Le “speranze troncate” dell’aspirante medico Enzo Brunetti (1893-1922)
di Andrea Soglia
con la collaborazione dell’Archivio Storico Popolare di Medicina (BO)
Enzo Brunetti nasce a Castel Bolognese l’1 dicembre 1893 da Oreste e Domenica Martini. Il padre, originario di Faenza, è titolare della condotta veterinaria di Castel Bolognese sin dal 1890 mentre la madre è nativa di Tossignano e discende, per linea materna, da un’antica e notabile famiglia di quel paese: la nonna di Enzo, infatti, è Marianna Agnoli, figlia del segretario comunale Giuseppe e nipote del parroco don Gaetano.
Oreste Brunetti è impegnato civilmente e politicamente non solo a Castel Bolognese ma anche nella natia Faenza, dove nel 1894 svolge le mansioni di assessore in rappresentanza della lista radicale.
Poco o nulla sappiamo dell’infanzia di Enzo. La vita dei coniugi Brunetti era stata allietata dalla nascita di altri tre figli: Iolanda (1895), Lea (1898) e Gino (1907, che sarà veterinario come il padre). Enzo partecipa attivamente alla vita castellana ed è uno dei pionieri dell’associazionismo sportivo: nel 1909, con alcuni amici di varia estrazione politica (fra cui Mario Santandrea e Gianni Piancastelli), fonda l’Unione Sportiva Castel Bolognese, associazione che si interessa soprattutto di ciclismo e turismo (ed Enzo è immancabilmente socio anche del Touring Club Italiano). Enzo, che aderisce ben presto agli ideali socialisti (probabilmente sull’esempio del dottor Umberto Brunelli, successivamente deputato), ha buoni amici in paese e i diversi ideali politico-sociali non sembrano dare adito ad attriti di particolare rilievo: il gruppo di amici sembra anzi animato da uno scanzonato clima goliardico ed Enzo, descritto da Ribelle Cavallazzi come “sempre pronto a far baccano”, non sembra essere deriso per l’aspetto fisico, ma è solo amabilmente preso in giro per la sua “erre moscia”.
Enzo si iscrive al Liceo Torricelli della vicina Faenza e nell’anno scolastico 1912-1913 consegue la licenza liceale. L’anno successivo si iscrive alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bologna. Mentre sta per cominciare il secondo anno di Università scoppia la Prima guerra mondiale, a seguito dei fatti di Sarajevo. Nell’agitazione interventista, come ha testimoniato Nello Garavini, Enzo Brunetti aderisce alle posizioni di un socialista molto più famoso: Benito Mussolini. Il futuro Duce si distacca ben presto dalla linea ufficiale del Partito Socialista, votata all’assoluto neutralismo e diventa uno dei maggiori sostenitori dell’intervento italiano. Enzo Brunetti sembra essere l’unico socialista castellano ad essere fermamente schierato per la partecipazione dell’Italia alla guerra; pochi altri saranno i castellani di idealità internazionaliste a dichiararsi interventisti in dissonanza con i loro compagni: fra essi si ricordano gli anarchici Oreste Zanelli, Francesco Budini, Antonio Raccagna, Aurelio Villa e Ribelle Cavallazzi, quest’ultimo poi pentito di questa scelta. Fra i ragazzi castellani più favorevoli all’intervento si distingue il repubblicano Gianni Piancastelli, che con Enzo, suo intimo amico, aveva a lungo disquisito sull’argomento e che nel suo diario così ricordava: “Fedele ai principi professati – principi liberali-democratici con tendenza al Repubblicanesimo Mazziniano – propagandai per l’entrata dell’Italia nel conflitto Europeo per trionfo dei principi di libertà dei popoli ed a tutela dei suoi interessi. Il 25 marzo 1915 inscritto al Gruppo Rivoluzionario Interventista di Cbolognese”.
Subito dopo l’entrata in guerra dell’Italia, Piancastelli, che poteva essere esonerato dal servizio militare in quanto dipendente delle Ferrovie dello Stato, si arruolò volontario. Enzo non risulta essere partito volontario, ma ben presto viene chiamato alle armi e nel luglio del 1915 risulta inquadrato nella sezione sanità della 28a Divisione. Del periodo della Grande Guerra ci rimangono alcune lettere, reperite sul mercato antiquario, indirizzate al ragionier Sante Tosi, presidente del Comitato di Assistenza Civile di Castel Bolognese, la ricevuta di un vaglia postale conservato nell’Archivio delle Opere Pie e alcuni brevi messaggi di saluto inviati al settimanale faentino repubblicano “Il Lamone”. Possiamo seguire così con le sue parole il suo impegno nel soccorso ai feriti e nella cura dei malati durante la Guerra, il suo forte afflato teso alla vittoria finale contro l’odiato nemico e la sua particolare attenzione per l’attività del Comitato di Assistenza Civile al quale deciderà di devolvere, sin dal maggio del 1916, una giornata della sua paga per ogni mese di conflitto, una sorta di fioretto laico anticipatore di un futuro impegno civico.
