Una vita con don Sandro

di Paolo Grandi

Don Sandro ci ha lasciato il 16 ottobre 2005; io stavo per compiere 47 anni e se penso che è stata una delle prime persone che ho conosciuto da bambino, fu mio insegnante a scuola ed al catechismo e mio confessore, si tratta proprio di una vita passata assieme che ora voglio raccontarvi.
Da bambino la mia zia Virginia mi veniva a prendere da casa il pomeriggio per una passeggiata insieme; quale meta si preferivano le sue amiche, specialmente la maestra Fernanda Pisotti (“la Bubana”) che abitava in una villetta di fronte alle scuole Bassi, oggi purtroppo sacrificata da un ingombrante edificio che mi ricorda molto l’orrendo Palazzo di Giustizia di Firenze dove da qualche mese lavoro, oppure Maria Utili (da me definita “più bella di Biancaneve”). Altrimenti si andava a salutare le Monache Domenicane o ai “cronici” per una visita a don Garavini. Erano gli in cui non frequentavo ancora la scuola e crescendo misuravo la mia altezza sui bottoni del cappotto di zia Virginia….
Dunque quando si andava da don Garavini, non si mancava mai di passare a fare un saluto a don Sandro. Ma ora occorre prima che io descriva come vedevo io, bambino, questi ambienti. Allora i cosiddetti “cronici” occupavano il piano terreno della parte centrale dell’Ospedale, corrispondente all’ovale dell’Antolini. Al di là del corridoio che c’è tuttora si aprivano quattro saloni divisi nel mezzo dagli uffici amministrativi dell’Ospedale dove spesso incontravi, oppresso dal freddo anche d’estate (sic!), Antonio Baldrati, Gnazô lì impiegato amministrativo. I quattro saloni erano divisi tra gli uomini e le donne (.. e quante storie del vecchio Castello si sarebbero potute ascoltare…) uno serviva da “soggiorno” arredato con lunghe tavole di legno (1) dove gli ospiti passavano la giornata, nell’altro v’erano i letti, ammassati l’uno all’altro, ove anche restavano l’intera giornata coloro i quali non erano autonomi. E proprio in uno di quei letti vedo ancora don Garavini che, sordo, forse poco capiva di ciò che gli dicevamo, benedirci e salutarci. Terminata questa visita era volta della sosta nella Cappella per una breve preghiera. Qui, o nei locali a fianco, c’era il mondo di don Sandro.
Don Sandro occupava infatti due angusti locali posti dietro la Cappella, i quali avevano ognuno la porta che dava sul corridoio: vedere una porta aperta significava che don Sandro era lì: una di queste camere era la sacrestia della cappella; l’altra era la stanza dove lui viveva in un monacale rigore. Per lui non vi era disponibile un bagno privato; per le abluzioni quotidiane c’era il bagno comune degli uomini dei “cronici” posto nel sottoscala e per un vero e proprio bagno, don Sandro era costretto a chiedere ospitalità alle Suore dell’Ospedale con tutte le cautele del caso….
Ed anche quando con la mamma od entrambi i genitori ci recavamo in ospedale per una visita ad un qualche degente, un saluto a don Sandro non mancava mai. Era poi usanza di casa mia spedirgli ogni anno gli auguri con una cartolina per Natale e per Pasqua. Lui ricambiava puntualmente con una bella cartolina a tema religioso ed una bella frase.
Sono cresciuto ed alle scuole elementari don Sandro veniva settimanalmente a farci lezione di religione. Erano sicuramente altri tempi, nei quali le lezioni si iniziavano con la preghiera trasmessa per altoparlante in ogni classe e recitata da tutti, cui seguiva il saluto del Direttore o della Direttrice! Poi arrivò il tempo della dottrina, ed anche qui ebbi la fortuna di farla con don Sandro. C’era il Catechismo di San Pio X, che doveva essere imparato a memoria; certamente un po’ noioso anche per noi bimbi di quegli anni! Ma don Sandro, che aveva una predilezione per i bambini e sapeva parlare loro, riusciva a catturare la nostra attenzione; e quando questa calava, cominciava a raccontandoci storie sui Santi. La sua cultura in ciò era immensa e ci parlava di santi a noi assolutamente sconosciuti avendoli al massimo visti, forse, segnati sul calendario; sia di epoca lontana, come i primi martiri cristiani, sia della nostra epoca. E di ciò ricordo questo. Lui era assai devoto a san Giovanni Bosco; io porto come terzo nome Giovanni proprio perché la mia zia Virginia mi volle affidare alla protezione del Santo torinese; si stava parlando di quanto trattenersi in chiesa dopo aver ricevuto l’Eucarestia quando don Sandro ci raccontò questo episodio: una signora torinese che frequentava la chiesa salesiana era solita prendere l’Eucarestia ed avviarsi all’uscita della chiesa senza ascoltare il termine della Messa. Un giorno don Bosco la fece seguire da due ragazzi con candelabro e candele accese. La donna si stupì di ciò e rientrò in chiesa per chiedere spiegazione; così don Bosco la redarguì dicendole che innanzitutto non si lascia mai la Chiesa prima del termine della Messa e, comunque, è opportuno trattenersi un poco in preghiera anche dopo, affinché l’Ostia diventi parte di noi stessi (cioè sia digerita) per non uscire dalla chiesa essendo ancora Tabernacoli viventi. Ed essendo lei uscita subito dalla chiesa e quindi ancora Tabernacolo vivente, l’aveva fatta seguire dai ceri.
