dovevano pensare a quella guerra lontana, anche se qualcuno aveva amici e familiari al fronte o nelle Forze Armate, e la vita doveva continuare a svolgersi regolarmente. Ergo le feste di Pentecoste del 1940 (che peraltro furono celebrate nei giorni 12, 13 e 14 maggio, prima di quell’infausto lunedì 10 giugno) del 1941, del 1942 e del 1943 avvennero con la solita solennità. Non così probabilmente fu la Pentecoste del 1944 svoltasi il 28, 29 e 30 maggio; nel mese di marzo c’erano stati alcuni bombardamenti, il fronte si stava avvicinando ed in luglio si sarebbero ripetute altre incursioni aeree. Tuttavia nessun cronista e/o storico riferisce alcuna notizia. Sulla Pentecoste del 1945 invece abbiamo di nuovo la cronaca di don Garavini il quale, ricordando che, a causa dei danni bellici le chiese di San Petronio e di San Francesco erano inagibili, annota che fu rimessa in uso la chiesa, pur sconsacrata, di Santa Maria dello Spedale e così scrive: “Le Rogazioni (le processioni delle Rogazioni si facevano durante l’Ascensione che, all’epoca, veniva 10 giorni prima della Pentecoste, quindi il giovedì 10 maggio e si ripetevano i successivi giorni di venerdì e sabato NDR) quest’anno non si sono fatte, ma in detta chiesa (cioè Santa Maria dello Spedale NDR) si sono celebrate le Feste di Pentecoste (20, 21 e 22 maggio NDR), addobbando un po’ la chiesa e portandovi privatamente la statua della Madonna. Il baldacchino si prendeva ogni mattina da S. Francesco ove era montato al suo solito posto sotto l’orchestra che subito dopo la guerra aveva il coperto quasi intatto. Causa il viavai continuo e quasi caotico degli automezzi alleati lungo la Via Emilia, si è creduto opportuno cambiare itinerari. La domenica si è fatto il giro solito a farsi l’ultimo giorno, passando solo per la piazza ma non per la Via Emilia, con fervorino improvvisato da P. Damiano Cappuccino nella Piazzetta Fanti detta del Suffragio; il lunedì si è fatto il giro solito (Via Garavini, Biancini, Bragaldi ecc.) con fervorino del Minore Francescano P. Alessandro Mercuriali Guardiano dell’Osservanza a Imola nella Piazza Camerini; il martedì, usciti da S. Maria, si è proceduto per il Borgo, e per i Viali Cappuccini, Marconi e Roma sostando nel Prato della Filippina all’altezza di Via Poggi detta “la fonda” per il fervorino detto dal Priore Don Francesco Bosi, poi si è andati direttamente non più a S. Maria, ma alle Suore Domenicane, dove l’Immagine provvisoriamente si conserva come si è già accennato sull’altare della Mercede. Però al ritorno è stata collocata sopra un tavolo a cornu Evangelii e la sera si è chiuso il triduo col Te Deum solito e la benedizione Eucaristica. La funzione del Battistero, sospesa per ordine della Curia Vescovile il Sabato santo per mancanza degli Olii Santi, si è fatta il sabato vigilia di Pentecoste nella Cappella delle Maestre Pie, andando al fonte di San Petronio per la benedizione dell’acqua, e dopo la Messa nella Cappella della Maestre Pie si è fatta la solita processione votiva per la preservazione della peste del 1630-31 nell’attiguo cortile.” (5)
Dal 1946 le Feste Votive riprendono il consueto vigore, la loro solita solennità ma non sono più celebrate in San Francesco, causa i danni ricevuti da quella chiesa, ma in San Petronio seppure, almeno per quell’anno con le dovute cautele in quanto anche il presbiterio di San Petronio era in fase di restauro. Nel 1949 proprio per Pentecoste ritornarono a suonare le campane di San Petronio; nel 1954 fu adoperato per la prima volta il carro processionale per il trasporto dell’Immagine, che si utilizza tuttora. In precedenza la pesante statua era sorretta sulle spalle di otto portatori! In San Petronio si tennero le Feste Votive fino alla Pentecoste del 1964. Il 3 giugno 1965 fu infatti solennemente riaperta dopo i restauri la chiesa di San Francesco e “nella sera del 4 giugno 1965, la venerata Immagine della Madonna Immacolata fu restituita al tempio di San Francesco. Un corteo interminabile di fedeli con fiaccole in mano, convenuti anche dalle parrocchie vicine, precedeva la Sacra Immagine al canto di inni sacri alternati al suono della banda. Luci multicolori brillavano alle finestre delle case nella oscurità della notte incominciata. Un caloroso applauso salutò la Vergine nel suo solenne ingresso in San Francesco, dove fu innalzata sull’altare maggiore in uno splendore di luci e di addobbi. Nei giorni 5, 6, 7 giugno seguirono le tradizionali festività di Pentecoste. Al pomeriggio della domenica ebbe luogo in San Francesco la funzione solenne e commovente per gli ammalati; la Santa Messa vespertina fu officiata dal…” E non sapremo mai chi officiò quel rito perché qui termina la cronaca parrocchiale. Don Garavini morì poco dopo.
Il rischio della sospensione delle feste si paventò nell’anno in cui l’Immagine della Vergine precipitò dalla macchina che l’innalza sull’altare di San Francesco; accadde il 24 maggio 1980, il sabato mattina che precede la Pentecoste; mentre Tino e Cavurì stavano facendo scendere l’Immagine per provvederne il cambio del vestito questa, per un moto inconsulto della macchina, precipitò frantumandosi. Tino e Cavurì rimasero illesi e la chiesa fu subito chiusa. Ad una prima ricognizione si vide, con sollievo, che almeno le teste della Vergine e del Bambino non avevano subito danni. Subito fu chiamato il dott. Corbara e si lì presero alcune decisioni per salvare, almeno, le imminenti feste. Fu chiamato Pavièt, il falegname che aveva bottega in piazza Borghi, noto anticlericale, che, commosso per l’accaduto, piangendo, riuscì a fabbricare un’intelaiatura di legno per conservarvi all’interno i frammenti di terracotta che nel frattempo il dott. Corbara assieme ad altri avevano raccolto e innalzarvi le teste, coprendo poi il tutto con i soliti vestiti. Così rassettata, l’Immagine, con mille precauzioni, fu rimessa in alto alla vista del popolo: le celebrazioni erano salve. Non così fu per le Processioni, che si fecero comunque ma portando in Processione l’immagine della Madonna della Cintura, che si conserva in San Petronio.