15 luglio 1915 – Austria Italiana
Carissimo Tosi […]. Se la sorte vorrà rimandarmi sano e salvo al nostro paesello natio, sarò ben lieto di raccontarle le ansie ed i piaceri di questa vita tanto diversa dall’usuale, ma bella perché sorretta dall’entusiasmo e dal sapere che sto compiendo il più alto dei miei doveri. Un solo dolore però ancora ò: quello di essere ancora inoperoso, né avere ancora potuto esclamare “Finalmente anch’io modestamente coopero alla grandezza del mio paese”, ma spero poterlo al più presto dire.
[…] Colgo questa occasione per porgere a lei, membro autorevole, anzi anima del Comitato castellano di preparazione civile le congratulazioni per il felice esito della sottoscrizione Pro famiglie dei richiamati, indice stupendo del mutato spirito castellano. […]25 luglio 1915
Carissimo Tosi, mentre attendo l’ordine di ritornare ai posti avanzati di medicazione per compiere la pietosa opera mia rispondo alla sua gratissima del 21 corr. consegnatami or ora. Finalmente da qualche giorno la nervosa attesa che per me già troppo si protraeva è finita! Non più qualche chilometro ma qualche centinaio di metri appena mi separano dai sospirati campi di battaglia. Ogni giorno coi miei uomini parto per i luoghi più avanzati a ritirare coloro che già parte del loro sangue ànno per la grandezza d’Italia e più di tutto per il bene dell’umanità versato, mentre gli srappel e le pallottole mi fischiano attorno costringendomi ad abbassarmi e ad interrompere la marcia. Perché l’opera nostra pur non svolgendosi proprio in mezzo ai combattenti, si svolge in mezzo ad un continuo pericolo ritirando noi i feriti da quei posti di medicazione che si trovano ad appena un centinaio di metri dalla linea di fuoco e trasportandoli alla sezione per mezzo di ambulanze da dove rimedicati vengono mandati agli ospedaletti da campo. Il primo giorno provai un po’ di impressione ora però più, anzi i miei compagni si lamentano perché troppo incurante del pericolo. Io rispondo che il pericolo è dappertutto e che la nostra vita più che alle precauzioni è affidata alla sorte, quindi meglio è essere impavidi che timorosi e dico che nullo è il nostro pericolo in confronto di quello che corrono i nostri fratelli combattenti costretti tante volte ad avanzare in mezzo ai fuochi delle nostre artiglierie e di quelle del nemico e ciononostante contenti ed allegri. […]2 agosto 1915
Carissimo Tosi […]. Grazie dei suoi consigli affettuosi che non so se purtroppo potrò più seguire perché da qualche giorno non più alla cura dei feriti, ma dei malati la nostra sezione è stata addetta. Del resto le audacie dei giorni scorsi da me fatte sono nulla in confronto di quelle dei nostri valorosi soldati […]. Esse non furono a me comandate se non dalla mia coscienza e dal mio entusiasmo, dalla mia volontà di collaborare in tutti i modi con tutti i mezzi a lenire il dolore di coloro che con tanto entusiasmo combattono, che con tanto valore muoiono, perché se io avessi voluto soltanto fare quanto i miei ufficiali mi avevano comandato avrei potuto starmene tranquillamente a dirigere i miei quattro uomini nelle operazioni di carico e scarico. Ma io non avevo invocato questi gloriosi campi di battaglia per fare solo questo. E perciò mi prodigai in tutti i modi il 26 u.s. in cui sotto il fuoco dell’artiglieria andai dal posto di medicazione del … fanteria alla sede della mia sezione a ritirare alcuni oggetti di medicazione di cui si era rimasti completamente sforniti. Ora con la stessa coscienza e con lo stesso coraggio mi prodigo alla cura dei malati. Sono nel reparto dei più gravi cioè dove maggiore è il lavoro e collaboro col mio tenente Dott. Melloni […] Trovarmi con Melloni mi sembra di trovarmi con lei o con mio padre. […]9 ottobre 1915 – Dall’Isonzo
Carissimo Tosi, la vita di assoluto riposo prescrittami dai medici curanti à trasformato la vita che ora qui a Romans conduco in una specie di villeggiatura. […] Ma fra pochi giorni lieto sarò di ritornare alla vita attiva, di rendermi di nuovo utile verso chi parte del suo sangue à per l’Italia nostra versato. […]16 maggio 1916 (vaglia postale)
Carissimo Tosi, grazie della Relazione morale e finanziaria che gentilmente mi è stata comunicata. Accogliendo pur io l’invito che in essa il Comitato lancia alla popolazione e come prova tangibile della mia piena approvazione e solidarietà mi impegno con la presente di versare per tutto il tempo della guerra l’importo ogni mese di una giornata della mia paga. […]25 luglio 1916 – Padova
Carissimo Tosi […] le mie condizioni di salute […] lentamente per le cure assidue del giovane quanto bravo Dr. Anau e per la quiete ed il riposo nella quale ora vivo migliorano. Come già babbo le avrà detto, sia pure a malincuore, sarò però purtroppo costretto buttare nella migliore delle ipotesi per un po’ di tempo acqua nel mio ardente entusiasmo e nella mia volontà di fare essendomi necessario un po’ di riposo. Contro questa soluzione io già avevo lottato allorquando il mio Capitano, impressionato del mio deperimento organico, mi faceva il 2 luglio inviare all’Ospedale dopo avermi fatto visitare di autorità e se oggi l’accetto l’accetto soltanto perché il medico curante mi à convinto della necessità di essa e mi à prospettato anche la possibilità qualora non l’accettassi di serie conseguenze per il mio domani. Così a giorni verrò a Castello, in quel Castello però dove non avrò più la fortuna di vedere amici carissimi, che la morte anzitempo à voluto strappare, quali Angelo Dall’Oppio e Publio Budini […]Da Il Lamone 17 febbraio 1918
Enzo Brunetti aspirante medico sottoscrive per il Lamone con immutata fede nella Vittoria.Da Il Lamone 30 giugno 1918
Nel 3° anniversario della nostra guerra che ci sorprende in una fiduciosa vigilia d’armi il nostro pensiero volge grato ai caduti di ieri e di oggi sulla tomba dei quali riaffermiamo il giuramento di vendicarli e di vincerli. Saluti a tutti gli amici e combattenti, il giornale regolarmente ora mi giunge. Grazie. Salute mia fisica e morale sempre ottima.