Crescendo, il rapporto con don Sandro diventò ancora più stretto perché ne feci il mio confessore e guida spirituale. Erano anni di grossa difficoltà nella chiesa, sia a livello globale che locale, preti che si toglievano la tonaca, chiese deserte, si mettevano in discussione riti, tradizioni, gerarchie e tutto pareva precipitare in un vortice di cui non si vedeva la fine. Erano anni nei quali don Sandro pareva superato con le sue storielle e il suo parlare “antiquato”, il fatto che non si vestisse in clergyman o in tuta da operaio ma conservasse (e sempre ha conservato) l’abito talare classico ne aveva forse fatto un po’ “pesce fuor d’acqua” e, forse, pure lui in quegli anni si è sentito emarginato anche in Parrocchia quale sacerdote adatto alle vecchiette. Tuttavia devo dire che standogli vicino ho conservato la fede ma soprattutto ho imparato sempre di più il significato dell’importanza delle tradizioni, che attraverso le generazioni ci svelano le fondamenta del nostro credere. E così scoprii un altro don Sandro.
Innanzitutto un don Sandro missionario, che aveva risvegliato il desiderio della fede non solo a tante persone, anche in fin di vita, all’Ospedale e nella Casa di Riposo, ma anche a gente comune, per cui intratteneva con loro epistolari e ne frequentava la casa sia a Castel Bolognese che fuori. E poi un don Sandro esorcista. Mi raccontava che più volte era stato chiamato in case di Castel Bolognese per debellare spiriti immondi o dare benedizioni perché “ci si sentiva”; spiriti coi quali aveva lottato munito solo di stola viola, crocifisso ed aspersorio con acqua santa. A volte ne aveva conseguito vittoria, altre volte no e per questo vi aveva inviato gli esorcisti nominati dalla Diocesi. Forse proprio da queste lotte col Demonio, a don Sandro erano sorte vere e proprie paure: innanzitutto di frequentare luoghi bui o poco illuminati: per esempio non attraversava mai di sera il giardino di fronte all’Ospedale. Poi aveva il timore di luoghi nei quali lui diceva che “ci si sentiva” come era, a suo dire, il campanile di San Petronio, che attraversava sempre con la luce accesa salvo…..Be’ salvo che quel perfido di Marcello non gli facesse lo scherzo, rintanato nel piano superiore del campanile, di spegnergli la luce e urlargli “buu, buu” per vederlo scappare in cortile a gambe levate….. Ed un altro timore, gli era derivato da quando era in Seminario, ove lo avevano ammonito di stare lontano dai luoghi molto frequentati (tipo le piazze). Per questo motivo don Sandro arrivava in san Petronio sempre per stradine secondarie e preferiva entrarvi dalla porta laterale, ora non più esistente, che metteva in comunicazione il vicolo con la Cappella della Madonna di Lourdes, che era perciò stata soprannominata “la porta di don Sandrino”.
Ma don Sandro era anche fedele maestro delle liturgie ed amante della buona musica sacra. “che bella esecuzione” non tardava a dirci terminata una qualche Messa animata nel canto dalla Corale, ma anche ci teneva, e pretendeva, l’assoluto decoro delle funzioni. Quante volte mi ha chiesto, prima delle processioni, se fosse tutto a porto attorno al carro della B. Vergine, se vi fossero i lampioni, e se i lampionai avessero veste e cappa! Ed osservava dopo la distribuzione dell’Eucarestia nella Messa una rigorosa pulizia del Calice e delle pissidi vuote, facendo scorrere l’acqua per accertarsi che nessun pezzo di Particola consacrata vi fosse rimasto. Passava poi ad una profonda asciugatura col purificatoio, cosa che Marcello non sopportava perché, a suo dire, “Don Sandro a forza di sfregare svita tutti i Calici…” ed anche “mi vuole un’ampollina di vino tutte le volte che dice messa…!”