E la festa di piazza?

La festa della Pentecoste, a Castel Bolognese, è noto derivarsi dal voto fatto dai castellani nel 1630 quale ringraziamento rivolto all’Immacolata Concezione venerata nella chiesa di San Francesco, per l’avvenuta preservazione dalla peste.
È pure noto che, come riferisce l’Emiliani nel suo “Sunto Storico di Castel Bolognese” (7)…Orbene, nell’anno 1630 infieriva nelle Romagne la peste, dalla quale peste – così testimoniano alcuni documenti – rimase completamente salvo Castel Bolognese, quantunque tutti i vicini Paesi ne fossero acerbamente colpiti. Si volle pertanto del Popolo castellano ritenere che tale preservazione fosse una speciale grazia della Madonna della Concezione – e questa opinione è tuttora viva nel popolo castellano – alla quale Madonna furono rivolte in quei giorni pubbliche preghiere. Onde perché fosse tramandata ai posteri la memoria di tale grazia speciale, fu fatta incidere una lapide, che venne poi murata in un fianco della Cappella dedicata in San Francesco alla Concezione ove vedesi tuttora, e venne fatto dipingere un quadro allusivo. Non contenti poi i Castellani di quell’epoca, delle memorie suddette, vollero aggiungervi un voto popolare, che infatti fu palesemente pronunziato nel giorno 15 giugno di quello stesso anno 1630. Consistette tale voto popolare nello stabilire, che solennemente fosse festeggiata quella statua della Concezione in ogni anno e nei tre giorni della Pentecoste. E da quell’anno e in quei tre giorni, tutto il popolo castellano, anche campagnolo proveniente nella Piazza con carri agricoli e carrioli, festeggia con lodi, canti, danze e libagioni la Festa della Pentecoste…
Che la Pentecoste fosse occasione di fiera, specialmente di bovini e bestiame nel giorno del lunedì, vi sono documenti che risalgono fin dal XVII secolo, memorie e testimonianze che ne parlano: per esempio, quella rilasciata da Teresa Muccinelli ad Ubaldo Galli in occasione dei suoi 100 anni nel 1984 quando parlò di ciò che avvenne il lunedì di Pentecoste del 1893 quando fu scoperto l’oltraggio perpetrato alla miracolosa Statua. Una bella memoria è quella rilasciata da Giovanni Bagnaresi, Bacòc, scritta nel 1919. Da più tempo, sempre nella giornata del lunedì, si teneva l’estrazione della tombola di cui si ha notizia almeno dai primi anni del XX secolo ed in particolare da Sante Biancini (Tino d’Olga) che giocava ogni anno la cartella con la quale il suo babbo vinse la tombola del 1904, anno di nascita del famoso personaggio castellano. Anche la banda cittadina partecipava alla festa proponendo un concerto in piazza.
Non bisogna poi dimenticare che il Piazzale Roma si riempiva, allora come oggi, di giostre e baracconi. Tiri a segno con giovani bellezze femminili per attirare contadini e cittadini, giostrine coi cavallucci per la gioia dei bambini ma, soprattutto, due attrazioni particolari di cui ci fanno menzione Rino Villa e Giovanni Camerini: l’autoscontro di “Carlô” che rallegrava i giovani e la giostra “De Barbô”. Questa era un’antesignana dei seggiolini volanti, insomma il “calcinculo” ma funzionava manualmente. I due (allora) ragazzini, si offrivano di aiutare “e Barbô” per girare la manovella e così far roteare i seggiolini. La paga era un giro gratis ma con l’avvertenza: “c’an tuliva e pallô”. Il Barbone infatti metteva in premio un giro senza spesa a chi, roteando, si fosse sporto per prendere un pallone legato ad uno spago e, naturalmente, questo non poteva valere per chi già viaggiava a sbafo….!