Ten. Enzo BrunettiDa Il Lamone 15 settembre 1918
Aspirante medico Enzo Brunetti contracambia i saluti e gli auguri ai cugini G[iuseppe] Placci R[epubblica] Argentina e G[ino] Contavalli e saluta i parenti e gli amici tutti combattenti auspicando vittoria alle armi del Diritto e con immutata fede saluta indistintamente.
13 ottobre 1918
Carissimo Tosi, stia sicuro, non ci lascieremo adescare. Il nemico non può sperare nella vittoria morale; esso è perduto militarmente e soprattutto moralmente. Le sue ultime barbarie ànno accresciuto l’odio nostro; con lui ormai i nostri soldati sanno che non si può venire a patti. O accettare o continuare nella lotta! Questo è l’ultimatum del soldato nostro. Tergiversare, sperare, non può più. Egli deve cedere. Noi siamo vincitori. 41 mesi di guerra ci ànno temprato a tutto. Abbiamo lottato, abbiamo avuto fede quando la lotta e la fede parevano follie, oggi che la vittoria sta per baciarci non ci lascieremo adescare. No! No! Caporetto è lontano ormai. Abbiamo applaudito a Wilson, ma abbiamo altrettanto fortemente applaudito a Diaz. Quando i nostri tutori ci avranno detto che il nostro nemico è lo stesso di prima, noi incomincieremo la marcia travolgente con l’arma che teniamo ben stretta in mano e che ci servirà ad imporre la pace nostra. Perché ormai il duello è giunto alla fine, ormai il nemico è crivellato di ferite e si deve arrendere a discrezione. Nessun altra resa il soldato nostro ammette. […]
Non impazienza dunque, non illusioni, a casa ritorneremo, fra le vostre braccia correremo, ma ritorneremo e correremo per non più lasciarvi. […]Da Il Lamone 1 dicembre 1918
Gli avvenimenti grandiosi di questi giorni che imperano ogni aspettativa, ogni speranza non mi hanno permesso finora di contracambiare il tuo affettuoso saluto del 30 corrente ed i tuoi auguri. Io sto benissimo, sono allegro non solo per la strepitosa vittoria nostra, ma anche perché esso ha determinato la capitolazione germanica.
“Le jour de la gloire est arrivè” e con lui è giunta anche l’ora di Mazzini oggi più che mai vivo.
Aspirante Enzo Brunetti
L’inebriante vittoria, il tanto sospirato ritorno a casa, il diffuso clima di entusiasmo sembrano per un attimo non aver mutato lo spirito di qualche anno prima. Gli amici sembrano essere rimasti gli amici di sempre, ma qualcuno non è sopravvissuto all’ecatombe: Tullio Bolognini, promessa letteraria e calcistica è morto per ferite nel dicembre del 1917, Gianni Piancastelli, uno dei più intimi amici di Enzo, è spirato nel febbraio 1917 per una malattia contratta al fronte. Enzo gli aveva dedicato dapprima un accorato articolo apparso su Il Lamone nell’immediatezza della morte e poi un altro scritto pubblicato ad inizio 1918 nella collana dedicata a “I caduti per la patria: i figli di Romagna per la madre Italia”.
Nella primavera del 1919 viene fondata la Società “Sempre Giovani”, sodalizio castellano che organizzava prevalentemente feste da ballo affinché i soci trovassero l’anima gemella. Sembra tornare per un attimo lo spirito goliardico prebellico che ben si coglie in due numeri unici curati dalla Società. Anche Enzo ne fa parte, e con lui tanti amici di un tempo che, proprio in quel periodo, aiutano Mario Santandrea, laureatosi appena prima della partenza per la guerra, ad acquistare la “Farmacia del Corso” a Bologna, prestandogli non poco denaro per raggiungere la somma necessaria allo scopo.