E poi c’era Brisighella. Don Sandro non ha mai dimenticato il suo paese d’origine e, pur affezionato alla Immacolata Concezione di Castel Bolognese, è sempre stato devotissimo alla Madonna delle Grazie del Duomo e alla Madonna del Monticino, non mancando mai, finché ha potuto, di partecipare alle due feste. Come Corale della Pace, poi di San Petronio e Pace, per vari anni fummo chiamati ad animare col canto la Messa cardinalizia alla Madonna del Monticino, la seconda domenica di settembre e per l’occasione imparammo anche l’Inno musicato dal maestro brisighellese Antonio Masironi. Così ne approfittavo per accompagnarvi in macchina don Sandro. Per lui era una vera gioia ritrovarsi con tanti conoscenti, con i Sacerdoti brisighellesi, poi con i Cardinali. Finita la Messa io tornavo a casa ma lui restava là tutta la giornata ed il giorno dopo sarebbe stato bello fargli la domanda che papa Giovanni Paolo II rivolgeva al card. Monduzzi (ce lo raccontava lui) in dialetto romagnol-italo-polacco: “Com’ela andéda a Brisighéla?”
Com’era don Sandro confessore? Ovviamente, mantenendo il segreto del confessionale, posso dire che era severo, voleva una bella disamina dei peccati un bell’atto di pentimento con la recita dell’atto di dolore ancora con il “Voi” e non con il “tu” come l’odierno (..d’altra parte me lo insegnò lui…) ma era senz’altro indulgente in un peccato che, tuttavia, è vizio capitale: la gola. E qui apriamo un’altra pagina su don Sandro: il don Sandro a tavola. Abituato alle cucine poco saporite e sciape d’un ospedale, poi di una casa di riposo, poi d’una mensa che forniva i pasti alla casa di riposo, sapere di uscire a pranzo era per lui una vera gioia. La tradizione trovata da mia suocera ed ora continuata da mia moglie e da me, vuole tutti i Sacerdoti di Castel Bolognese nostri ospiti a pranzo l’8 di dicembre. Servire don Sandro era un piacere: “mi dia per favore quelle patatine lì che sono più croccanti” oppure “Mi faccia un po’ di pasta in brodo, ma tagliolini” o infine “sì prendo la coscia del pollo, quella che è un po’ più cotta”, finché non arrivava il dolce. E qui don Sandro si illuminava, arrivando spesso anche a fare il bis e quindi capivi la sua indulgenza per il peccato di gola….!
Devotissimo a san Giuseppe, gli aveva affidato la propria vita, pregandolo di arrivare almeno ai cinquant’anni di professione religiosa. E così è stato: nel 1995 fu grande festa a Castel Bolognese per i suoi 50 anni di Sacerdozio; celebrò una bella Messa di ringraziamento nella chiesa di San Francesco animata dalla musica della corale e gli giunse anche il titolo di “Cameriere Segreto di Sua Santità” cioè di Monsignore. Ma la festa più grossa fu a Brisighella ove poté concelebrare con gli altri quattro sacerdoti tutti brisighellesi e consacrati assieme il 23 luglio 1945: il futuro cardinale Dino Monduzzi (all’epoca dei festeggiamenti era vescovo titolare di Capri), mons. Nello Castellari, don Wilmo Fabbri, don Luigi Orsoni. Ne seguì un concerto il 23 luglio 1995, in Duomo a Brisighella, alla presenza di tante Autorità civili e religiose, eseguito dalla Corale di Brisighella, da quella di Castel Bolognese e da altri cantori venuti da Faenza, presenti i cinque sacerdoti festeggiati, sotto la direzione di mons. Nello Castellari, accompagnati dall’organo e dall’orchestra. Furono eseguiti vari pezzi liturgici e religiosi tra i quali l’Ecce Sacerdos Magnus di Padre Albino (che era presente alla serata), la Tota Pulchra di Borroni ed altro. Dopo i festeggiamenti la parrocchia di Brisighella stampò un numero speciale di Echi di Val d’Amone, consultabile in digitale nel sito della parrocchia di Brisighella, a questo link.
Poi don Sandro si rivolse ancora a San Giuseppe per giungere al sessantesimo di professione; nel frattempo il problema maggiore era fargli indossare la veste da Monsignore, con i bottoni e la fascia violacea, che, diceva lui, “indosso solo per obbedienza all’Arciprete” nelle Processioni solenni di Pentecoste. Così arrivò il 2005 e fu un’altra festa con una bella Messa solenne, sempre animata dalla Corale, in San Petronio. Ma ormai don Sandro era stanco e qualche mese dopo fu chiamato a celebrare la Messa nell’Empireo. La corale lo accompagnò anche durante le Esequie in San Petronio.

(1) Quelle tavole erano alquanto robuste e, finito il loro onorato servizio ai “cronici” col passaggio al nuovo edificio, passarono alla Pro Loco che le utilizzò, al posto delle tavole dei seggi elettorali da porre di fronte ai carri per la vendita del vino. Quando poi Francesco Zaniboni realizzò i nuovi banchi di vendita quelle vecchie tavole finirono in cucina e servirono tutte le feste di partito e forse qualcuna è ancora in servizio!

Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Paolo Grandi, Una vita con don Sandro, in https://www.castelbolognese.org

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