Ma Pentecoste era l’occasione di appuntamenti sportivi anche di grande spessore. Tutti ricordano la partita di calcio scapoli contro ammogliati che era tradizione giocarsi per Pentecoste e che nei gloriosi anni del Bar Giardino lì veniva ideata ed organizzata. Ma a far grande la festa contribuì per ben due volte anche Edmondo Fabbri che portò a Castel Bolognese per Pentecoste la squadra di serie A dell’Atalanta in cui lui giocava. Il 2 giugno 1941, lunedì di Pentecoste, l’Atalanta disputò un amichevole con il Castel Bolognese, vincendo 5-1. Otto anni più tardi, il 6 giugno 1949, sempre di lunedì, l’Atalanta di Fabbri sfidò una rappresentativa romagnola sconfiggendola 5-4. In entrambe le occasioni l’arbitro fu l’illustre Giovanni Galeati, nativo di Castel Bolognese, che l’anno successivo si rivelò il miglior arbitro nientemeno che alla Coppa del Mondo tenuta in Brasile (8).
Non si trovano notizie di sospensione della festa cittadina, che era una vera risorsa per tutti i commercianti, se non per il lunedì di Pentecoste del 1893. Quando si sparse la notizia dell’oltraggio, la fiera del bestiame, che era già iniziata, fu sospesa e gli animali, i bifolchi, i proprietari, gli avventori ed i mediatori fecero ritorno a casa, mentre in città nessuno ebbe più voglia di festeggiare ed il danno per i commercianti fu enorme.

La Pentecoste in tempo di guerra

Neppure durante le varie guerre che si succedettero nei secoli v’è memoria di sospensione o rinvio delle feste di Pentecoste e, sicuramente, all’epoca se non si interrompevano le feste religiose, neppure quelle di popolo si sospendevano. Non abbiamo notizie dettagliate delle feste di Pentecoste degli anni 1916, 1917 e 1918. Nel 1917, come si può leggere da Il Diario del 27 maggio, la tradizionale fiera fu certamente tenuta. Probabilmente furono state fatte con un tono minore, dal momento che tutte le famiglie contavano almeno un figlio o un altro componente in guerra, la crisi economica attanagliava la Nazione, specie dopo Caporetto con il calmiere dei prezzi ed il contingentamento dei beni, anche alimentari.
E durante la Seconda Guerra Mondiale? Per questo periodo ho chiesto a Rino Villa e a Giovanni Camerini di rovistare nei loro ricordi, ma entrambi riferiscono che neppure le giostre, in quei due anni, furono presenti. Occorre poi rammentare, almeno per il 1944, che dopo l’usurpazione della Repubblica Sociale, molti uomini si diedero alla macchia e che, comunque, vigevano il coprifuoco e l’oscuramento oltre al pericolo, concreto, di un improvviso bombardamento dal momento che il fronte si stava avvicinando a che il nodo ferroviario di Castel Bolognese era già stato oggetto di tiro dei bombardieri. Quindi, tutto sommato, non v’era una gran voglia di festa.
Nel 1945 la Pentecoste venne a poco più di un mese dalla liberazione di Castel Bolognese. Pensare che il 20 ed il 21 maggio tra macerie, rovine, lutti, si potesse festeggiare è un po’ azzardato. Non escludo tuttavia che un po’ di festa si sia comunque fatta perché anche di questo si nutriva la speranza di una ricostruzione. Comunque, la risposta a questa domanda necessita di una ricerca nell’archivio comunale che, al momento, è inaccessibile; pertanto la rimando a tempi migliori, senza virus.