Mario Santandrea, socialista dal 1909, di due anni più grande di Enzo, era rimasto allineato alla posizione neutralista del partito. Nel Dopoguerra anche Enzo rientra nei ranghi: non segue Mussolini nell’avventura fascista e rimane fedele all’ideale socialista. Nel 1922 il giornale “Il Socialista” scriverà che egli aveva tenuto alta la sua fede politica “anche quando interventista convinto fece tutta la guerra e ne soffrì le pene e il rimorso, quando ripreso il suo posto fra di noi fu esempio di abnegazione e di martirio in quest’ora travagliata”.
Con Mario Santandrea ed altri compagni, Enzo Brunetti, che ha ripreso a frequentare l’Università, comincia infatti in paese un intenso periodo di impegno politico che sfocia nelle elezioni amministrative dell’autunno del 1920, vinte dal Partito Socialista per una manciata di voti sul Partito Popolare dopo una campagna elettorale molto aspra, giocata soprattutto nelle campagne dove i socialisti contestano ai popolari di aver soffiato “a piene gole sul braciere della guerra”. Il nuovo sindaco è Alfredo Morini e fanno parte della giunta Giovanni Biancini (Badò), Orazio Borzatta, il maestro Vincenzo Panazza e Mario Tampieri, con assessori supplenti Arturo Malmesi e Mario Santandrea. Il periodo postelettorale continua ad essere teso, dapprima con ricorsi dei popolari per far annullare il voto e poi con polemiche spesso sterili fra socialisti e popolari e contestazioni di questi ultimi relativamente al bilancio, alla chiusura dell’orfanotrofio femminile ed altri aspetti amministrativi.
Il clima nazionale acuisce ovunque la distanza fra i due partiti di massa e favorisce le prepotenze della minoranza fascista. A Castel Bolognese quest’ultima è costituita da soli quattro elementi, che si fanno sempre più rumorosi, prepotenti e violenti. Ne fanno parte i fratelli Parini, uno dei quali è Vico, anche lui studente (di lettere), che a fine guerra aveva dedicato parecchi scritti agli amici caduti al fronte e fa parte della Società “Sempre Giovani”. Ma tanti amici, oramai, non sono più considerati amici, tutt’altro, e i quattro elementi (che troveranno progressivamente sempre più sodali) si tramutano ben presto in aguzzini.
A farne le spese, fra i primi, è proprio Enzo Brunetti, diventato segretario della sezione castellana del Partito Socialista. Sembra essere considerato una figura di riferimento della nuova amministrazione anche se non ne fa parte, e gli viene anche rinfacciata la sua precedente posizione interventista considerata contraddittoria nella lotta politica in corso: è quindi ancor di più una figura da colpire duramente. Nel giro di tre mesi viene preso di mira due volte tramite pesantissimi articoli pubblicati su “L’Assalto“, il settimanale della Federazione Provinciale Fascista di Bologna nei quali si inveisce e minaccia senza pietà anche l’intera amministrazione socialista castellana. Enzo viene schernito volgarmente ed irriso per il suo aspetto fisico con parole che ancora oggi suscitano orrore, dapprima sul numero del 15 ottobre 1921: “Mentre alcuni cittadini per bocca di due corrispondenti muovono delle critiche ai socialisti, l’amministrazione locale, la più bestia, la più vanitosa, la più cretina prepara la rovina del paese. […] Enzo Brunetti il più brutto, che abbia procreato utero di donna, atrofizzato nella testa e nei santi cordoni, suggerisce ed impone. Panazza la più genuina figura di zar comanda e minaccia, Biancini che vorrebbe parere l’ultimo dei pagliacci, è il più falso, il più ambizioso, il più ignorante […]. Così Castelbolognese deve essere governato da queste teste, ripiene d’imbecillità, d’ignoranza e di finzione da tutte queste rape, che riunite assieme non valgono neppure una cicca” e poi sul numero del 21 gennaio 1922: “Enzo Brunetti il mentecatto, l’incosciente, il pagliaccio girato e rigirato dai locali amministratori per coprire tante loro ritirate ha avuto una prima lezione. L’ispiratore del manifesto, il duce d’una squadra di arditi del popolo posta alla ricerca dei Parini, la bestiaccia che i socialisti hanno digerito nel loro ventre di struzzo, l’altro giorno è caduto in disgrazia. Benchè bollato a fuoco, benchè richiesto dal Parini d’una prova della sua audacia, lo scimmione ha piegato il capo e si è preso tutta la tempesta. L’ex onorevole Brunelli, presente al fatto, si limitò a temporale finito ad iniettare una fialetta di spirito sul corpo anormale del vilissimo Enzo, ma neppure questo valse a rinfrancarlo!”
Il passaggio dagli insulti al manganello e alle vie di fatto non tarda ad arrivare. La sera del 17 aprile 1922, mentre si sta recando tranquillamente a teatro con le sorelle ed alcuni conoscenti, viene improvvisamente aggredito davanti al Caffè Centrale e ripetutamente bastonato. L’intervento delle sorelle e degli altri presenti evita il peggio, ma Enzo riporta comunque alcune contusioni ad un braccio e due ferite lacero contuse alla testa che vengono dichiarate guaribili in 10 giorni. Gli aggressori sono immediatamente identificati: sono i fratelli Parini e il cavalier Spezzafumo, uno squadrista itinerante, privo di qualsiasi scrupolo, che agiva pressoché indisturbato in tutta la regione dando man forte ai vari gruppi fascisti locali. I colpevoli la fanno franca: i fratelli Parini, che godevano dell’amicizia dei Carabinieri, non vengono nemmeno ricercati, mentre Spezzafumo viene momentaneamente arrestato perché trovato in possesso di una rivoltella, ma già il 4 maggio è presente all’apertura della sezione del Fascio di Combattimento di Castel Bolognese, di cui viene nominato primo reggente, e ben presto assurgerà nuovamente agli onori della cronaca per altre imprese squadriste in quel di Rimini. Su questo personaggio fioriranno successivamente leggende di ogni tipo (se ne occuperà anche Indro Montanelli), che rendono quasi impossibile identificarlo con certezza, tant’è che verrebbe quasi da considerarlo un personaggio letterario dannunziano, se non ci fossero giunte le cronache delle sue nefandezze.
La vile aggressione ad Enzo viene universalmente condannata, anche da alcuni fascisti locali ancora non infervorati come i Parini. Non si unisce all’indignazione corale “L’Assalto”, che in un delirante articolo del 22 aprile attribuisce le colpe dell’accaduto ad un’improbabile provocazione della parte lesa e chiude con un inquietante avvertimento: “Sappiamo tutto Enzone, e se non cessi di parlare in certi circoli e in certe case di sovversivi, ci vedrai più energici alla prova”.
E’ facile immaginare lo stato d’animo di Enzo, che non può che sentirsi in balia degli eventi e privo di una vera protezione, non solo a Castel Bolognese ma anche a Bologna, dove deve ancora terminare gli studi ed è molto vicino alla agognata laurea. Anche a Bologna svolge attività politica e frequenta la sezione del Partito Socialista, l’Unione Giovanile Socialista ed è iscritto al Gruppo studenti socialisti. Questo non può che procurargli che guai anche nella città felsinea dove è sicuramente “attenzionato” dagli avversari politici, che probabilmente riescono anche a sabotarlo nella sua carriera universitaria, magari sobillati da Vico Parini, che anche lui sta ultimando gli studi a Bologna.
Che Vico avesse a Bologna amici potenti e molto pericolosi è documentato anche dalla vicenda accaduta a Mario Santandrea, molto simile a quella di Enzo. Reo di aver controllato, nelle sue vesti di assessore, l’autenticità di un documento contenente i voti universitari del Parini (che godeva di una borsa di studio assegnata dal Comune con l’obbligo di mantenere una determinata media scolastica), Santandrea si era attirato facilmente continue intimidazioni sia in paese, sia nella sua farmacia di Bologna, visitata per due volte dai fascisti bolognesi “ispirati” dal Parini e alle cui contestazioni Santandrea era riuscito ad addurre valide giustificazioni. Non gli è possibile, però, opporsi all’assalto di una squadraccia della “Colonna Balbo”, condotta fino alla sua farmacia dal Parini: è il pomeriggio del 29 maggio 1922. Identificato dai suoi aggressori, Santandrea dapprima viene raggiunto repentinamente da una manganellata alla fronte, parecchio attutita dal fatto che egli alza la mano destra a protezione del volto, riportando due fratture del metacarpo e poi viene colpito da un pesante vaso di gres alle reni mentre sta fuggendo sul retro. Sgattaiolato fuori da un’altra uscita, sconosciuta agli aggressori, riesce a riparare nella sua abitazione mentre la farmacia viene devastata. Accompagnato dalla moglie a Castel Bolognese, presso i genitori e i fratelli, Mario ritorna ben presto a Bologna, convinto dai familiari che i maggiori pericoli li avrebbe corsi a Castello.
Oramai è una escalation di cui non si intravede la fine e questo clima non può che prostrare fortemente Enzo, che a differenza di Mario non ha nemmeno la sicurezza data da una posizione professionale solida. Infatti anche la laurea sembra allontanarsi di qualche tempo, probabilmente a causa sia del grande stress accumulato sia di qualche sabotaggio fascista di ispirazione castellana, e ciò lo getta nel più profondo sconforto. Ai primi di giugno si trova a Castel Bolognese e prima di ripartire per l’ultima volta per Bologna, ha già maturato e messo per iscritto l’idea di porre fine alla sua giovane vita.