Il dopoguerra

Dal dopoguerra, la festa pubblica conobbe un momento di crisi. Si continuavano con la tradizionale dovuta solennità le feste religiose, ma poco o nulla animava la piazza e il solo prato della Filippina si riempiva fin dalle prime ore del lunedì per la mostra mercato del bestiame e delle novità della tecnica nella macchine agricole. Anche i bovini, però, stavano diminuendo e dagli anni ’50 la mostra del lunedì di Pentecoste era in netta e crescente perdita ed il Comune era chiamato ad appianarla. Per esempio, la fiera del 1958, ebbe introiti per 20.800 lire e spese per £. 46.609 con una perdita di £. 25.809, ed una presenza di 172 capi (erano stati 314 nel 1954). In quell’anno, forse per dare più lustro alla fiera, alcuni privati tra cui il “Credito Romagnolo” ed il Comune istituirono sei premi da £. 10.000 ognuno, “da assegnarsi alle migliori coppie di vacche a bocca fatta, vacche fino a 4 denti e manzi con tutti i denti di latte, riconosciute meritevoli di premio da una apposita commissione da presiedersi da un rappresentante dell’Ispettorato dell’Agricoltura di Ravenna.” (9) Due anni dopo, nel 1960, parteciparono alla fiera solo 38 capi bovini e 6 suini (10).
Animavano la festa le “giostre”, l’estrazione della tombola e, nel Cinema Centrale, alcune serate danzanti. Anche i “forestieri” che gremivano Castel Bolognese nei tempi andati, erano pressoché scomparsi e se ne contavano certuni soprattutto durante i riti religiosi e la tombola.
Un comitato cittadino, che risultava composto da quattro persone nel 1962 e nel 1963 (11), si occupava di animare il pomeriggio e la sera del lunedì di Pentecoste organizzando uno spettacolo nel chiostro comunale e qualche altro intrattenimento come i fuochi artificiali, oltre all’estrazione della tombola, il cui ricavato era in favore dell’E.C.A., Ente Comunale di Assistenza; gli spettacoli tuttavia erano a pagamento. Con uno steccato, ricorda Gian Pietro Brunetti, si divideva in due il cortile comunale; nella parte in fondo, col palcoscenico appoggiato a quelle che erano state le porte del teatro, c’erano gli spettacoli (12), mentre nella parte verso la piazza si cominciò ad allestire un timido stand gastronomico. La meteorologia la faceva da padrone e la pioggia non favoriva di certo il buon esito dell’unico giorno di festa. Per questo, sebbene il Comitato si incaricasse di raccogliere fondi per la festa, la Giunta comunale partecipò sempre con un contributo in denaro che andava a coprire i disavanzi ed era fissato tra gli anni 1957 e 1964 in £. 100.000 come tetto massimo.
Nel 1962 e nel 1963 per ravvivare la giornata del lunedì di Pentecoste il Comitato cittadino organizzò la “Sagra dell’albana e del ciambello” ma non tutto andò per il verso giusto a causa della pioggia ed il forte disavanzo fu coperto dal Comune destando polemiche che si trascinarono fino al Consiglio Comunale ove il consigliere Aureliano Borzatta (in carica PCI – opposizione) nella seduta del 5 agosto 1963 volle spiegazioni sulla consistente somma occorsa per appianare i debiti delle feste del 1962 e 1963, destando sospetti sulla organizzazione della festa. Ne seguì un acceso dibattito ove intervennero il Sindaco Reginaldo Dalpane ed il Consigliere prof. Emilio Gondoni (assessore e componente del Comitato Cittadino) difendendo l’operato di quei cittadini che si erano messi a disposizione, con proprio rischio economico, per organizzare la Pentecoste. Lo stesso Gondoni, attaccato sul periodico del PCI “La Torre” scrisse una lettera al Sindaco in difesa dell’operato del Comitato, sospettato dal periodico di “favoritismi” da parte dell’Amministrazione. In quella seduta intervenne anche il Consigliere Mario Santandrea (in quota maggioranza) per dare alcuni consigli sul da farsi in futuro.
Probabilmente da questa polemica nacque la consapevolezza che l’Amministrazione Comunale si sarebbe dovuta occupare più da vicino dell’organizzazione della festa. Fu così che, come racconta Tomaso Biffi, allora Assessore, dal 1964 il Comune promosse direttamente la nascita del “Comitato Festeggiamenti di Pentecoste”, ove il Sindaco ne era anche Presidente, ove partecipavano tutti i rappresentanti della vita cittadina, delle realtà sociali, associative, politiche e dei commercianti. Biffi, che ne faceva parte quale Assessore delegato, ricorda alcuni suoi componenti: Giorgio Marezzi per il P.C.I., Paolo Selva per il P.S.I., Stefano (Nino) Camerini per i Commercianti, l’Arciprete don Giuseppe Sermasi e, in qualità di storici locali, Fausto Ferlini, Ubaldo Galli, Domenico Minardi e Oddo Diversi (quest’ultimo anche in rappresentanza del Corpo dei Vigili Urbani di cui era comandante).
Non si trascurò anche l’allestimento di uno stand gastronomico; a tal proposito Tomaso Biffi ricorda che alcuni componenti del Comitato passarono per i ristoranti e le trattorie di Castello perché venissero in Piazza ad offrire i loro piatti, ma con pochi risultati. Solo Elvino Turci, dell’omonimo ristorante, organizzò un piccolo chiosco ove offriva carne in graticola, affettati e piadina. Non mancava Anna Negrini “La Murina” con i bracciatelli della croce. Costoro, tuttavia, trattenevano per sé il ricavato.
Si organizzò così la Pentecoste del 1964 e quella del 1965, sempre comunque con l’assicurazione del Comune di intervenire nelle eventuali perdite nel limite delle somme previste nella relativa delibera di Giunta. Non si hanno notizie, per quella del 1964, ma la Pentecoste dell’anno seguente fu organizzata su due giornate: domenica e lunedì ed il bilancio chiuse in attivo.
Ma qualcosa stava maturando. Ed il nuovo Sindaco, Nicodemo Montanari spinse per avere non più un Comitato da formarsi anno per anno, ma un Ente, possibilmente di emanazione comunale che si occupasse stabilmente dell’organizzazione della festa, anche arricchendola di novità. Nasceva così l’idea di costituire la Pro Loco.