Il 9 giugno 1922 Libero Zanardi, studente universitario, giornalista ed attivista socialista, figlio dell’ex sindaco di Bologna Francesco, muore di peritonite a 22 anni all’Ospedale di Rimini, città dove si era rifugiato a seguito delle numerose bastonature subite dai fascisti, trascurando un’appendicite. Francesco Zanardi accorre da Roma, dove si era dovuto trasferire perché bandito da Bologna, e “l’ignobile Spezzafumo poté giungere all’estremo sacrilegio di minacciare ed ingiuriare sconciamente l’on. Zanardi mentre era al capezzale del suo figlio morente!” e con altri fa “del chiasso sotto le finestre dell’Ospedale”. I funerali di Libero “si trasformarono in una grande manifestazione politica antifascista, alla quale presero parte migliaia di bolognesi con bandiere e mazzi di fiori rossi”; il corteo funebre, partito da Rimini, attraversa tutta la Romagna: “A S. Arcangelo sono ancora fiori, i fiori purpurei della Romagna generosa, che comprimono il tetto del convoglio ormai stracarico. A Savignano e Castel Bolognese, è la stessa folla che sembra quasi tra paese e paese ininterrotta”. Anche la Sezione socialista di Castel Bolognese invia un messaggio di condoglianze alla famiglia; noi immaginiamo che Enzo conoscesse personalmente Libero tramite il Gruppo studenti socialisti. Di sicuro Enzo presenzia o al passaggio del corteo funebre da Castel Bolognese o ai funerali direttamente a Bologna. Probabilmente questa ulteriore tremenda vicenda lo convince vieppiù a mettere in pratica il proposito del suicidio.
E’ la mattina del 27 giugno 1922. Enzo Brunetti si reca ai Giardini Margherita e ingoia 10 pastiglie di sublimato corrosivo. Verso le 11,30 viene rinvenuto su una panchina del parco in preda a violenti dolori al ventre. Viene trasportato in carrozza all’ospedale Sant’Orsola dove ha la forza di dichiarare di aver ingerito il sublimato e dove i medici gli praticano d’urgenza una lavanda gastrica. E’ tutto inutile, alle ore 17 Enzo Brunetti cessa di vivere “dopo inaudite sofferenze, e a fine di lunga e straziante agonia”. Non solo si è suicidato, ma ha scelto consapevolmente un veleno letale che però non determina una morte istantanea. La dose massiccia di sublimato gli provoca effetti probabilmente simili a quelli descritti da un dizionario di anatomia ottocentesco: “il sublimato, e in generale tutti i Sali mercuriali, hanno un sapore acre, metallico, stitico. Suscitano un senso di costrizione alla gola, ansietà, singhiozzi, soffocazione, acerbi dolori allo stomaco ed a tutto il tubo intestinale, sete ardente, implacabile nausea, vomiti d’un liquido non di rado sanguinolento, […] diarrea, talvolta dissenteria, frequenti voglie di orinare, con impossibilità di riuscirvi; lipotimie, sudori freddi, crampi agli arti, una sensibilità universale, convulsioni, colle quali la morte pone termine a questa orribile scena di ambasce”.
Risultano vane anche le sentite parole che i compagni bolognesi pubblicano su l’“Avanti!” mentre Enzo è tra la vita e la morte: ”La notizia del tragico passo tentato dal carissimo compagno Brunetti, ci addolora profondamente. Noi non possiamo e non vogliamo indagare sulle cause che lo hanno spinto alla determinazione disperata, ma siamo certi che esse saranno facilmente rimediabili e che il passo sia stato consigliato solo da un momento di profondo sconforto. Offriamo quindi sin d’ora al compagno carissimo tutto il nostro appoggio incondizionato, pronti ad aiutarlo in qualsiasi evenienza con tutti i mezzi a nostra disposizione, ben lieti se egli vorrà domani disporre illimitatamente di noi.
E mentre formuliamo l’augurio di averlo presto tra noi a combattere con tutto l’entusiasmo della sua fede e del suo ingegno la santa battaglia dei lavoratori, inviamo alla famiglia angosciata i sensi del nostro profondo cordoglio”.
La morte di Enzo suscita un unanime cordoglio non solo nei suoi compagni, ma anche nei suoi avversari politici, fascisti esclusi ovviamente. E’ molto significativo quanto scrive Il Diario, periodico cattolico imolese (dalle cui colonne erano partiti numerosi attacchi all’amministrazione socialista), dell’1 luglio: “La tragica fine del giovane, che per la sua intelligenza e bontà di cuore si faceva apprezzare anche dagli avversari, ha portato la desolazione nella sua famiglia alla quale inviamo le nostre sentite condoglianze”. Condoglianze arrivano anche dalle colonne de Il Lamone, dal Gruppo universitario socialista di Bologna, dalla Sezione socialista e dall’Unione giovanile socialista di Bologna. A Castel Bolognese, oltre alla famiglia, pubblicano manifesti il Castel Bolognese Football Club, la Società “Sempre giovani” ed il Partito socialista. Il dottor Umberto Brunelli e Alfredo Bolognini offrono rispettivamente 50 e 20 lire alla Fondazione Libero Zanardi per onorare la memoria di un’”altra fervente giovinezza tragicamente troncata”. Anche i suoi professori e i suoi compagni di Università sono profondamente colpiti, primi fra tutti il prof. Bartolo Nigrisoli (che proprio la sera in cui muore Enzo riceve la comunicazione ufficiale della nomina a titolare della Cattedra di Clinica chirurgica), il prof. Poggi e il prof. Nino Samaja.
Questura, Il Resto del Carlino e L’Avvenire d’Italia sciacallano, facendo girare e pubblicando la “notizia” che Enzo si fosse suicidato perché aveva assicurato la famiglia di essersi già laureato mentre in realtà doveva sostenere ancora alcuni esami importanti. La notizia viene indirettamente smentita proprio dalla famiglia che pubblica il necrologio su Il Resto del Carlino anteponendo al nome di Enzo il titolo di “studente laureando in medicina”. Lo stesso Carlino precisa poi la “notizia” fornendo la testimonianza di alcuni colleghi di Enzo, che dicono che egli doveva sostenere proprio in quei giorni alcuni esami, che lo avrebbero molto avvicinato alla laurea, ai quali non si sarebbe presentato a causa del forte esaurimento nervoso di cui soffriva e che si era accentuato nell’ultimo periodo. Riteniamo che non potesse essere altrimenti, visti gli avvenimenti che lo avevano coinvolto.
In proposito l’“Avanti!” – intitolando Povero Cristo – scrive che “Decisamente l’atmosfera è carica di delitto. […] La mente degli uomini si esercita in una specie di sadismo macabro […] solo così ci si può spiegare come nell’anno di grazia millenovecentoventidue si possano disinvoltamente compiere le più scellerate profanazioni della morte, e, a segnare il passo all’affamata e infamante torma di corvi, sia l’insegna del prete”.
Mentre prepara il funerale, la famiglia Brunetti trova fra le carte racchiuse nel tavolo dello studio di Enzo a Castel Bolognese una lettera che annunciava il suicidio, quasi sicuramente lasciata da Enzo durante l’ultima sua visita. In essa, a quanto pare, si doleva di aver deluso le aspettative dei familiari che speravano nella laurea già nella vicina sessione d’esami. Le cronache dei funerali ne riportano alcuni passi, letti dal dottor Umberto Brunelli durante il discorso funebre, che risultano essere il suo testamento morale: “Muoio in pace con tutti gli uomini che ho amato degli affetti più puri, nel modo più soave. Seppellitemi nel cimitero del nostro Castello accanto a nonna Marianna e a tanti amici. Nella mia bara modesta mettete una cosa sola: un mazzo di garofani rossi”.
Il funerale si svolge il 29 giugno, con partenza alle ore 8 dall’Ospedale Sant’Orsola in direzione di Porta Mazzini e ritrovo a Castel Bolognese alle ore 10 presso il passaggio a livello della ferrovia di Riolo sulla via Emilia (nei pressi dell’attuale stazione dei Carabinieri). Ad attendere la salma, come racconta l’Avanti!, “c’era tutta la popolazione. Con grande commozione il corteo si formò e sfilò per la cittadina in lutto. Tutti i partiti proletari facevano ala alla bara. Nessun segno coreografico ruppe il ritmo solenne e silenzioso dell’ora dolorosa. Il saluto alla salma fu dato con sobria e austera parola dal compagno onorevole Brunelli”.
Non sfila nessuna bandiera rossa (i “segni coreografici” a cui si riferisce l’Avanti!) perché, come testimoniato da Emidio Ponzi, i fascisti, non paghi della morte di Enzo, si erano radunati per assaltare il corteo funebre nel caso queste comparissero. A rendere omaggio al compagno scomparso le corone dei repubblicani, dei gruppi anarchici, dei giovani socialisti, del partito socialista, del gruppo universitario socialista, e ancora, quelle della famiglia, delle amiche della famiglia, professori e assistenti del Sant’Orsola, Società “Sempre Giovani”, Castel Bolognese F. C., studenti di medicina e chirurgia, famiglia Bertondini, Mario e Maria Santandrea e altre non segnalate.
“Il Socialista” del 2 luglio scriverà che tutto il paese “nell’ultimo saluto gli dimostrò la sua imperitura riconoscenza per averlo sempre visto a capo di ogni opera di umanità, di beneficenza, di pietà, raro esempio di disinteressato altruismo, di sconfinata bontà”.
Enzo viene omaggiato coi garofani rossi messi nella sua bara e sepolto in un loculo non molto distante dalla tomba della nonna Marianna Agnoli, morta nel 1910.
Nel maggio del 1924 muore a 60 anni anche il padre Oreste dopo “lunga e penosa malattia”, “debellato anzi tempo specie dal dolore della tragica fine del figlio Enzo”. Pochi mesi dopo il resto della famiglia si trasferisce a Faenza.
Già nell’agosto del 1922 le squadracce fasciste chiamate dai paesi limitrofi erano penetrate in municipio costringendo con la forza alle dimissioni l’amministrazione socialista. L’assessore Giovanni Biancini, unico presente in Comune in quel momento, deve leggere dal balcone la lettera di dimissioni. E’ la fine della legalità democratica. Le bastonature e le somministrazioni di olio di ricino (spesso miscelato con olio lubrificante) diventano quasi quotidiane. Perderanno la vita Adelmo Ballardini e Giovanni Ravaioli, vittime di furiosi pestaggi: di loro si è ricordata la toponomastica castellana del secondo dopoguerra.