E poi?

Il 9 dicembre 1965 nacque la Pro Loco e dal 1966 ebbe inizio la “Sagra di Pentecoste”. Per il seguito dovrete attendere che io termini la scrittura della pubblicazione, che è buon punto, ma ferma, anch’essa, causa virus. Speriamo che l’anno prossimo possa vedere la luce!

NOTE

(1) Stato della parrocchia e sue vicende dell’arciprete Tommaso Gamberini, ms, in: Archivio Parrocchiale di San Petronio di Castel Bolognese, cartone 3, busta 5, fasc. 3, c. 22v.
(2) Stato della parrocchia e sue vicende dell’arciprete Tommaso Gamberini, ms, in: Archivio Parrocchiale di San Petronio di Castel Bolognese, cartone 3, busta 5, fasc. 3, c. 53r.
(3) Stato della parrocchia e sue vicende dell’arciprete Tommaso Gamberini, ms, in: Archivio Parrocchiale di San Petronio di Castel Bolognese, cartone 3, busta 5, fasc. 3, c. 54r.
(4) Stato della parrocchia e sue vicende dell’arciprete Tommaso Gamberini, ms, in: Archivio Parrocchiale di San Petronio di Castel Bolognese, cartone 3, busta 5, fasc. 3, c. 54v.
(5) Stato della parrocchia e sue vicende dell’arciprete Tommaso Gamberini, ms, in: Archivio Parrocchiale di San Petronio di Castel Bolognese, cartone 3, busta 5, fasc. 4, c. 96r.
(6) Stato della parrocchia e sue vicende dell’arciprete Tommaso Gamberini, ms, in: Archivio Parrocchiale di San Petronio di Castel Bolognese, cartone 3, busta 5, fasc. 4, c. 116r.
(7) EMILIANI G.: Sunto storico di Castel Bolognese, Libro I – Capitolo 33, manoscritto, Biblioteca Comunale di Castel Bolognese
(8) BAMBI, E.: Calcio castellano, Castel Bolognese, 1974
(9) Archivio Comunale di Castel Bolognese – Delibere della Giunta Comunale dal 1956 al 1964 – anno 1958
(10) Archivio Comunale di Castel Bolognese
(11) Archivio Comunale di Castel Bolognese – Delibere del Consiglio Comunale dal 30/06/1956 al 29/09/1964 – Delibera del 5 agosto 1963
(12) Nel 1957 e nel 1958 tenne spettacolo la Banda di Bagnacavallo. Cfr: Archivio Comunale di Castel Bolognese – Delibere della Giunta Comunale dal 1956 al 1964 – anni 1957 e 1958

Si ringrazia Lorenzo Raccagna per la ricerca nell’archivio de Il Diario/Nuovo Diario Messaggero

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