I lunghi anni di dittatura e le tragedie della successiva guerra fanno ben presto scemare “l’imperitura riconoscenza” per le opere di Enzo. La sua storia viene sostanzialmente dimenticata, complici l’assenza della famiglia dal paese e un certo qual pregiudizio verso i suicidi ancora oggi piuttosto diffuso, e viene solo accennata con poche sparute righe in un paio di pubblicazioni curate dallo storico paesano Pietro Costa.
La tomba di Enzo, dopo la morte delle sorelle e del fratello, viene abbandonata per lungo tempo e finisce per essere curata per molti anni da Maria Montanari, mamma di Ubaldo Bagnaresi, che ha una parente sepolta a fianco di Enzo e che si impietosisce leggendo la tragica storia che la lapide racconta con queste brevi parole:
Ad Enzo Brunetti
laureando in medicina e chirurgia
che
nel doloroso contrasto
fra le più alte e pure idealità
e la triste realtà della vita
volle a soli 29 anni
tragicamente troncare le speranze
riposte nella sua bontà e nella sua intelligenza
la famiglia
straziata nel più caro de’ suoi affetti
pose
Il “doloroso contrasto fra le più alte e pure idealità e la triste realtà della vita” tronca le aspirazioni e l’esistenza di Enzo che, ne siamo certi, sarebbe diventato un nuovo “medico dei poveri”, sulla scia e l’esempio dei grandi concittadini Umberto Brunelli ed Antonio Dal Prato.
FONTI: Il Lamone (numeri del 6 aprile 1890, 10 giugno 1894; 18 e 25 febbraio 1917; 17 febbraio, 30 giugno, 3 e 25 agosto, 15 settembre, 6 ottobre e 1 dicembre 1918; 5, 19 e 26 febbraio, 5 e 19 marzo, 23 aprile e 2 luglio 1922; 25 maggio 1924); La Castelleide (numero unico del 10 marzo 1919); L’Assillo (numero unico del 20 aprile 1919); L’Assalto (numeri del 15 ottobre 1921, 21 gennaio e 22 aprile 1922); Il Socialista (numeri del 19 febbraio e 2 luglio 1922); La Romagna Socialista (numeri del 22 aprile e 13 maggio 1922); Il Diario (numero dell’1 luglio 1922); Avanti!, edizione di Bologna (numeri del 20 aprile, 11, 28,29 e 30 giugno, 1 e 6 luglio 1922); Avanti! (numero del 10 giugno 1922); L’Avvenire d’Italia (numeri del 29 e 30 giugno e 2 luglio 1922); Il Resto del Carlino (numeri del 28, 29 e 30 giugno e 1 luglio 1922); Annuario della Regia università di Bologna (anni 1913-14, 1914-15, 1915-16); Archivio privato Andrea Soglia; Archivio Storico Popolare di Medicina (BO); Archivio storico Opere Pie Raggruppate di Castel Bolognese, scatola n. 30; Testimonianza orale di Giorgio Santandrea (figlio di Mario), relativamente all’acquisto della Farmacia del Corso, rilasciata ad Andrea Soglia nel 2005.
BIBLIOGRAFIA: Elio Bambi (a cura di), Calcio castellano, Castelbolognese, Grafica Artigiana, 1974; Castelbolognese dal fascismo alla liberazione, Imola, Galeati, 1975; Pietro Costa, Comune e popolo a Castelbolognese, 1859-1922, Imola, Galeati, 1980; Il movimento cattolico a Castelbolognese: 1861-1945: guida alla mostra, Castelbolognese, 1983; Castelbolognese nelle immagini del passato, Imola, Galeati, 1983; Nello Garavini, Testimonianze: anarchismo e antifascismo vissuti e visti da un angolo della Romagna, Imola, La mandragora, 2010; Angelo Nataloni, Andrea Soglia, Castellani oltre il Piave: la memoria e il ricordo, Faenza, Edit Faenza, 2006; Pier Paolo Sangiorgi (a cura di), Saluti da Castel Bolognese: cent’anni di storia paesana attraverso le cartoline, Castel Bolognese, Itaca, 2000; Oddo Diversi, Il territorio di Castelbolognese, Imola, Galeati, 1972 Luciano Bergonzini, La Resistenza a Bologna: testimonianze e documenti, vol. 1, Bologna, Istituto per la storia di Bologna, 1967; Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel Bolognese, 1919-1945, vol. 5, Bologna, 1998; Il Vero amico, 6 agosto 1858.
SITOGRAFIA: www.ellers.unimi.it/cronacheautoptiche_infermiera.html (consultato il 20 giugno 2018); www.castelbolognese.org
Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Andrea Soglia (con la collaborazione dell’Archivio Storico Popolare di Medicina, BO), Le “speranze troncate” dell’aspirante medico Enzo Brunetti (1893-1922), in https://www.castelbolognese.org
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